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Oltre il Rosatellum: quale legge elettorale?

Oltre il Rosatellum: quale legge elettorale?

Comprensibilmente, le nostre simulazioni delle elezioni del 4 marzo con diversi sistemi elettorali hanno suscitato un certo dibattito. Ciò conferma non solo quanto il tema sia sentito oggi (all’indomani di uno stallo elettorale), ma anche di quanto sia importante – sempre – avere delle regole del gioco condivise.

Vediamo allora di chiarire alcuni dei punti lasciati in sospeso

L’importanza di regole del gioco condivise

Nessuno ha messo sotto accusa il sistema elettorale in Germania, nonostante l’esito di 3 delle ultime 4 elezioni (2005, 2013 e 2017) abbia costretto due partiti storicamente avversari (CDU e SPD) a formare governi di larghe intese. Non lo hanno fatto nemmeno in Spagna, dove le elezioni del 2015 sono state ripetute a distanza di sei mesi (producendo, peraltro, risultati praticamente identici) ma dove a tutt’oggi il governo Rajoy non ha una maggioranza in Parlamento. Il sistema elettorale non è stato messo in discussione nel Regno Unito, patria del maggioritario e del bipartitismo, quando si è rivelato incapace per ben 2 volte nell’arco di pochi anni (nel 2010 e poi di nuovo nel 2017) di garantire una maggioranza monopartitica.

Persino negli Stati Uniti, dove il sistema basato sui “grandi elettori” ha consegnato la presidenza a Donald Trump nonostante Hillary Clinton fosse uscita largamente vittoriosa nel conteggio del voto popolare (con oltre 3 milioni di voti in più rispetto all’avversario), le regole del gioco non sono state messe all’indice. In nessuno di questi paesi si è pensato di dichiarare la necessità di un governo di transizione per cambiare il sistema elettorale per poi tornare nuovamente a votare.

Perché invece Italia è successo? Per una ragione molto semplice: perché intorno a quelle regole del gioco, sulla legge elettorale approvata nell’ottobre 2017 e a cui si è dato il nome di “Rosatellum bis” (o più semplicemente Rosatellum) non vi è mai stato un consenso unanime.

Per essere chiari: il Rosatellum non è esente da difetti, anzi. Una legge elettorale può essere buona (o cattiva) indipendentemente dal fatto che sia stata approvata con una maggioranza ampia e trasversale (per inciso: il Rosatellum ha soddisfatto entrambe queste condizioni). Ma l’accusa rivolta ai promotori della legge di aver ideato un sistema che ostacolasse il raggiungimento di una maggioranza è facilmente smentibile: se l’intento fosse stato quello di scongiurare una vittoria, sia il “Tedeschellum” (affossato in Aula a giugno) sia il sistema comunque in vigore prima del Rosatellum (il “Consultellum”) sarebbero state soluzioni certamente più efficaci.

Limiti delle simulazioni elettorali

Chiariamo meglio un punto lasciato in sospeso nel precedente articolo: alcuni lettori hanno criticato l’assunto teorico per cui in presenza di un sistema elettorale diverso i voti si sarebbero distribuiti nello stesso modo. Si tratta ovviamente di un’assunzione tutta da dimostrare: è pacifico e intuitivo (nonché dimostrato da molti casi concreti) che se ci sono regole diverse i partiti adottano strategie differenti, eventualmente modificando l’offerta elettorale; ed è altrettanto ovvio che gli elettori risponderanno ad una diversa offerta elettorale declinando in modo differente le loro preferenze.

Questo però non cambia il punto di fondo: un conto è dire che l’offerta elettorale e il voto degli elettori avrebbero potuto essere diversi; un altro è spingersi a ipotizzare come i voti si sarebbero dovuti distribuire diversamente da quanto avvenuto il 4 marzo. Poiché non esistono ipotesi plausibili su come avrebbero votato gli italiani in presenza di un sistema diverso (totalmente maggioritario oppure totalmente proporzionale), siamo costretti a partire dal dato, incontrovertibile e inequivocabile, che l’attuale assetto politico-elettorale italiano è di tipo tripolare; e non da oggi, ma almeno da 5 anni, durante i quali i sondaggi hanno continuato a registrarne la sussistenza senza variazioni significative. Se anche gli elettori avessero voluto cambiare il loro voto in funzione di un diverso sistema elettorale, chi può dire con certezza in che modo avrebbero votato? Verosimilmente, nessuno.

Ecco perché confrontando sistemi elettorali diversi ci si può spingere con le ipotesi solo fino a un certo punto. Ma di certo non si può prescindere dai dati reali: voti espressi da elettori in carne ed ossa che – in modo più o meno convinto – il 4 marzo hanno restituito quella che ad oggi è la fotografia più attendibile di come si distribuiscono oggi le preferenze politiche degli italiani. Meglio di come possa fare qualunque sondaggio, proiezione o simulazione.

Le ipotesi sul doppio turno francese

Molti lettori ci hanno chiesto di simulare più in dettaglio cosa sarebbe accaduto utilizzando un sistema come quello francese, basato sui collegi uninominali a doppio turno. Ci eravamo limitati a indicare in quanti collegi (alla Camera e al Senato) i diversi partiti avrebbero portato i loro candidati al secondo turno, arrivando tra i primi due o superando la soglia del 12,5% degli aventi diritto. Simulare un secondo turno è azzardato proprio perché – per lo stesso ragionamento di cui sopra – possiamo fare solo ipotesi su come si distribuirebbero i voti del primo turno. Tuttavia, è comunque possibile fare delle stime assumendo che:

  1. un candidato della Lega o di Forza Italia al secondo turno avrebbe raccolto i voti degli altri candidati di centrodestra esclusi;
  2. in presenza di un ballottaggio tra un candidato PD e uno M5S alcuni candidati di centrodestra (quelli di Forza Italia e NCI) avrebbero convogliato maggiormente i propri voti sul primo e altri (quelli di Lega e FDI) sul secondo;
  3. in presenza di un ballottaggio tra PD e un candidato di centrodestra, gli elettori del M5S del primo turno si sarebbero ripartiti in modo sostanzialmente equilibrato, in particolare in presenza di un candidato della Lega.

Al primo turno (dove serve la maggioranza assoluta), dei 232 collegi della Camera ne sarebbero andati 23 al M5S e 1 alla SVP.

Al secondo turno, le sfide sarebbero state queste: 53 ballottaggi M5S-FI; 40 ballottaggi M5S-PD; 27 ballottaggi Lega-M5S; 3 ballottaggi PD-FI; 1 ballottaggio Lega-PD; 1 ballottaggio M5S-SVP; e ben 81 “triangolari”, tutti tra M5S, Lega e PD. Ecco i risultati:

Nell’ipotesi “intermedia”, nessun partito riesce a vincere nella maggioranza dei 232 collegi simulati, raggiungendo la “soglia magica” di 117 vittorie. Vi si avvicina in qualche modo il Movimento 5 Stelle: traslando il risultato di questi 232 collegi sugli effettivi 618 seggi della Camera, il M5S arriverebbe a quota 282: mancherebbero quindi 35 seggi. Ma se invece si ipotizza che i voti dei candidati esclusi al primo turno si riversino massicciamente su un partito o sull’altro, lo scenario cambia: nell’ipotesi più favorevole per il M5S, il partito fondato da Grillo vincerebbe in 134 collegi (il 58%); se invece la fortuna arridesse in modo smodato ai candidati di centrodestra, Lega e Forza Italia vincerebbero ben 120 collegi, anche qui la maggioranza assoluta (51,7%). Queste però sono entrambe ipotesi-limite. Il Movimento potrebbe salire da 106 a quota 134, ma potrebbe anche scendere a 89; mentre il centrodestra potrebbe addirittura fermarsi a 77 seggi (tutti per la Lega). Chi resterebbe fuori dai giochi in qualsiasi scenario sarebbe il Partito Democratico (da un minimo di 10 a un massimo di 34 collegi).

Un puro esercizio intellettuale? Forse. Ma ci ha dato una delle risposte che mancavano: ora sappiamo il voto del 4 marzo non avrebbe garantito una maggioranza nemmeno con un sistema a doppio turno di collegio alla francese. Ma sappiamo anche che, a differenza di quanto visto con altri sistemi, una maggioranza sarebbe stata quantomeno possibile – ed è già qualcosa.

La proposta del M5S: il Toninellum

Di tutti i modelli esteri simulati, non abbiamo mai approfondito una caratteristica fondamentale che deve avere un sistema elettorale alternativo che vada a sostituire quello attuale: e cioè la sua fattibilità politica. Qui l’analisi deve procedere con i proverbiali piedi di piombo, giacché non ci sono dati con cui misurarsi, ma solo le posizioni politiche dei vari partiti (mutevoli per definizione) oppure, nella migliore delle ipotesi, delle sentenze della Corte costituzionale. Queste ultime costituiscono il “perimetro” entro il quale ci si deve ogni volta muovere alla ricerca di una nuova legge elettorale. Dalle pronunce recenti più importanti (quella sul Porcellum e quella sull’Italicum) sappiamo che, per essere costituzionale, una legge elettorale non può essere eccessivamente disproporzionale e che deve prevedere delle soglie minime per l’accesso ad un eventuale secondo turno: ma questo rende pienamente conforme a costituzione il modello francese, che difatti prevede queste soglie in ciascun collegio. Quindi gli ostacoli sono di natura politica: chi potrebbe opporsi all’adozione di un sistema elettorale basato sul modello francese? Non il PD, che già nel lontano 2012 (segretario Bersani) adottò proprio il modello francese come proprio sistema elettorale di riferimento e che con Renzi introdusse il ballottaggio nazionale di lista (con l’Italicum) come formula di compromesso, stante il veto della controparte (il centrodestra, cioè Berlusconi) verso i collegi uninominali. Come abbiamo visto, il PD ad oggi avrebbe ben poco da guadagnare con un sistema del genere: e soprattutto non ha più il peso politico e parlamentare di cui disponeva nella passata legislatura. Potrebbero essere più ben disposti verso questo modello i due vincitori delle ultime elezioni, ossia Movimento 5 Stelle e Lega?

In realtà, il M5S è sempre stato su posizioni piuttosto distanti dal sistema francese: nel tempo, le sue simpatie sono andate dal proporzionale puro a quel “Tedeschellum” frutto di un compromesso a 4 con PD, Lega e Forza Italia; ma la proposta per eccellenza dei grillini in materia elettorale è il cosiddetto “Toninellum”, depositato come proposta di legge alla Camera il 6 maggio 2014 (primo firmatario Danilo Toninelli) dopo una consultazione svoltasi sul portale online del M5S. Il Toninellum è un sistema proporzionale basato su una ripartizione a livello simil-provinciale  e che prevedeva un’ampia (e alquanto creativa) gamma di scelte per l’elettore, che poteva esprimere preferenze sia positive che negative a candidati anche presenti in liste diverse da quella votata. Per quello che interessa a noi, cioè il meccanismo di traduzione dei voti in seggi, il Toninellum avrebbe premiato le liste maggiori a scapito di quelle medio-piccole, specie quelle non territorialmente concentrate. Di fronte al miglior risultato della storia del M5S sul piano nazionale (il 32% ottenuto lo scorso 4 marzo) il Toninellum avrebbe dato una maggioranza alla Camera dei deputati?

La risposta la vediamo nel grafico, ed è negativa. Con il Toninellum il Movimento 5 Stelle avrebbe ottenuto più seggi di quanti ne abbia ottenuti col Rosatellum (o di quanti ne avrebbe ottenuti con un sistema simil-tedesco), ma meno di quanti gliene avrebbe dati un sistema come quello spagnolo. Anche avendo la meglio su un centrodestra diviso – grazie all’effetto premiante per i partiti maggiori previsto da un sistema del genere – ai pentastellati sarebbero mancati comunque una sessantina buona di seggi per poter governare da soli. A (ulteriore) conferma che il problema dell’ingovernabilità in un sistema tripolare non è imputabile al sistema elettorale.

Il “problema” è l’assetto istituzionale

Come sottolineato da molti studiosi ed osservatori, il problema della governabilità in Italia dipende dal suo assetto istituzionale, più che dalle regole elettorali. In Francia e negli Stati Uniti c’è sempre e comunque un presidente perché in quei paesi c’è l’elezione diretta del capo dell’esecutivo. L’Italia però è una repubblica parlamentare, in cui peraltro il governo è un’emanazione non di una, bensì di due camere aventi gli stessi identici poteri ma eletti da corpi elettorali differenti. Se l’Italia avesse un’altra forma di governo, o addirittura un’altra forma di stato, il discorso sarebbe diverso.

Ad esempio, se l’Italia fosse una repubblica federale di tipo presidenziale, l’elezione (diretta) del governo potrebbe avvenire ricalcando il sistema statunitense, assegnando cioè ad ogni stato (regione) un numero di “grandi elettori” proporzionale alla sua popolazione. È quello che ha simulato, ad esempio, il nostro Alessio Ercoli, ipotizzando che il numero di grandi elettori sia pari a 630 (quanti sono i seggi della Camera).

In questo caso, il centrodestra avrebbe vinto la sfida ottenendo 338 grandi elettori su 630. Ma è chiaro che qui si tratta davvero solo di un divertissement: un sistema del genere sarebbe improponibile in Italia senza una radicale revisione della Costituzione. E, come dimostra la storia recente, è già molto complicato modificare la Costituzione anche senza intervenire sui poteri e sulla forma di governo; figuriamoci quanto lo sarebbe trasformare l’Italia in uno stato federale con elezione diretta dell’esecutivo.

Tutti i (veri) difetti del Rosatellum

Come detto, il Rosatellum ha una lunga serie di difetti, grandi e piccoli. Il fatto che tra i difetti non possa rientrare l’assenza di una garanzia di governabilità non significa che non ci sia nulla da cambiare. Intanto, si può intervenire sul funzionamento dei collegi uninominali: il 36% è una quota importante, e che in teoria potrebbe garantire una maggioranza anche con meno del 40% dei voti (come sosteniamo da tempo). Ma si potrebbe fare di più, ad esempio innalzando tale quota al 50% – o addirittura raddoppiandola, ripristinando le proporzioni previste dal Mattarellum. Andrebbe poi senz’altro eliminata la possibilità di essere “paracadutati” in un listino proporzionale: i candidati sconfitti nell’uninominale non dovrebbero poter rientrare dalla finestra, altrimenti viene meno il meccanismo di accountability che è una caratteristica fondamentale dei sistemi basati sui collegi uninominali.

E tutti gli altri candidati eletti col proporzionale? Ovviamente non possono esserci dei candidati di serie A (con l’elezione assicurata) e dei candidati di serie B (che devono rischiare il tutto per tutto nei collegi uninominali): le pluricandidature andrebbero eliminate. In questo modo, la probabilità di elezione sarà tanto più grande quanto maggiore sarà la percentuale di voti ottenuta da un partito sul piano complessivo e a livello di circoscrizione. È chiaro che con un sistema del genere i partiti più grandi avrebbero comunque la certezza di eleggere almeno i capolista, soprattutto in determinate circoscrizioni/regioni. Ma, come hanno spesso dimostrato le elezioni nel nostro paese, essere un “partito grande” non è una garanzia perpetua. Inoltre, si potrebbero introdurre le preferenze, in vario modo: lasciando solo il capolista bloccato (come nell’Italicum); oppure, come in alcuni paesi, con il sistema della “lista flessibile”, in cui gli elettori possono modificare l’ordine di lista prestabilito in base al numero di preferenze che esprimono; o persino senza nemmeno quella restrizione.

Un’altra modifica riguarda l’introduzione del voto disgiunto, che andrebbe reso possibile dato che con il voto all’uninominale e quello al proporzionale si eleggono due parti indipendenti e non “comunicanti” del Parlamento. Un’altra ancora dovrebbe intervenire sulle soglie di sbarramento in modo che i voti alle liste coalizzate sotto la soglia del 3% concorrano, come oggi, a eleggere i candidati comuni (espressione di una coalizione) nell’uninominale, ma senza “gonfiare” i partiti maggiori nel proporzionale.

Ancora: i voti “solo candidato” sono stati, in queste elezioni, una quota molto marginale: non ha senso prevedere che vadano “redistribuiti” alle liste delle coalizioni che li sostengono, come avviene oggi. Ulteriori modifiche dovrebbero riguardare le norme per la presentazione delle liste, per evitare disavventure kafkiane come quella capitata alla lista +Europa, che avrebbe dovuto aspettare di concordare i candidati di collegio con gli altri partiti della coalizione prima di partire con la raccolta delle firme.

Oltre il Rosatellum: la nostra proposta

Insomma, di modifiche da fare al Rosatellum ce ne sarebbero parecchie. Molte di quelle qui menzionate non appariranno nuove ai nostri lettori: sono infatti le caratteristiche di una nostra proposta di legge elettorale, che abbiamo avanzato giusto un anno fa (con tanto di ritaglio dei collegi e testo dell’articolato).

Alcuni lettori ci hanno chiesto di simulare come avrebbe funzionato quel sistema in occasione delle ultime elezioni: infatti, con il nostro sistema i collegi uninominali sarebbero stati di più (il 50%) e l’effetto premiante sarebbe stato maggiore. Calcolare i risultati su dei collegi ritagliati in modo diverso da quelli attuali ha richiesto un po’ di tempo, ma ecco infine il risultato:

Neanche in questo caso avremmo avuto una maggioranza, ma questo ormai non dovrebbe essere una sorpresa. In realtà gli effetti benefici dei meccanismi di una proposta come la nostra non deriverebbero dalla ricerca spasmodica di una maggioranza a tutti i costi, ma da un notevole miglioramento delle facoltà degli elettori di scegliere i propri rappresentanti, nonché da una competizione più razionale ed equilibrata. Poi, certamente, vi sarebbe il pregio di poter raggiungere una maggioranza autonoma anche con meno del 40% dei voti, come accade in tanti altri paesi democratici: anche da questo punto di vista si farebbe un passo in avanti rispetto al Rosatellum.

Ma i motivi per cui (oggi come un anno fa) la nostra proposta ci appare come la soluzione migliore per andare oltre il Rosatellum sono di natura essenzialmente politica: non vi è alcuna ragione per cui non si possa trovare, su questa proposta, un ampio consenso in Parlamento. La possibilità di scegliere in modo più diretto i propri rappresentanti con le modifiche al sistema delle candidature dovrebbe piacere al Movimento 5 Stelle; l’aumento dei collegi uninominali in teoria è un punto su cui il PD dovrebbe convergere (magari con meno entusiasmo che in passato, visti i suoi risultati nei collegi il 4 marzo); il mantenimento del ruolo della coalizione nell’assegnazione dei seggi nella parte uninominale dovrebbe rassicurare il centrodestra, che dovrebbe vedere con favore anche la maggiore facilità con cui si può raggiungere una maggioranza (essendo al momento la coalizione elettoralmente più forte).

Saranno in grado le forze politiche di convergere su una proposta costruttiva in grado di migliorare l’attuale legge, invece di inseguire il mito della governabilità a tutti i costi? Lo scopriremo solo vivendo. Noi, come l’anno scorso, incrociamo le dita e speriamo.


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Salvatore Borghese

Laureato in Scienze di Governo e della comunicazione pubblica alla LUISS, diplomato alla London Summer School of Journalism e collaboratore di varie testate, tra cui «il Mattino» di Napoli e «il Fatto Quotidiano».
Cofondatore e caporedattore (fino al 2018) di YouTrend. È stato tra i soci fondatori della società di ricerca e consulenza Quorum e ha collaborato con il Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE).
Nel tempo libero (quando ce l'ha) pratica arti marziali e corre sui go-kart. Un giorno imparerà anche a cucinare come si deve.

9 commenti

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  • Nella scorsa legislatura, ad un certo punto si era parlato del “Fragomellum”, che in sostanza avrebbe ripristinato il doppio turno di lista, aggiungendo delle soglie per l’ammissione al ballottaggio e per il premio di maggioranza al secondo turno.

    Probabilmente questa soluzione, anche se non granché probabile al momento, potrebbe allo stesso tempo (quasi) assicurare governabilità ed essere ammessa dalla Consulta.

    Voi cosa ne pensate? E continuate con gli articoli sulle leggi elettorali che sono quelli che preferisco 😀

    • Faccio notare che nell’articolo si consiglia di non seguire il mito della governabilità a tutti costi.

    • La proposta Fragomeli era interessante, ma aveva almeno un elemento di potenziale incostituzionalità.
      In generale però, per facilitare la governabilità in un contesto tripolare, la soluzione più ovvia è procedere con un 2° turno che restringe la sfida a due, in modo tale che gli elettori “sconfitti” al 1° turno possano scegliere la meno peggio tra le due opzioni rimanenti.

      Il 2° turno, infatti, può vedere un duello tra due CANDIDATI, oppure tra due LISTE.

      NEL PRIMO CASO, il più semplice, ci ritroviamo con un MAGGIORITARIO A DOPPIO TURNO, come quello che utilizziamo per eleggere i nostri sindaci. In collegi uninominali (un candidato per coalizione o lista) viene eletto al 1° turno il candidato che supera il 50%+1 dei voti validi o, nel caso in cui questa situazione non si verifichi, il vincitore viene scelto al 2° turno tra i due candidati più votati al turno precedente. E’ un sistema dalla costituzionalità provata (è già in uso) e che avvicina molto i candidati ai cittadini, visto che i primi si sfidano collegio per collegio. Non garantisce una maggioranza, ma la favorisce.

      NEL SECONDO CASO, decisamente più complesso (e quindi più fedele all’eterogeneo contesto socio-politico italiano), ci ritroviamo con un PROPORZIONALE A DOPPIO TURNO, come per l’Italicum e la proposta Fragomeli.
      Ma per essere costituzionale (una maggioranza credibile anche qui deve essere facilitata, ma non inevitabile), a mio giudizio devono essere soddisfatte 5 condizioni:

      1) il 2° turno deve essere accessibile ai PARTITI più votati, e dunque NON ALLE COALIZIONI.

      2) il 2° turno deve prevedere un QUORUM (sempre disgiunto per Camera dei Deputati e Senato) in caso di elevata distorsione del voto popolare: in pratica il cittadino dovrebbe poter decidere se partecipare al raggiungimento del quorum (per assegnare un premio ad un partito), o se astenersi (preferendo “le grandi intese” o un ritorno al voto).

      3) il 2° turno deve prevedere una SOGLIA DI ACCESSO che riduca la distorsione della rappresentanza democratica (a mio parere una soglia inferiore ad un terzo di dei voti validi, ovvero il 33.3%, è a forte rischio costituzionalità).

      4) il premio di maggioranza o di governabilità eventualmente assegnato al 2° turno dovrebbe essere distribuito (a) per la Camera dei Deputati, proporzionalmente a livello nazionale e (b) per il Senato, proporzionalmente su base nazionale in base ai voti ottenuti in ciascuna regione dalla lista vincitrice.

      5) il premio di maggioranza/governabilità non dovrebbe essere necessariamente assegnato in entrambe le Camere, ma allo stesso tempo dovrebbe essere invalidato se il premio risultasse destinato a due liste differenti nei due rami del parlamento: questo perché tale bonus non deve compromettere l’indipendenza delle due Camere (Articolo 88) ma non deve neanche pregiudicare la funzione legislativa che viene esercitata collettivamente dal Senato e dalla Camera dei Deputati (Art. 70) e che presuppone un Governo con la fiducia delle due Camere (Art. 94).

      Questa la mia posizione, dunque. Per chi fosse interessato, qui sotto una ulteriore giustificazione delle 5 condizioni da me menzionate.

      CONDIZIONE 1 (PREMIO ASSEGNATO AD UNA LISTA)
      Il doppio turno in un sistema proporzionale si configura come un premio, di maggioranza o di governabilità, e sui “premi” la Consulta si è già pronunciata più volte. In particolare, la Consulta, con la sentenza 1/2014 ha considerato il premio del Porcellum, assegnato ad una coalizione, come incostituzionale perché pone il rischio di incentivare alleanze temporanee volte esclusivamente al raggiungimento del bonus stesso.
      Quindi le regole per il 2° turno devono essere applicabili ai partiti, e non alle coalizioni.

      CONDIZIONE 2 (QUORUM AL 2° TURNO)
      Come indicato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 35/2017 sull’Italicum, il raggiungimento della maggioranza assoluta non deve essere un evento inevitabile. Un quorum pari al 50%+1 degli aventi diritto al voto consentirebbe, con il 2° turno, di legittimare l’assegnazione di un premio grazie al voto popolare.

      CONDIZIONE 3 (SOGLIA DI ACCESSO AL 2° TURNO)
      Come indicato sopra, una soglia di accesso minima rende il premio di maggioranza soggetto a condizioni, e dunque non più “inevitabile”.
      Per me la soglia naturale è un terzo+1 dei voti validi: gli esclusi dal ballottaggio, infatti, anche se considerati come virtualmente coalizzati, avrebbero un sostegno elettorale comunque inferiore alle due liste in lotta al 2° turno (esempio non lontano dall’attualità politica: lista A: 33.5%; lista B: 35%; tutte le liste rimanenti: 31.5%).
      Ma c’è un secondo elemento che mi porta a scegliere questa soglia, ovvero la distorsione del voto popolare introdotta dal premio stesso.
      La Consulta ha già ritenuto legittimo il premio dell’Italicum che avrebbe portato una lista con il 40% dei voti a conquistare il 54% dei seggi. Ciò significa che un premio che determina un effetto moltiplicatore pari o inferiore a 1,35 (ovvero il rapporto 54/40) sarebbe verosimilmente considerato costituzionale.
      In analogia, un premio pari al 50,5% dei seggi, assegnato ad una lista con il 37,5% dei voti, sarebbe sicuramente giudicato legittimo, non solo perché il rapporto 50,5/37,5 è pari o inferiore a 1,35, ma anche perché il bonus in termini assoluti è pari al 13% (50,5% meno 37,5%), e dunque inferiore al 14% dell’Italicum (54% meno 40%).
      Distorsioni superiori al rapporto 1,35 o al valore assoluto del 14% dell’Italicum non sono necessariamente incostituzionali, ma più a rischio. Ma a che percentuale di distorsione massima si può arrivare? Questo non lo so (qualcuno lo sa?), ma la Corte ha già indicato con la sentenza 35/2017 sull’Italicum che una lista non può con il 2° turno vedere più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al 1° turno.
      Quindi se si vuole introdurre un premio di maggioranza pari al 51% dei seggi, questo per definizione non può essere accessibile a chi ha meno del 25,5% dei consensi al 1° turno.
      A mio giudizio, un premio di maggioranza pari al 51% dei seggi sarebbe ancora accettabile per una lista con più del 33,3% dei consensi al 1° turno, ma solo se subordinato contemporaneamente ad un quorum. Corrisponderebbe ad una rapporto di distorsione pari circa a 1.5, ed ad un bonus assoluto pari al 17.7%, non troppo lontano dai valori già accettati dalla Consulta.

      CONDIZIONE 4 (PREMIO NAZIONALE/REGIONALE)
      La Camera dei Deputati è eletta su base nazionale, quindi un premio in seggi deve essere distribuito in modo analogo. Il Senato è invece eletto su base regionale, ma ciò non vuol dire che non ci possa essere un premio nazionale: basta distribuirlo in modo percentuale, regione per regione. Se una lista ha conquistato il 15% dei voti nazionali in Lombardia, vorrà dire che riceverà 15% dei seggi del premio nazionale in questa regione.

      CONDIZIONE 5 (AUTONOMIA DELLE CAMERE/PROTEZIONE DELLA FUNZIONE LEGISLATIVA)
      Come scritto sopra, il premio di maggioranza/governabilità deve rispettare gli articoli 70, 88 e 94 della Costituzione.
      Ma se al Senato, ad esempio, ci fosse un solo partito che superasse la soglia di accesso al 2° turno? In questo caso il 2° turno potrebbe configurarsi come una sorta di referendum, piuttosto che come un ballottaggio, ma sempre soggetto a quorum in caso di elevata distorsione democratica: referendum “confermativo” (“Accetta di assegnare il premio di maggioranza del Senato alla Lista X?) o “abrogativo” (“Rifiuta di assegnare il premio di maggioranza…?”). Anche in questo caso, il quesito del 2° turno sarebbe disgiunto per Camera e Senato, e soggetto a due quorum distinti.
      ——-
      Il secondo turno sarebbe dunque necessario se nessuna lista si avvicinasse alla soglia del 37%-40% dei consensi, soglia al di sopra della quale il premio di maggioranza potrebbe già essere assegnato in un turno unico.
      Ma in ogni caso le soluzioni per la governabilità, anche in un sistema tripolare, esistono: basta avere la volontà di metterle in opera!

  • Ritengo che la vostra proposta possa essere incostituzionale nella parte che prevede il voto disgiunto nel collegio uninominale perché:
    – Data la presenza di una cospicua parte proporzionale, 50%, i collegi uninominali sarebbero piuttosto ampi e questo comporterebbe che non tutti gli elettori, a differenza di una elezione comunale, conoscano i candidati, falsando nei fatti la rappresentanza a scapito degli elettori periferici.
    – Non tutto il corpo elettorale vota sulle proposte delle formazioni politiche, una parte di loro sceglie più per tradizione o per valori storicamente espressi.
    Vorrei inoltre far notare che, con molta probabilità, un sistema elettorale meno proporzionale spinge a ridurre il voto puramente di protesta, soprattutto quando questi parte dall’assunto che comunque l’effetto sarà mitigato dalla necessaria azione compromissoria nell’elaborazione delle leggi, proprio per la natura proporzionale della rappresentanza.

    • Perché dovrebbero essere incostituzionali dei collegi più piccoli di quelli del Rosatellum e in ogni caso perché il voto disgiunto dovrebbe penalizzare gli elettori con questo sistema in cui i collegi urbani delle grandi città sarebbero vasti come quartieri/frazioni? Senza polemica, solo per capire meglio

  • Una modesta proposta per una legge elettorale
    Premessa
    Una legge elettorale funzionante non può essere disgiunta da una legge che disciplini i Partiti, lo prevede la Costituzione, inoltre i partiti sono il tramite della partecipazione dei cittadini alla vita politica e senza partecipazione non esiste democrazia. .
    Abbiamo assistito in questi ultimi anni ad un proliferare di liste, partiti personali, listini, liste goliardiche, questa non è democrazia è soltanto caos.
    Alle elezioni partecipano i Partiti registrati in appositi albi nazionale e regionali da almeno tre anni.

    Disciplina dei Partiti
    Un partito per essere registrato all’albo nazionale deve depositare il simbolo, lo statuto e l’elenco degli organi dirigenti. Lo statuto deve essere conforme ai principi costituzionali.
    Deve svolgere un congresso pubblico ogni due anni, deve presentare i bilanci entro il 31 marzo di ogni anno.
    Non sono ammissibili:
    nomi di candidati sui simboli di partito, riferimenti o simboli religiosi, categorie sociali, riferimenti razzisti, discriminatori, xenofobi.
    I Partiti possono ricevere finanziamenti esclusivamente da persone fisiche e le elargizioni di importo superiore a 1000 euro devono essere tracciabili. Si può prevedere anche un contributo pubblico una tantum per il sostegno delle spese elettorali rendicontate con una ripartizione proporzionale di un budget prestabilito, escludendo comunque le campagne personalistiche e gli spot pubblicitari.
    Molti Partiti oggi, parlano di programmi, ma si tratta perlopiù di affermazioni generiche, spesso contraddittorie che si prestano a valutazioni ambigue o peggio, a carpire il consenso elettorale.
    I Partiti devono invece sviluppare progetti di governo riguardanti tutti gli aspetti di competenza dell’organo per cui si concorre con le seguenti modalità:
    Obiettivi
    A) breve termine (entro un anno), B) medio termine (entro la legislatura),C) lungo termine (entro venti anni)
    Metodi
    Con quali leggi o provvedimenti si raggiungono gli obiettivi.
    Risorse
    Quante e quali risorse si impiegano per il raggiungimento degli obiettivi e dove si trovano.
    Priorità
    Stabilire una scala di priorità definita degli interventi e tempi di attuazione.
    Elezione della Camera dei Deputati
    Alle elezioni partecipano i Partiti registrati nell’albo nazionale. non sono ammesse coalizioni.
    Il numero di deputati massimo è fissato in 500 unità, la percentuale di astensione diminuisce il numero degli eletti.
    I Partiti presentano le liste dei candidati, corredate da certificato dei carichi pendenti e la composizione del governo.
    Ogni candidato può concorrere per un solo collegio.
    Non sono candidabili: condannati, rinviati a giudizio, (i prescritti si considerano condannati ), magistrati, appartenenti a forze dell’ordine, dell’esercito, detentori di concessioni pubbliche.
    Le elezioni si svolgono in un solo giorno (meglio se in edifici diversi dalle scuole) con le seguenti modalità:
    a)se un Partito raggiunge la maggioranza assoluta, gli verranno assegnati il 55% dei seggi (anche se avesse l’ottanta per cento dei voti) e si ripartiscono in modo strettamente proporzionale i seggi restanti fra tutti i Partiti partecipanti.
    b)se invece nessun Partito supera il 50% dei consensi, si ripartiscono la metà dei seggi in modo proporzionale e si procede ad un ballottaggio fra i due partiti che hanno ricevuto più voti. Al Partito vincente nel ballottaggio si assegna il 55% dei seggi totali. I resti al secondo.
    I seggi saranno attribuiti con le preferenze nella prima tornata (l’elettore può esprimere una preferenza, oppure una preferenza per genere).
    Gli eletti non possono svolgere alcuna attività professionale esterna per l’intero mandato né possono ricoprire altri incarichi elettivi o di nomina pubblica.
    La retribuzione dei parlamentari non potrà in ogni caso essere maggiore di dieci volte la pensione minima.
    Tutti i vitalizi sono abrogati
    Con questo sistema un partito sicuramente avrà una maggioranza solida per governare.
    Non sono necessarie soglie di sbarramento in basso, ingiuste perché privano di rappresentanza le minoranze, è invece necessario imporre una soglia massima affinché nessun Partito possa da solo stravolgere la Costituzione.
    Non sono necessarie raccolte di firme per la presentazione di liste.
    La fiducia al Governo viene votata dalla sola Camera dei Deputati.
    Per modificare la legge elettorale è necessaria la maggioranza di 2/3 del Parlamento.
    Dopo un biennio, Un organo di controllo indipendente, verificherà il raggiungimento degli obiettivi e renderà pubblico un rapporto..
    Elezione del Senato
    Il Senato della Repubblica viene eletto a metà legislatura in modo strettamente proporzionale, in concomitanza con le elezioni dei Consigli Regionali. (questo rappresenta un buon test per l’operato del governo) e consente qualora gli obiettivi (a breve, medio) siano largamente inattesi,(più del 50%) di presentare una mozione di sfiducia al governo che verrà sottoposta al voto della Camera.
    Questo metodo, esteso a tutti i tipi di elezioni, dovrebbe stimolare i Partiti ad elaborare proposte serie e coerenti, sparirebbe la “politica spettacolo”, gli elettori potrebbero fare confronti razionali non emotivi e scegliere di conseguenza.
    Sparirebbero anche molti politicanti cialtroni per lasciare il posto a persone competenti.
    Il sistema diventerà razionale e si potrà automatizzare la consultazione elettorale eliminando così contestazioni e brogli.
    Tutti i partiti in regola potrebbero avere una rappresentanza. I perdenti, saranno stimolati ad affinare il loro progetto per diventare vincenti al prossimo turno.
    I Partiti non in regola, saranno diffidati e avranno tempo sei mesi per adeguarsi, pena la cancellazione dal registro e quindi dalle consultazioni elettorali.

    • Proposta interessante, non la condivido a pieno, ma è comunque equilibrata.
      Tuttavia è potenzialmente incostituzionale nella parte in cui prevede l’iscrizione (=registrazione) dei partiti in appositi albi: la libertà di associazione è tutelata costituzionalmente “senza autorizzazione” (art. 18 Cost.), mentre un’iscrizione dei partiti nei suddetti albi la limiterebbe de facto. Inoltre “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi _liberamente_ in partiti” (art. 49 Cost.), pertanto è indubbio come una limitazione come la proposta iscrizione sarebbe chiaramente qualificabile come incostituzionale.
      Per quanto in effetti lei abbia ragione nel sottolineare l’eccessiva proliferazione di partiti politici, non è costituzionalmente possibile limitarne il numero in quanto diritto proprio dei privati.

      Preferirei piuttosto una proposta più vicina a quella di Youtrend:
      – 50% di seggi assegnati proporzionalmente, con collegi elettorali ristretti e listini corti, eventualmente anche senza preferenza e senza voto disgiunto, come nell’attuale Rosatellum;
      – Soglia di sbarramento nazionale del 3%, per garantire comunque un accesso in Parlamento alle liste minori;
      – 50% dei seggi rimanenti attribuiti con maggioritario, in 315 collegi uninominali a turno unico, im modo da dare una rappresentanza del territorio, con la scelta diretta di almeno la metà dei candidati;
      – Divieto di pluricandidatura in più di tre collegi, e di candidatura sia nell’uninominale che nel proporzionale dello stesso collegio;
      – Nessun premio di maggioranza, per via della grossa quota di maggioritario presente;
      Questa la proposta per la Camera. Ed anche per il Senato a dirla tutta.

      Visto che però si disquisisce anche più in generale, proporrei invece un ‘divertissement’ per il Senato:
      – Delegati nominati dai Consigli Regionali tra gli stessi consiglieri. I delegati rappresentano i rispettivi governi regionali e rimangono in carica per tutta la durata della legislatura regionale;
      – Un seggio per ogni Regione riservato al rispettivo presidente od a consigliere da esso delegato. Si assegna ad ogni regione un ulteriore numero di seggi pari al rapporto tra la popolazione regionale diviso un milione. Il numero si approssima aritmeticamente per difetto o per eccesso.
      (Es: Liguria: 1,6 mln di ab. > 1,6 mln/ 1 mln = 1,6 > 1 seggio presidenziale + 2 seggi -1,6 arrotondato per eccesso-);
      – I due seggi spettanti al Trentino-Alto Adige (1 seggio presidenziale + 1 per la popolazione) sono attribuiti ai rispettivi presidenti delle province autonome od ai rispettivi delegati;
      – Un delegato può portare anche più deleghe fino al numero massimo di seggi spettanti alla rispettiva Regione. Può anche esprimere per delega tutti i voti della propria Regione (un voto a seggio);
      – Nessuna Regione può avere più di nove seggi;
      – Solo la Camera vota la fiducia al Governo.

      Si avrebbero così:
      – Piemonte: 1+4 seggi
      – Valle d’Aosta: 1+0
      – Lombardia: 1+8 (max 9)
      – Trentino-Alto Adige: 1+1
      – Veneto: 1+5
      – Friuli-Venezia Giulia: 1+1
      – Liguria: 1+2
      – Emilia-Romagna: 1+4
      – Toscana: 1+4
      – Umbria: 1+1
      – Marche: 1+2
      – Lazio: 1+6
      – Abruzzi: 1+1
      – Molise: 1+0
      – Campania: 1+6
      – Puglia: 1+4
      – Basilicata: 1+1
      – Calabria: 1+2
      – Sicilia: 1+5
      – Sardegna: 1+1
      Tot. 78 seggi al Senato.
      Ovviamente si tratta di una pura operazione mentale. Sarebbe una proposta in grado di dare maggiore rappresentanza ai territori.
      Tuttavia per attuarla occorrerebbe una modifica della Costituzione, quindi appare ancora più chiara la sua natura ‘virtuale’ ed ipotetica.
      Spero di non aver annoiato qualcuno.
      Saluti!

  • Alzare la soglia di sbarramento al 5%, dare il 5% dei seggi totali al primo vincitore (lista o coalizione), ripartire tutto il resto come previsto dal Rosatellum. Avremmo una legge equilibrata.