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Perché le elezioni in New Jersey e Virginia sono test importanti per i Dem

Si vota per i governatori in due Stati USA: molto probabile una vittoria Dem in New Jersey, mentre la partita è aperta in Virginia.

Oggi negli Stati Uniti si tengono le elezioni per il governatore in Virginia e New Jersey, due Stati che alle elezioni dell’anno scorso hanno visto vincere i Dem.

 

Le elezioni in New Jersey: una vittoria sicura per i Dem

Il New Jersey è un piccolo Stato estremamente popolato a ridosso di New York City. Conta 9 milioni di abitanti, ha la sua capitale a Trenton anche se Newark è la città più importante e vota per i Democratici ininterrottamente dal 1992.

Alle elezioni di quest’anno si sfidano, come quattro anni fa, il governatore uscente Dem Phil Murphy e il Repubblicano Jack Ciattarelli. Murphy è stato eletto governatore nel 2017 dopo essere stato un dirigente di Goldman Sachs e ambasciatore in Germania durante il primo mandato di Barack Obama. Quattro anni fa ha vinto facilmente le primarie del suo partito e poi le elezioni contro Ciattarelli: da allora ha adottato una serie di politiche liberal e ha stretto alleanze con le aree più progressiste del Partito Democratico. La risposta alla pandemia è stata giudicata buona e ciò gli ha permesso di consolidare la sua popolarità.

Ciattarelli, invece, prima di candidarsi come governatore ha gestito una piccola casa editrice e ha ricoperto vari ruoli di minor rilievo nella politica locale. Dal 2011 è un deputato statale in un distretto favorevole al GOP. Nonostante la sconfitta del 2017, è riuscito a compattare il Partito Repubblicano sul suo nome e a candidarsi una seconda volta vincendo le primarie con il 50% dei consensi.

La vittoria di Murphy oggi è quasi indubbia. Tutti i sondaggi lo danno vincitore con vantaggi che vanno dai 6 agli 11 punti. Le previsioni di Cook Political Report, Inside Election e Sabato’s Crystal Ball, tre gruppi di esperti di politica, danno inoltre l’elezione come “Solid D” o “Likely D”. 

 

 

Le elezioni in Virginia: i Dem rischiano

La situazione è molto diversa in Virginia. Qui abbiamo come candidati l’ex governatore Terry McAuliffe per il Partito Democratico e l’imprenditore Glenn Youngkin per il Partito Repubblicano.

La Virginia prevede che un governatore non possa svolgere due mandati consecutivi, motivo per il quale l’attuale governatore Ralph Northam non ha potuto ricandidarsi. Si possono però svolgere due mandati non consecutivi. 

McAuliffe è stato governatore dal 2013 al 2017 dopo una lunga carriera nel Partito Democratico. È stato infatti co-responsabile della campagna di Bill Clinton nel 1996 e presidente del Comitato Nazionale Democratico (DNC) tra il 2001 e il 2005, oltre che responsabile della campagna di Hillary Clinton nel 2008. Si era candidato nel 2009 per la prima volta a governatore in Virginia venendo sconfitto alle primarie. Nel 2013 ha invece vinto le primarie e poi sconfitto per 56 mila voti il candidato del GOP alle elezioni vere e proprie. Ha impostato gran parte della sua campagna presentandosi come candidato anti-Trump, nonostante l’ex presidente non sia più alla Casa Bianca, per poi cambiare idea in questi ultimi giorni e dire che non si tratta di un voto su Trump, ma sulla Virginia. 

Youngkin, candidato moderato e lontano dall’ala più radicale del GOP, è invece l’ex CEO della società di private equity Carlyle Group, carica grazie alla quale è diventato molto ricco. Col suo patrimonio, stimato in 200 milioni di dollari, ha potuto autofinanziare la sua campagna elettorale in un modo che altri candidati non avrebbero potuto fare. È stato scelto dal Partito Repubblicano non con le primarie, ma con una convention dove hanno votato i delegati.

Le elezioni sembravano avere un esito scontato fino a poco tempo fa, ma diversi sondaggi hanno mostrato nelle ultime due settimane che si trattava probabilmente di giudizi affrettati. Nella media elaborata da FiveThirtyEight, Youngkin ha attualmente un punto di vantaggio su McAuliffe dopo essere stato in svantaggio di 2-3 punti per settimane.

McAuliffe ha infatti condotto una campagna molto debole secondo tutti gli osservatori, parlando costantemente di Donald Trump per cercare di convincere gli elettori a votare contro Youngkin, ma senza particolare successo. Inoltre, McAuliffe paga l’immobilismo del Partito Democratico al Congresso, bloccato ormai da mesi in trattative tra progressisti e moderati, e il calo di popolarità di Joe Biden tra gli elettori più centristi. 

Il modello elaborato dall’Economist, a differenza di FiveThirtyEight, vede McAuliffe con 2 punti di vantaggio e il 67% di probabilità di vincere l’elezione. Il settimanale britannico ricorda però che nel 2017, quando l’attuale governatore Ralph Northam ha vinto le elezioni, la media dei sondaggi in Virginia ha sottostimato il margine di vittoria dei Dem di sei punti.

In questo caso i siti di analisi elettorale Inside Election e Cook Political Report vedono una situazione di toss-up, in cui è impossibile capire chi vincerà, mentre Crystall Ball ritiene che l’elezione sia Lean R, quindi con Youngkin favorito. Come ha osservato il giornalista dell’Economist G. Elliott Morris, uno dei motivi per cui i sondaggi in Virginia presentano una forte varianza è dovuto alle scelte metodologiche degli istituti demoscopici.

Youngkin, ad esempio, va meglio nei sondaggi che si basano sugli elettori probabili. Negli Stati Uniti, infatti, i sondaggi possono essere sugli elettori registrati (RV), cioè su tutti gli elettori indifferentemente che intendano votare o meno, o sugli elettori probabili (LV), dove i sondaggisti cercando di basarsi solo su chi realmente intende votare. Per fare un esempio concreto, un sondaggio di Fox News mostra Youngkin avanti di otto punti tra gli elettori probabili, ma avanti solo di uno tra gli elettori registrati. 

L’ultimo sondaggio condotto dalla Monmouth University mostra un pareggio tra gli elettori registrati, un vantaggio di 3 punti per McAuliffe con un modello di elettori probabili e un vantaggio di 3 punti per Youngkin con un altro modello.

Secondo Morris, le forti differenze tra i sondaggi dovute alle scelte metodologiche potrebbero portare a errori più grandi che in passato e far sì che un’elezione che sembrava molto in dubbio alla fine non lo sarà realmente. 

 

Lorenzo Ruffino

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