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Comunali: il ritorno delle (ex) Zone Rosse?

Comunali: il ritorno delle (ex) Zone Rosse?

Le elezioni politiche del 4 marzo hanno decretato la fine dell’egemonia del centrosinistra nelle ‘zone rosse’ (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche) a beneficio dei due poli avversari (centrodestra e M5S). Come sottolineato in precedenza, le zone rosse restano la macro-area in cui il centrosinistra raccoglie i suoi maggiori consensi, ma nonostante una tenuta superiore rispetto alle altre macro-aree, la coalizione guidata dal PD era riuscita a mantenere la prima posizione solo in Toscana.

Le elezioni amministrative di domenica scorsa sono state il primo vero banco di prova per i principali attori politici nazionali per testare il loro ‘stato di salute’ in diverse aree del Paese (nonché quello del ‘tripolarismo imperfetto’ del nostro sistema politico).

Nelle 4 regioni centrali identificate come ‘zone rosse’, per quasi tutto l’arco della storia repubblicana i partiti di sinistra/centrosinistra hanno letteralmente dominato la scena politica a tutti i livelli istituzionali. Anche il venir meno della cornice ideologica del comunismo, alla fine della Prima Repubblica, non produsse nell’immediato uno scongelamento elettorale. Difatti nella stragrande maggioranza dei casi il centrosinistra continuò a governare indisturbato nelle giunte locali (comunali, provinciali e regionali). Lo scongelamento si è avviato solo nell’ultimo decennio, in concomitanza con la crisi economica, con l’emersione di terze forze (cioè il Movimento 5 Stelle) e infine con lo scoppio di scandali legati alla corruzione.

Come sostiene Enrico Mentana nell’intervista contenuta nel libro “Una Nuova Italia“, oggi l’area di centrosinistra vive per certi versi una situazione paradossale in quanto, pur avendo perso cospicue quote di consenso, essa rimane al tempo stesso la componente politica più organizzata, dal momento in cui le miriadi di associazioni che fanno riferimento a questo mondo continuano ad operare sui territori e a non provocare ulteriori perdite di consenso.

Una riprova di ciò si è avuta, per certi versi, proprio nella tornata elettorale di domenica scorsa: nelle quattro (ex?) regioni rosse sono andati al voto complessivamente 62 comuni di cui 16 superiori (cioè con più di 15 mila abitanti).

Rispetto alle Comunali precedenti, l’affluenza è calata in tutte e quattro le regioni, in particolare in Umbria, in cui si è registra un abbassamento di quasi sette punti percentuali. Ciò è dovuto in buona misura alla diserzione di gran parte degli elettori nella città di Terni a seguito del commissariamento del comune avvenuto lo scorso febbraio. Emilia-Romagna e Marche registrano una diminuzione di oltre quattro punti, mentre in Toscana la diminuzione è meno marcata.

Alla vigilia delle elezioni il polo “incumbent” era – anche qui – rappresentato dal centrosinistra, il quale governava nel complesso 13 comuni superiori su 16 e tutti e cinque i comuni capoluogo (Ancona, Massa, Pisa, Siena e Terni).

Il risultato, in termini di voti andati alle coalizioni ha visto ridursi notevolmente la distanza tra centrodestra e centrosinistra. Infatti, nei comuni di queste regioni il centrosinistra risulta ancora il polo più votato (32,8%), ma è tallonato dal centrodestra (31,2%). Qui il centrosinistra ha totalizzato una percentuale molto più alta rispetto al Centro-Sud (14,%) ma leggermente più bassa rispetto al Nord (35,5%), area dove però il centrodestra unito ha superato ampiamente il 40% .

Il Movimento 5 Stelle, che alle Politiche era stato in grado di spezzare il fragile bipolarismo, in questa tornata non è riuscito ad incidere significativamente. Difatti è rimasto relegato ad una percentuale ruotante attorno al 15%. Un altro dato importante è rappresentato dal buon risultato elettorale della sinistra non alleata del PD, che in queste zone ottiene percentuali addirittura tre volte più grandi che nelle altre zone del Paese, segno inequivocabile che qui la sinistra (nonostante il calo complessivo), per molti rappresenta ancora un punto di riferimento politico e culturale. Questo risultato è stato generato inoltre dal riposizionamento a sinistra di molti dirigenti locali fuoriusciti del Partito Democratico a febbraio del 2017, che hanno sottratto quote non indifferenti di voto alle coalizioni classificate come centrosinistra. Infine, le liste civiche indipendenti hanno ottenuto una quota complessiva del 15%, un dato consistente anche se molto inferiore rispetto a quello visto ad esempio nei comuni del Centro-Sud.

Fin qui il quadro generale. Ma vediamo in dettaglio la situazione dei cinque capoluoghi di provincia:

  • Ancona – Nell’unico capoluogo di regione al voto, il centrosinistra è in netto vantaggio con il 47,9% dei voti sul centrodestra fermo al 28,4%. Stabile il Movimento 5 Stelle con il 17,1%. Un dato del genere è anche il risultato di una compatta offerta elettorale dell’area di centrosinistra. Difatti vi è stata un’unica coalizione rappresentativa di tutte le anime progressiste (quella democratica ma anche quella ecologica, socialista e quella cristiano sociale). Il ballottaggio potrebbe ribaltare l’esito del primo turno solo se la stragrande maggioranza degli elettori dei candidati esclusi votassero compatti il secondo arrivato, il candidato di centrodestra Stefano Tombolini.
  • Massa – La pur ampia coalizione di centrosinistra a sostegno del sindaco uscente Volpi (che 5 anni fa fu eletto al primo turno con il 54%) è arrivata prima, ma solo con il 33,9% dei voti, cinque punti più del centrodestra guidato da Persiani. Terzo il Movimento 5 stelle con poco più del 15%. Le prossime due settimane saranno molto impegnative per entrambi i candidati, i quali dovranno convincere sia gli elettori pentastellati sia i supporters delle altre liste civiche, che hanno raccolto nel complesso 16,4% del totale dei voti. La partita è apertissima. Lo scenario è molto interessante perché esistono i presupposti (elettorali) di un accordo tra M5S e Lega, prima lista della coalizione di centrodestra con più del 10% (e che alle Politiche aveva ottenuto addirittura il 20%, superando di un soffio il PD).
  • Pisa – Scenario di voto inedito nel capoluogo di provincia. Anche qui 5 anni fa il centrosinistra vinse al primo turno, e anche qui arretra di venti punti percentuali, confermando grossomodo il risultato ottenuto alle politiche (30,5%). La Lega rafforza la sua leadership nel centrodestra, diventando addirittura il primo partito con il 24,7% (7 punti in più che alle Politiche). Solo secondo il Partito Democratico con il 23,6%. In questi 15 giorni il candidato dei democratici deve puntare ai consensi della sinistra radicale (corrispondente al 10% del totale dei voti) mentre il candidato della Lega potrà attingere al bacino dei 5 Stelle, fermi al 9,9% (contro il 23,7% raccolto il 4 marzo). L’ago della bilancia è costituito da quel 15% di elettori che hanno supportato progetti civici. Saranno questi elettori a decidere se Pisa avrà il primo sindaco non ‘rosso’ della sua storia.
  • Siena – Nella città dove alle Politiche il PD schierò l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan (primo con il 38%) vi sarà un testa a testa estremamente serrato. Il sindaco uscente Valentini (PD) che già 5 anni fa vinse di misura al ballottaggio (per 52 a 48) stavolta si ferma al 27,4% mentre il suo sfidante di centrodestra De Mossi al 24,2%. Ma qui l’offerta elettorale nell’area della sinistra è stata estremamente frammentata , principalmente a causa della presenza della candidatura indipendente dall’ex sindaco degli anni ’90 Pierluigi Piccini, giunto terzo con il 21,3% dei voti. Un’altra rete di liste civiche guidata da Massimo Sportelli ha ottenuto il 16%. Grande assente in questa competizione è stato il Movimento 5 Stelle, che alle Politiche si era fermato poco sotto il 20% e qui non si è presentato. Se vi sarà un apparentamento tra Valentini e Piccini (un po’ come avvenuto a Padova lo scorso anno), l’esito del ballottaggio potrebbe essere favorevole al centrosinistra.
  • Terni – Il caso di Terni è certamente uno dei più interessanti di questa tornata elettorale. Città operaia, per anni punto di riferimento della sinistra umbra (e non solo), roccaforte rossa da sempre (ad eccezione dei primi anni ’90). Qui negli ultimi dieci anni la sinistra ha perso oltre metà dei consensi. Il commissariamento del comune, dopo la fase di spostamento al centro del PD, non è stato affatto gradito dagli elettori, che hanno riposto la loro fiducia nei confronti di nuove forze politiche. Quattro anni fa il centrosinistra al primo turno ottenne il 46% dei voti totali per poi vincere senza problemi al ballottaggio. Oggi sprofonda al terzo posto (come alle Politiche) e resta fuori dai giochi con un misero 15%. Il centrodestra balza al 49%, sfiorando la vittoria al primo colpo: la Lega conquista gran parte dei voti operai e diventa primo partito con oltre il 29%. Per il Movimento 5 Stelle, secondo con il 25% – il 4 marzo fu il 30% – la vittoria al ballottaggio sembra difficile, ma non impossibile.

Da questa analisi emergono diversi elementi in comune. Il primo fra tutti è l’elevata competitività del centrodestra. Fino a qualche anno fa in queste città la coalizione otteneva percentuali di consenso bassissime e non riusciva a trarre alcun beneficio dalla figura del proprio leader Silvio Berlusconi. Oggi non è più così: in tutte le storiche roccaforti rosse si aggira intorno al 30% ed è in grado di potersela giocare ovunque (ad eccezione di Ancona). Il secondo elemento comune a tutti questi comuni, specularmente, è il deludente risultato del Movimento 5 Stelle, un fattore che in queste Comunali si è riscontrato anche in altre parti del Paese. Tuttavia, come insegna il caso di Terni, se si aprono degli spazi politici a causa dell’implosione di uno dei due poli ‘tradizionali’, il Movimento torna ad essere competitivo. Infine, il centrosinistra ottiene percentuali maggiori rispetto a molte aree del paese ma ciò non è più sufficiente a garantirgli la vittoria sin dal primo turno e perciò dovrà giocarsela, in qualche caso rischiando, nei ballottaggi.

Infine, una menzione a parte merita il caso di Spoleto, tornato al voto soltanto quattro anni dopo a causa del decesso del sindaco in carica. In questa tornata elettorale, dove era assente il M5S, il governo uscente di centrodestra (che al ballottaggio sconfisse il PD convogliando su di sé la quasi totalità dei voti dei candidati esclusi) è stato premiato, confermando il buon risultato delle Politiche (anche qui con la Lega nettamente prima forza della coalizione), mentre il centrosinistra si ritrova a inseguire. Quasi certa la riconferma del centrodestra, grazie ai voti che al primo turno sono andati alla vice-sindaca uscente Bececco, candidatasi con due liste civiche (e che ha ottenuto oltre il 25%). Già nel 2014, anno dello ‘tsunami’ renziano, Spoleto e Perugia furono il simbolo della “rivalsa” sul pluridecennale dominio rosso. Una eventuale riconferma del centrodestra non sarà quindi una sorpresa.

In conclusione, la mutazione genetica sta avvenendo in maniera repentina e questo rende molto interessanti (e molto incerte) le Regionali che si terranno l’anno prossimo in Emilia-Romagna e tra due anni in Toscana, Umbria e Marche.

Alessandro Latterini

Laureato alla Cesare Alfieri di Firenze. Appassionato di politica da sempre.

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