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Impeachment: come finirà per Donald Trump?

Impeachment: come finirà per Donald Trump?

Negli USA va avanti l’inchiesta per l’impeachment di Donald Trump. Ecco tutti i precedenti e i dati dei sondaggi

Come noto è in corso la procedura di impeachment contro il Presidente Donald Trump in seguito alle dichiarazioni di due whistleblowers in merito a presunte pressioni effettuate sul Governo ucraino, sia personalmente sia per il tramite di alcuni collaboratori personali come l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani. L’obiettivo del Presidente Trump sarebbe stato far aprire dall’Ucraina un’indagine contro Joe Biden, attuale candidato alle primarie del Partito Democratico in vista delle elezioni presidenziali 2020, e contro suo figlio Hunter. Sembra che Trump abbia condizionato la concessione di importanti aiuti economici e militari all’avvio dell’inchiesta.

In molti si sono chiesti e si chiedono tuttora se la scelta di avviare la procedura di impeachment (di cui vi avevamo già parlato in termini generali quando alcune forze politiche italiane intendevano avviare la messa in stato d’accusa contro Sergio Mattarella) risulterà o meno vantaggiosa in termini di consenso per i democratici.

I sondaggi su Trump

Attualmente gli Stati Uniti appaiono come un Paese spaccato in due. Da un lato, il tasso di approvazione medio sull’operato di Trump risulta piuttosto basso: ad oggi è al 41,8% a fronte di un 53,6% che disapprova, con un trend molto stabile rilevato da FiveThiryEight. La situazione, però, cambia significativamente se osserviamo i sondaggi sulla procedura di impeachment a cui sta venendo sottoposto il Presidente. Analizzando le rilevazioni in merito, infatti, si può rilevare come i cittadini statunitensi favorevoli siano “solamente” pari al 48,8%, una percentuale poco distante dal 43,5% di contrari alla procedura (anche in questo caso si vedano i dati e le analisi di FiveThirtyEight).

 

Su tale dato occorre fare due precisazioni. Innanzitutto, appare ictu oculi evidente come l’andamento sia stato tutt’altro che costante. I sondaggi precedenti alla fine di settembre si riferivano ancora al Mueller Report, l’inchiesta sulla partecipazione di Trump nelle ingerenze della Russia sulle elezioni 2016. Da fine settembre, invece, con lo scoppio dell’Ucrainagate e l’avvio della nuova inchiesta (tuttora in corso alla Camera) le proporzioni si sono invertite e i favorevoli hanno superato i contrari.

In secondo luogo si deve notare come tale rilevazione sia la risultante di due diverse serie di indagini demoscopiche: la prima riguarda l’opinione degli statunitensi sull’opportunità di avviare o meno la procedura e vede i favorevoli prevalere di più di dieci punti (52,4% a fronte del 42,3% di contrari). Ben diverse appaiono, invece, le posizioni degli elettori sull’opportunità di finalizzare la procedura di impeachment e di vedere Trump rimosso dal suo incarico. In questo secondo caso, infatti, la distanza tra favorevoli e contrari si riduce a soli 3,6 punti percentuali.

 

 Gli impeachment passati

In una situazione simile può essere quindi utile analizzare cos’è accaduto nelle precedenti occasioni in cui un Presidente USA è stato sottoposto a impeachment.

I primi tentativi risalgono alla metà del XIX secolo (John Tyler nel 1843, la cui procedura venne avviata dal suo stesso Partito e James Buchanan nel 1860), ed entrambi si risolsero senza porre fine alla procedura e senza particolari strascichi elettorali, anche in considerazione della scarsa estensione territoriale e del ridotto corpo elettorale dell’epoca.

Pertanto, è possibile affermare che solamente due Presidenti sono stati sottoposti a impeachment nella storia degli Stati Uniti, Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998, mentre nel 1978 Richard Nixon si dimise prima che la procedura venisse avviata.

Andrew Johnson

L’accusa principale contro Johnson, repubblicano unionista divenuto Presidente in seguito all’omicidio di Abraham Lincoln, fu la violazione del “Tenure of Office Act, approvato dal Congresso nel marzo 1867. In particolare, Johnson veniva accusato di aver indebitamente rimosso dall’incarico il Segretario alla Guerra Edwin M. Stanton e di aver tentato di sostituirlo con il Generale Lorenzo Thomas (in precedenza, mentre il Congresso non era in sessione, Johnson aveva già sospeso Stanton e nominato ad interim il futuro Presidente Ulysses S. Grant come Segretario alla Guerra). Johnson divenne, così, il primo Presidente americano ad essere sottoposto a impeachment. Si salvò per pochissimo: poiché al Senato furono 35 i favorevoli alla condanna e 19 i contrari, non fu raggiunta la necessaria maggioranza dei due terzi per un solo voto.

Le successive elezioni del 1868 videro la conferma alla Presidenza del Partito Repubblicano, con la vittoria del già citato Grant contro il democratico Horatio Seymour con un buon margine di voto popolare (52,7% a 47,3%) e un ampio margine di grandi elettori (26 a 8).

Bill Clinton

130 anni dopo, nel 1998, fu il turno del democratico Bill Clinton, accusato di aver mentito sotto giuramento riguardo i suoi rapporti con l’ex stagista della Casa Bianca Monica Lewinski. La procedura venne avviata l’8 ottobre alla Camera e anche in questo caso al Senato non venne raggiunta la necessaria maggioranza dei due terzi dei componenti e Clinton venne assolto, nonostante la maggioranza repubblicana in entrambe le Camere.

Poco meno di un mese dopo, il 3 novembre, si votò per le elezioni di midterm. I Repubblicani mantennero il controllo di entrambe i rami del Parlamento ma i democratici guadagnarono cinque seggi alla Camera. Era dal 1934 che il partito del Presidente in carica non guadagnava seggi in una delle Camere alle elezioni di metà mandato. I Repubblicani erano convinti di ottenere risultati migliori e ciò portò addirittura Newt Gingrich, all’epoca Speaker della Camera dei Rappresentanti a rassegnare le dimissioni.

Il dibattito politico sulla decisione dei repubblicani di avviare la procedura di impeachment contro Bill Clinton è tuttora in corso. Vi è senz’altro una vulgata diffusa, secondo la quale al GOP (“Grand Old Party”, la sigla del Partito Repubblicano) tale scelta non abbia giovato. Come ha acutamente notato David Leonhardt sul New York Times, però, in un clima di forte crescita economica e di protagonismo degli Usa in politica estera la scelta di avviare l’impeachment spostò l’attenzione dalla condotta del Presidente Clinton a quella dell’uomo Clinton.

Ciò consentì ai repubblicani di mantenere il controllo di entrambe le Camere e spianò la strada alla vittoria di George W. Bush alle elezioni del 2000, ove la questione del decoro e della rispettabilità dell’ufficio presidenziale fu uno dei mantra contro Al Gore, che di Clinton era stato Vice Presidente. Il tutto, con un tasso di approvazione dell’operato del Clinton Presidente che si attestava intorno al 60 %.

Come finirà per Donald Trump?

Gli esiti della procedura in corso contro Donald Trump sono, ovviamente, incerti. Da un lato è molto probabile che la Camera, a maggioranza democratica, dia il via alla procedura di impeachment, mettendo così in stato d’accusa Trump. I Repubblicani, però, controllano saldamente il Senato (53 seggi contro i 45 dei democratici cui si aggiungono i due indipendenti Sanders e King), e servirebbe che almeno 20 di loro votassero per rimuovere il Presidente. Comunque, le voci di una cospicua pattuglia di “never Trumper Senators” che potrebbe votare a favore dell’impeachment (e, quindi, per liberare il Partito Repubblicano da una presenza così ingombrante) si fanno sempre più insistenti.

Per ora, sembra che i simpatizzanti e gli elettori di entrambi i fronti siano convinti che la scelta di avviare l’impeachment favorirà i rispettivi Partiti, come rilevato da un recentissimo sondaggio effettuato in Iowa (Stato cruciale in quanto il primo a celebrare le elezioni primarie). Starà ai democratici e al loro candidato alle elezioni Presidenziali del 2020 – che verrà nominato da primarie molto incerte – capitalizzare al massimo l’occasione.

Francesco Magni

Nato a Roma nel 1988, dopo la laurea in giurisprudenza ha esercitato per tre anni la professione di avvocato. Oggi è funzionario del Ministero dell'Interno. Mantiene vivi la passione e l'interesse per le questioni politiche ed elettorali che cerca sempre di analizzare, ove possibile, alla luce della sua formazione giuridica.

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