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Politiche 2018: il voto è liquido ma si conferma il tripolarismo

Politiche 2018: il voto è liquido ma si conferma il tripolarismo

Le Politiche del 4 marzo hanno mostrato una serie di dinamiche su cui vale la pena soffermarsi. Il primo è la conferma del superamento del bipolarismo classico, imperniato sull’asse centrodestra-centrosinistra, poiché il Movimento 5 Stelle ha dato prova di essere un polo estremamente compatto e competitivo. Il secondo elemento consiste nell’alta volatilità elettorale, intesa come quota di elettori che hanno deciso di votare una formazione diversa rispetto a cinque anni prima.

Questa elezione conferma l’assetto tripolare emerso in occasione delle Politiche 2013. Aumenta però il tasso di bipolarismo: la somma dei voti ai due poli principali (centrodestra e Movimento 5 Stelle) è pari oggi al 69,7%, un valore più alto di quello di cinque anni fa, quando i primi due poli (centrosinistra e centrodestra) si fermarono al 58,7%. In parte, la dissoluzione di Scelta Civica può spiegare questa minore dispersione.

Il centrosinistra, perdendo oltre il 6%, da primo polo diventa il terzo. Ciononostante, nello scacchiere politico si ritrova potenzialmente determinante nella formazione della nuova maggioranza parlamentare. Anche questo è un elemento per certi versi innovativo poiché dal 1994 al 2008 i terzi poli hanno inciso poco sugli equilibri parlamentari e sull’agenda politica. Basti guardare il grafico che segue per farsi una idea precisa. Nel corso della Seconda Repubblica, fino al 2013, i primi due poli hanno ottenuto sempre percentuali superiori all’80% dei voti (con il picco massimo raggiunto nel 2006, anno in cui l’Unione e la Casa delle Libertà totalizzarono oltre il 99% dei voti).

Rimane pressoché invariato il tasso di bipartitismo, ossia la somma voti ai primi due partiti: era pari 51,1% nel 2013, è del 51,3% nel 2018. Ciò è dovuto al fatto che l’arretramento di oltre 6 punti del Partito Democratico è stato più che compensato dal balzo in avanti di 7 punti da parte del Movimento 5 Stelle. In definitiva, quindi, è rimasto quasi immutato l’assetto tripolare del 2013, ma al suo interno sono cambiati notevolmente i rapporti di forza tra i poli e tra partiti all’interno dei poli stessi.

Vediamo ora come si è evoluto il voto alle varie aree politiche. Il prossimo grafico mostra la distribuzione dei voti delle ultime 4 elezioni politiche. In dodici anni il quadro politico è completamente cambiato.

L’area progressista nel suo complesso ha perso costantemente terreno passando da oltre il 45% dei consensi a poco più del 25%. Il centrosinistra dal 2006 a oggi ha dimezzato i consensi, con un crollo netto proprio in occasione dell’ultima tornata.

La sinistra radicale ha raggiunto il suo picco massimo con le elezioni del 2006: dalla caduta del secondo governo Prodi si è aggirata costantemente intorno al 4-5% (considerando le principali formazioni alla sinistra del PD, interne o esterne alla coalizione).

La destra moderata (Pdl e Forza Italia) nelle prime tre tornate elettorali ha sempre ottenuto quote di voti maggiori rispetto all’area radicale composta da Lega e Alleanza Nazionale prima (2006), La Destra e Fratelli d’Italia poi. Le ultime elezioni hanno visto anche il sorpasso della destra radicale su moderata peraltro con un forte distacco (oltre 7 punti percentuali).

In sintesi, negli ultimi dodici anni l’elettorato del centrosinistra e del centrodestra si è eroso, confluendo in buona parte nel Movimento 5 Stelle e nella destra radicale.

La fluidità dell’offerta elettorale degli ultimi dieci anni ha generato negli elettori una maggiore propensione al cambiamento di voto tra un’elezione e l’altra. Ciò si traduce in una ridotta fedeltà partitica e in un aumento della volatilità elettorale.

L’indice di volatilità elettorale del 2018 è pari al 28%, il terzo dato più alto della storia dell’Italia repubblicana dopo quelli del 2013 e 1994 (entrambe elezioni “di rottura”). La novità, rispetto a questi due precedenti, risiede nel fatto che in questa tornata la volatilità non è stata generata dall’emersione di una nuova forza partitica (nel 1994 Forza Italia e La Rete; nel 2013 il Movimento 5 Stelle e Scelta Civica), ma solo ed esclusivamente dall’insieme degli spostamenti di voto tra i partiti già esistenti.

Un altro fenomeno notevole è poi quello del riallineamento elettorale all’interno del blocco politico del centrodestra. Infatti, il sorpasso della Lega su Forza Italia costituisce un evento raro: dal 1948 ad oggi sono avvenuti soltanto due sorpassi tra partiti afferenti alla stessa area: il PCI sul PSI nel 1953 e Forza Italia sul PPI nel 1994.

Vediamo ora come si sono effettivamente rimescolati gli elettorati. Lo facciamo con un occhio ai flussi elettorali sia rispetto alle scorse Politiche 2013, sia alle Europee del 2014, così come rilevati da sondaggio di Quorum per Sky TG24.

 

Dal 2013 sia il Partito Democratico, sia Forza Italia (all’epoca PDL) hanno perso quasi la metà dei loro elettori, mentre il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord sono riusciti a conservare oltre l’80% di chi li aveva già votati.

Queste due formazioni hanno incrementato i consensi riuscendo ad attingere ai voti di due bacini elettorali molto distanti fra loro.

Il Movimento ha strappato voti sia al PD (16% degli ex elettori democratici) sia da Scelta Civica (12% di ex montiani), mentre la Lega si e focalizzata nella conquista degli elettori appartenenti all’area di centrodestra, in particolare quelli del PDL (22%, oltre un quinto). Probabilmente questa capacità di attrazione di M5S e Lega ha contribuito a scongiurare il tanto temuto crollo dell’affluenza.

 

Rispetto alle elezioni Europee del 2014, invece, il Partito Democratico ha perso più della metà degli elettori (50,5%).

Anche in questo caso, sia la Lega che il M5S sono stati confermati da oltre l’80% di chi li aveva già votati. Forza Italia invece, in questa tornata, ha perso meno elettori rispetto al 2013 poiché era già avvenuta la scissione di Alfano che diede vita a NCD.

A sinistra, Liberi e Uguali è riuscita a convincere soltanto il 27,1% degli elettori della lista Altra Europa con Tsipras, forse a causa delle tensioni interne tra le componenti.

In conclusione, in cinque anni il nostro sistema partitico non si è ancora assestato. Rimane infatti alta la propensione degli elettori a votare formazioni diverse tra una elezione e l’altra, punendo i partiti che hanno avuto incarichi di governo. Oggi, governare può comportare un costo elettorale maggiore rispetto al passato e questo potrebbe avere delle ripercussioni negative nell’ottica della formazione di futuri esecutivi.


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Alessandro Latterini

Laureato alla Cesare Alfieri di Firenze. Appassionato di politica da sempre.

2 commenti

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    • Ciao! L’attendibilità dei flussi è quella tipica di un’indagine campionaria. In questo caso infatti parliamo di stime dei flussi di voto basate su domande di sondaggio, in cui si incrocia la dichiarazione di voto passato e quella sul voto attuale (esiste anche un altro tipo di calcolo dei flussi, tramite l’analisi dei voti reali di sezione, ma di norma è applicabile solo in contesti territoriali ristretti, come quelli comunali).

      In questo caso specifico, l’analisi dei flussi deriva da un sondaggio realizzato su un campione piuttosto consistente (oltre 3.200 interviste) e con un margine d’errore piuttosto limitato, pari a +/- 1,4% (intervallo fiduciario: 95%). Si tratta quindi – pur con tutte le cautele del caso, obbligatorie quando si parla di inchieste demoscopiche – di numeri abbastanza “robusti”.