YouTrend
Spagna al voto domenica: alto il pericolo di instabilità

Spagna al voto domenica: alto il pericolo di instabilità

Lo schema bipolare basato su PP e PSOE è ormai al capolinea: quale peso avranno Vox, Ciudadanos e Podemos?

Domenica 28 aprile in Spagna si terranno le elezioni anticipate per il rinnovo delle Cortes Generales, il Parlamento bicamerale formato dal Congreso de los Diputatos (equivalente della nostra Camera dei Deputati) e dal Senado. Alle urne, che resteranno aperte dalle 9 alle 20, i cittadini spagnoli potranno rinnovare tutti e 350 i seggi del Congreso e 208 senatori su 266 (i restanti 54 sono nominati dalle assemblee legislative delle singole Comunità Autonome).

La forma di governo in Spagna

La Spagna è una monarchia parlamentare, e le sue Cortes sono progettate come un sistema bicamerale imperfetto, cioè asimmetrico: il Congreso ha infatti un potere legislativo maggiore, è titolare esclusivo del rapporto di fiducia con il Governo e ha facoltà di annullare i veti del Senato. Tuttavia, il Senato ha alcune funzioni esclusive – anche se limitate nel numero – che non sono soggette ai veti del Congresso.

Le Cortes Generales sono normalmente elette ogni quattro anni, ma sono possibili (come in questo caso) elezioni anticipate. Il Capo del Governo, infatti, ha il potere di sciogliere entrambe le camere e di indire nuove elezioni. L’attuale legislatura avrebbe dovuto concludersi nel 2020, ma il premier Sanchez ha deciso di interromperla in anticipo dopo essere stato sconfitto sulla legge di bilancio.

Ma come si elegge il Capo del Governo? L’iter della formazione del Governo è regolato dall’art. 99 della Costituzione spagnola, che recita:

Dopo ogni rinnovo del Congresso dei Deputati e nelle altre circostanze costituzionali in cui ciò si riveli necessario, il Re […] proporrà un candidato alla Presidenza del Governo.

Il candidato proposto […] esporrà di fronte al Congresso dei Deputati il programma politico del Governo che intende formare e solleciterà la fiducia della Camera.

Ove il Congresso dei Deputati conceda a maggioranza assoluta la sua fiducia a detto candidato, il Re lo nominerà Presidente del Governo. Ove non si raggiunga detta maggioranza, si sottoporrà la stessa proposta a nuova votazione quarantotto ore dopo la precedente, e la fiducia s’intenderà concessa ove si ottenga la maggioranza semplice.

[…]

Qualora, trascorso il termine di due mesi a partire dalla prima votazione sulla fiducia, nessun candidato avesse ottenuto la fiducia del Congresso, il Re scioglierà entrambe le Camere e indirà nuove elezioni con la controfirma del Presidente del Congresso.

In Spagna è anche presente l’istituto della sfiducia costruttiva (disciplinato dagli articoli 113 e 114 della Costituzione): esso rafforza la stabilità degli esecutivi, dal momento che consiste nell’impossibilità – da parte del Congresso – di sfiduciare il governo in carica se, contemporaneamente, non concede la fiducia ad un nuovo esecutivo. Questo è precisamente ciò che è accaduto l’anno scorso, quando la mozione di sfiducia del PSOE ha estromesso Mariano Rajoy dal governo e lo ha sostituito con Pedro Sanchez.

Il sistema elettorale in Spagna: un “proporzionale disproporzionale”

I 350 seggi del Congreso de los Diputatos vengono scelti utilizzando un sistema elettorale proporzionale con metodo D’Hondt e liste bloccate. Il territorio nazionale è diviso a tal fine in 52 circoscrizioni, corrispondenti alle 50 province e alle 2 exclavi in Marocco (ossia Ceuta e Melilla). Ogni circoscrizione, salvo Ceuta e Melilla che eleggono un deputato ciascuno, ha diritto ad un minimo iniziale di due seggi, mentre i restanti 248 sono assegnati in proporzione alla popolazione di ciascuna provincia. La soglia di sbarramento, applicata in ogni circoscrizione, è pari al 3 per cento del totale di voti validi e schede bianche. Di fatto, però, la combinazione tra metodo D’Hondt (tra le formule di assegnazione più disproporzionali e penalizzanti per i piccoli partiti) e ridotta magnitudo circoscrizionale (cioè pochi seggi in palio) fa sì che la soglia effettiva sia in molti casi ben superiore al 3%, e soprattutto variabile a seconda della circoscrizione.

Madrid e Barcellona le circoscrizioni più grandi con oltre 30 deputati

I 208 senatori, invece, sono eletti direttamente attraverso un sistema maggioritario plurinominale. Il territorio nazionale è diviso in 59 circoscrizioni e gli elettori votano per i singoli candidati invece che per i partiti. In particolare, si possono votare fino a tre candidati nelle circoscrizioni che eleggono 4 senatori, fino a due in quelle che esprimono 2-3 senatori e uno solo laddove vi è un unico seggio senatoriale in palio.

Come si è giunti a queste elezioni?

Alla elezioni del 2016 il Partito Popolare (PP) di Mariano Rajoy era riuscito a riottenere la guida del Paese, bissando sostanzialmente il risultato delle elezioni precedenti (tenutesi solo sei mesi prima) e infine formando – non senza difficoltà – un governo di minoranza con l’appoggio esterno dei liberali di Ciudadanos e con l’astensione del PSOE, che nel frattempo aveva allontanato Sánchez dalla leadership del partito.

Il potere di Rajoy fu duramente messo alla prova dalla crisi costituzionale relativa alla questione catalana: la strategia della repressione utilizzata per fermare l’escalation indipendentista della Comunità di Barcellona non si rivelò efficace. Rajoy riuscì comunque a sopravvivere alla sfida catalana, ma si arrese di fronte allo scandalo di corruzione che nel frattempo aveva travolto il suo partito: il processo sul caso Gürtel si è infatti concluso infatti il 24 maggio dell’anno scorso con delle sentenze di condanna per un totale di 351 anni di carcere per 29 imputati. Secondo i giudici, una vasta rete di favori e tangenti era diretta dall’es tesoriere del PP Luis Bárcenas, condannato a 33 anni di reclusione.

Sánchez, che nel frattempo era ritornato leader del PSOE, presentò così una mozione di sfiducia verso Rajoy: l’istituto della sfiducia costruttiva ha pertanto permesso al leader dei socialisti di far tornare il suo partito al potere dopo 7 anni di governo Rajoy, seppur con un governo di minoranza. Contestualmente all’addio al governo, Rajoy lasciò anche la guida dei popolari: in questo ruolo è stato sostituito da Pablo Casado, eletto leader al XIX Congresso del PP.

Il 2 dicembre scorso ha avuto luogo il terremoto delle elezioni regionali in Andalusia, storico feudo del PSOE: sebbene quest’ultimo sia riuscito a riconfermarsi come partito di maggioranza relativa, il Governo della Comunità Autonoma più popolosa della Spagna è passato – dopo 40 anni di potere ininterrotto dei socialisti – al centrodestra, poiché il leader locale del PP Juan Manuel Moreno è riuscito a stringere un patto di coalizione con Ciudadanos e con l’estrema destra di Vox.

L’Andalusia ha avuto serie conseguenze sulla politica nazionale. Negli ultimi mesi Sánchez ha fatto il possibile per proseguire il mandato, cercando di far approvare una legge di bilancio. Ha stretto a tal fine un patto con Podemos per introdurre misure di welfare di grande impatto, come l’aumento del salario minimo a 900 € mensili e la rivalutazione delle pensioni. Sánchez, poi, ha fatto concessioni simboliche agli indipendentisti catalani e ha tenuto un Consiglio dei ministri a Barcellona, incontrando persino il Presidente della Generalitat de Catalunya Quim Torra per riprendere il dialogo iniziato a luglio.

Al contrario, il Partito Popolare, Ciudadanos e Vox sono scesi insieme in piazza per accusare Sánchez di avere ceduto alle esigenze degli indipendentisti. Tra le altre cose, la manifestazione ha mostrato che i popolari non puntano più a vincere le elezioni da soli, ma a riproporre un’alleanza di governo di destra-centrodestra sul modello andaluso.

Il governo del PSOE è naufragato quando lo scorso 13 febbraio il parlamento spagnolo ha bocciato la legge di bilancio, perché i partiti catalani alleati col PSOE (ossia PdCat e ERC), si sono schierati contro il PSOE stesso. Questi due partiti locali, in realtà, non avevano niente contro la legge di bilancio in sé, ma l’hanno affossata per via del fallimento delle trattative sulla Catalogna. Sánchez, infatti, sperava di ottenere i voti dei due partiti nazionalisti catalani, indispensabili per approvare la legge di bilancio. Il risultato è stata la caduta del suo governo.

I sondaggi (e gli scenari)

Lo storico modello bipolare spagnolo, che si era retto per oltre 30 anni sulla periodica alternanza tra PP e PSOE, è ormai innegabilmente al capolinea: l’affermazione di nuove forze politiche – a sinistra (Podemos), al centro (Ciudadanos) e a destra (Vox) – ha costretto i due storici partiti a ripensarsi internamente e talvolta a stringere, dapprima a livello locale e comunque non senza difficoltà, alleanze con queste nuove creature politiche.

Gli ultimi sondaggi prevedono un’affermazione del PSOE come partito di maggioranza relativa, stimandolo attorno al 29,1%. Il PP, invece, perderebbe oltre un terzo dei suoi consensi rispetto alle ultime elezioni: la nostra media dei sondaggi più recenti dà infatti lo storico partito di centrodestra al 20,7%. Il terzo posto dovrebbero contenderselo Ciudadanos e Pomedos, dal momento che le due formazioni sono date, rispettivamente, al 15 e al 13,4%. Vox, che non ha deputati eletti nell’attuale legislatura, si attesterebbe al 10,7%.

L’esito elettorale, pertanto, è abbastanza incerto. La formazione del futuro governo costituisce una vera e propria incognita: come già avvenuto nel 2015 e nel 2016, questa tornata riproporrà un Parlamento frammentato, incardinato su più poli difficilmente coalizzabili. Da una parte ci sono i socialisti in crescita e Podemos in difficoltà; dall’altra una destra a tre facce con il PP a fare da cerniera tra gli outsider di Vox e i centristi di Ciudadanos.

Addio bipolarismo: dai 4 poli del 2016 ai 5 di oggi

Se i risultati elettorali dovessero confermare i sondaggi, uno sbocco ipotizzabile potrebbe essere un’alleanza tra i socialisti e Ciudadanos. Tuttavia, in questa campagna estremamente polarizzata, i leader di questi due partiti continuano a definire i rispettivi programmi come incompatibili. L’ago della bilancia potrebbero essere i partiti autonomisti locali, in particolar modo quelli catalani, baschi e valenciani. Non è comunque escluso che – in caso di stallo persistente – si possa ritornare alle urne nel giro di pochi mesi, in virtù del già citato articolo 99 della Costituzione.

Alessio Vernetti

Nato nel 1997, si è laureato in relazioni internazionali all'Università di Torino, ma ha studiato anche a Sciences Po Lille e ha frequentato il Summer Program della LUISS. Nel 2019 è entrato nel team Quorum ed è coordinatore contenuti di YouTrend.
La sua vita sociale diminuisce considerevolmente man mano che ci avviciniamo alle elezioni.

3 commenti

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

  • Penso che l unico governo.possibile sia un governo di cdx…se Ciudadamos acettera’ e se ci saranno voti sufficienti…parlare di vittoria dei socialisti e’ assurdo

  • Vox non e’ un partito di ex dx anzi ha interessanti visioni liberiste nel programma economico…..il modello andaluso puo essere riproposto