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Elezioni a Londra: 20 candidati, un solo possibile vincitore

Elezioni a Londra: 20 candidati, un solo possibile vincitore

Urne aperte fino alle 23 italiane per l’elezione del sindaco della capitale del Regno Unito. Favorito l’uscente laburista Sadiq Khan.

La città di Londra, oggi, è molto diversa dall’ultima volta che, probabilmente, la avete vista: non ci sono (quasi) più le strade affollate, la ressa di turisti a Piccadilly, il via vai di manager alla City. Tutto è cambiato e, anche se ora le cose vanno meglio, la città è stata profondamente segnata dalla pandemia: 30mila persone hanno perso il lavoro; lo svuotamento di uffici e banche ha decimato i bar e i ristoranti che, attorno a loro, gravitavano; l’assenza completa di turisti ha tolto alla città entrate per una cifra stimata in almeno 2,5 miliardi di euro; in molti hanno approfittato della situazione per lasciare definitivamente la città, in cerca di case più grandi e affitti più sostenibili, tanto che si stima che la capitale perderà il 5% della sua popolazione (cioè 400mila persone) entro la fine del 2021.

Insomma, la Londra che oggi vota non è più la stessa di una volta, perché la pandemia l’ha colpita duramente. Inoltre non si sa neppure se Londra tornerà mai a essere quella che era, perché mentre il mondo era distratto dal Covid c’è stata anche Brexit. Per ora gli effetti economici dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE sono stati camuffati e silenziati dalla devastazione del Covid, ma è verosimile credere che si faranno sentire in modo evidente e ben delineato quando la pandemia sarà alle spalle.

Per questo, più del solito, i candidati alla poltrona di primo cittadino della città più importante e ricca d’Europa, oggi, sono concentrati sui temi di pianificazione e futuro, più di quanto non siano sui temi soliti delle campagne elettorali comunali, in genere basate sulla gestione delle contingenze. Il prossimo sindaco di Londra dovrà inventare la città che sarà nei prossimi dieci anni, partendo da una tabula quasi rasa e da basi del tutto inedite.

 

Il sistema elettorale e i candidati

L’elezione del sindaco di Londra si tiene con un sistema chiamato supplementary vote, una variante dell’instant runoff basata sul fatto che gli elettori esprimono una prima e una seconda preferenza. Se un candidato ottiene almeno il 50% delle prime preferenze è eletto, diversamente i due candidati col maggior numero di prime preferenze accedono a un ballottaggio istantaneo (quindi gli elettori non tornano fisicamente a votare) in cui si sommano le seconde preferenze alle prime. A quel punto, tra i due acceduti al ballottaggio, è eletto sindaco chi ha la maggiore somma di prime e seconde preferenze.

A correre per City Hall sono 20 candidati, ma, come spesso accade, la gara è a due, se non addirittura uno: la riconferma del laburista Sadiq Khan appare infatti abbastanza probabile.

Stando all’ultimo sondaggio YouGov, Khan avrebbe il 43% delle prime preferenze e il conservatore Bailey il 31%. I due accederebbero quindi al ballottaggio dove, andando a sommare le seconde preferenze alle prime, Khan vincerebbe col 59% contro il 41% di Bailey.

Anche l’ultimo sondaggio Opinium dà la vittoria a Khan, che otterrebbe il 48% delle prime preferenze e, al ballottaggio, il 63% delle preferenze totali (contro il 37% di Bailey).

Le campagne elettorali dei due candidati principali hanno avuto, come in parte è naturale sia, approcci molto diversi. Nello specifico, Bailey ha deciso di puntare moltissimo sulla sicurezza e sulla prevenzione della criminalità, proponendo l’assunzione di migliaia di nuovi agenti di polizia e implementando i programmi (contestatissimi e detestati) di stop and search, che permettono alla polizia di fermare chiunque abbia un atteggiamento sospetto. Khan ha invece deciso di affrontare il problema del crimine e della violenza con programmi di rieducazione e di lotta alla povertà, ma soprattutto ha deciso di giocare una carta che, per ragioni politiche e di partito, il conservatore Bailey assolutamente non può spendere: l’avversità per il governo di Boris Johnson

Benché l’attuale primo ministro sia stato per dieci anni il (popolarissimo) sindaco della capitale, oggi è particolarmente detestato dai suoi ex elettori, che lo identificano come principale artefice di Brexit, una decisione che a Londra, come in Scozia, è particolarmente osteggiata e temuta. 

Khan ha così scelto di mobilitare la sua base usando un trucco vecchio quanto il mondo, ossia nazionalizzando il voto e dando ad esso il peso di una rivincita contro il governo nazionale dei Tories che Khan ha più volte definito “antilondinese”. Presentando il suo programma, Khan ha detto che il voto per le elezioni a Londra “dovrebbe essere un referendum contro il modo fallimentare in cui questo Paese è gestito”, e che un voto per lui e per il Labour invierebbe “un messaggio forte al governo Tory”.

 

Conseguenze del voto a Londra

Difficile dire, da qui, se davvero il voto londinese avrà reali conseguenze sulla stabilità del governo di Boris Johnson. Probabilmente no, perché il successo di Khan non è e non sarà una sorpresa per nessuno, soprattutto in una città in cui il Labour è molto forte mentre Brexit e Boris Johnson sono detestati. Inoltre, almeno in questo momento, la maggioranza conservatrice alla Camera dei Comuni è talmente solida da non rendere ipotizzabile che il voto di Londra possa portare Johnson a perdere la maggioranza, e anche nei sondaggi nazionali i Conservatori sono saldamente in testa: l’ultima rilevazione YouGov dà il partito di Boris Johnson al 43%, 10 punti in più rispetto al Labour di Keir Starmer.

 

Non solo, ma anche se ci fossero (come ci sono) dei malumori nel Partito Conservatore, nessuno dei suoi membri ha voglia di prendere in mano due patate bollenti, ossia Covid e Brexit, al posto di Boris Johnson. Certo, nella molto remota ipotesi che il governo Johnson cadesse e si andasse a elezioni anticipate, una nuova vittoria dei Tories non sarebbe comunque più né scontata né ampia come quella del 2019, perché negli ultimi due anni i Laburisti si sono rinnovati, hanno cambiato leader e hanno recuperato diversi punti nei sondaggi. Uno scenario che rende davvero poco verosimile che i Tories, che ora occupano 364 seggi su 650 nella Camera dei Comuni, abbiano voglia, pur dinanzi a una disfatta elettorale nella capitale, di tornare al voto.

Luciana Grosso

Giornalista di esteri, ha passato le notti dell’adolescenza a inseguire ‘The West Wing’ tra i canali in chiaro degli anni ‘90. Scrive (soprattutto di USA e di UE) per Il Foglio, Linkiesta, Business Insider, Il Venerdì di Repubblica. Cura una newsletter settimanale sull’Unione Europea.

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