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2013-2018: i 5 anni che hanno “capovolto” lo scenario politico

2013-2018: i 5 anni che hanno “capovolto” lo scenario politico

Cinque anni dopo, rieccoci qui: alla conclusione di una XVII legislatura vissuta in maniera tormentata e tormentosa e passata attraverso 3 diversi presidenti del Consiglio (Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni) e due presidenti della Repubblica, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, si torna a vivere l’atmosfera di una campagna elettorale nazionale che definirà la nuova composizione di Camera e Senato.

Un numero tanto elevato di premier differenti nell’arco di una sola legislatura non si vedevano dalla fine degli anni ’90, quando tra il 1996 e il 2001 il centrosinistra (allora si chiamava l’Ulivo) sostenne prima Romano Prodi, poi Massimo D’Alema ed infine Giuliano Amato. Dalla campagna elettorale che portò alle elezioni politiche del 2013 è cambiato tanto, quasi tutto, segno che 5 anni, con la velocità del mondo contemporaneo, sono diventati per la politica nostrana una vera e propria era geologica.

La prima evidenza è la nuova legge elettorale, ovviamente: niente più Porcellum e premi di maggioranza, giudicati incostituzionali, ma il ritorno a un sistema misto, con il Rosatellum che assegna circa due terzi dei seggi in modo proporzionale e poco più di un terzo con i collegi uninominali maggioritari. Sarebbe però assai riduttivo fermarsi a questo, visto che lo scenario della politica italiana in un lustro si è letteralmente ribaltato di 180°, vedendo mutare radicalmente i protagonisti della sfida elettorale: a fine gennaio 2013, quando al voto del 25 febbraio mancava circa un mese, il vincitore annunciato delle elezioni era per tutti Pierluigi Bersani. Segretario del PD e, dopo aver sconfitto Renzi e Vendola alle primarie, capo della coalizione Italia. Bene Comune data nei sondaggi al 35-36%: un risultato buono, seppur non straordinario, che avrebbe permesso a Bersani di sedersi a Palazzo Chigi proprio grazie al premio di maggioranza che il Porcellum dava, alla Camera, alla coalizione vincitrice. Nessun istituto, infatti, attribuiva alla coalizione di centrodestra un risultato superiore al 28%. Il margine sembrava dunque netto: 7-8 punti percentuali che avrebbero dovuto garantire al centrosinistra di “smacchiare il giaguaro” berlusconiano (per riprendere un poco sfortunato slogan) dell’epoca e garantire alla coalizione PD-SEL (eventualmente allargata ai montiani di Scelta Civica) 5 anni stabilmente alla guida del Paese. Le cose, come sappiamo, sono andate in maniera molto diversa, con i risultati finali che videro il centrosinistra vincere di un’incollatura sul centrodestra sia alla Camera (29,55% contro 29,18%) che al Senato (31,63% contro 30,72%), dove però la “lotteria” dei premi di maggioranza regionali non consegnò una maggioranza di seggi sufficiente a governare allargandosi solo ai montiani – né tantomeno da soli. L’altra grande sorpresa rispetto ai sondaggi fu il risultato del Movimento 5 Stelle: dato intorno al 16% a 30 giorni dal voto, fu invece la lista più votata alla Camera con il 25,56% ed oltre 8 milioni e mezzo di voti.

I risultati delle Politiche 2013 nella mappa interattiva navigabile di YouTrend

Ad oggi è il centrodestra a godere di un vantaggio abbondante nelle intenzioni di voto, (nell’ultima Supermedia attesta il “quadrilatero” composto da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e centristi si attesta al 36,4% mentre i 5 Stelle e il centrosinistra a trazione PD si fermano a circa 10 punti pieni di distanza, tra il 28% e 27% rispettivamente). I precedenti, non solo quello appena citato del 2013, ma anche la rimonta berlusconiana del 2006 o il trionfo del PD alle Europee 2014 (quando ci si aspettava un testa a testa con il M5S), ci insegnano però che nulla è davvero scontato sino al momento dello spoglio dei voti reali. È però vero che rispetto alle ultime elezioni politiche il fenomeno pentastellato, che all’epoca aveva fatto “saltare il banco”, è enormemente più conosciuto e quindi il suo elettorato di riferimento risulta molto più tracciabile per i sondaggisti.

Ad essere mutati non sono però solo i rapporti di forza tra gli schieramenti in campo, ma anche le figure di rifermento degli stessi: l’ormai celebre “non vittoria” di Bersani segnò per lui l’inizio della fine all’interno del Partito Democratico, sancito dall’addio ufficiale arrivato l’ultimo giorno di febbraio del 2017. Adesso l’ex segretario Dem corre con Liberi e Uguali insieme a Grasso e a tutta la sinistra che si è ribellata alla leadership di Matteo Renzi. Proprio lui, l’uomo nuovo, lo sconfitto delle primarie del 2012, arriva alle prime elezioni politiche della sua vita da leader del PD avendo già assaggiato più volte la polvere e l’altare di manzoniana memoria, dalla tra la presidenza del Consiglio alla sconfitta del referendum costituzionale 2016 passando per il trionfo alle Europee 2014.

La scena è rinnovata però anche in casa del Movimento 5 Stelle: da neonata forza di rottura, trascinata dal carisma e dai ‘vaffa’ di Beppe Grillo e da un’infornata di facce nuove ed estranee alla politica, i pentastellati si sono trasformati nel primo partito italiano ed ambiscono ad essere riconosciuti anche in Europa come credibile forza di governo. Il comico genovese si è fatto da parte lasciando il timone proprio ad uno di quei volti puliti sbarcati a Montecitorio come alieni: il napoletano Luigi Di Maio, che ha ultimato la trasformazione del Movimento da opposizione di piazza a vero e proprio partito in ‘giacca e cravatta’.

Resta, come filo conduttore, Silvio Berlusconi: il suo è un eterno ritorno, nonostante quella del 2018 sarà la prima tornata elettorale dal 1994 che non lo vedrà nelle liste né in cerca di un seggio parlamentare né in qualità di candidato alla presidenza del Consiglio. L’ex Cavaliere è ineleggibile, ma al tempo stesso sembra insostituibile. È ancora lui la pietra angolare dell’alleanza di centrodestra che vede in Forza Italia, pur ridimensionata nei numeri al passato, il primo partito della coalizione, nonostante le ambizioni di premiership di Matteo Salvini. E proprio dalla volontà di Berlusconi, seppur fuori dal Parlamento, passerà verosimilmente il nome del prossimo premier; sempre che quest’ultimo mese di campagna elettorale non mescoli nuovamente tutte le carte dei protagonisti di questa elezione.

Matteo Senatore

Sono un ragazzo torinese laureato in Comunicazione Pubblica e Politica. Gran chiacchierone, da sempre amante dello sport, delle campagne elettorali e del cinema. Mi illudo ancora che la legge elettorale debba rappresentare le regole del gioco più profonde di un paese.

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