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Ecco perché seguire il voto in Scozia

Ecco perché seguire il voto in Scozia

Tutti gli elementi di interesse del voto nella nazione “ribelle” del Regno Unito

Tra scozzesi e inglesi, si sa, non corre buon sangue. Non c’è bisogno di andare a scartabellare tra i libri di storia del Regno degli Stuart per saperlo: il fuoco dell’indipendentismo scozzese arde da secoli sotto le braci di una mai digerita Unione dei regni di Scozia e Inghilterra.

A Edimburgo, di indipendenza dagli inglesi, se ne parla a ogni piè sospinto. Anzi, a dirla tutta, se ne parla anche quando non se ne parla: chi è stato a Edimburgo avrà notato l’orgoglioso sventolare di bandiere bianche e blu ad ogni angolo. Varie volte gli scozzesi hanno provato ad allontanarsi dal resto del Regno Unito, ma senza successo: la volta cui ci si è andati più vicini è stata nel 2014, con l’indizione di un referendum che veniva chiesto da anni. Benché la consultazione fosse stata preparata e attesa per decenni (consultazione che Westminster accordò solo a patto che fosse “decisiva”, ossia che poi, comunque andasse, non se ne parlasse più), essa fu vinta per un soffio e non senza sorpresa dal No, che ottenne il 55% dei consensi. Un risultato che di fatto, almeno in teoria, seppelliva una volta per tutte la faccenda dell’indipendenza.

Sembrava finita, ma in realtà non lo era. Perché? Per la solita ragione: la Brexit, motore immobile di tutto quel che riguarda la politica britannica da quasi dieci anni a questa parte. La notte del referendum per la Brexit il “Remain” vinse con un ampio margine solo in due parti del Regno Unito: a Londra e, appunto, in Scozia.

Il terremoto Brexit, così, tra le sue mille conseguenze, ha avuto anche quella di riaprire la ferita, sanata solo all’apparenza, della volontà di indipendenza della Scozia. Così, dal giorno dopo il referendum per Brexit, a Edimburgo e dintorni si è ricominciato a parlare con insistenza di secessione, indipendenza e di un nuovo referendum. Due problemi, però, si sono palesati fin da subito: innanzitutto non è sufficiente organizzare i referendum, ma occorre anche vincerli: e la storia recente dei voti in Scozia e Regno Unito ci ha insegnato a non dare nulla per scontato. Un secondo referendum, inoltre, dovrebbe essere accordato e autorizzato da Westminster allo stesso modo di come lo fu il primo, cosa che al momento non sembra essere in agenda.

L’indipendenza fallita nel 2014, le conseguenze della Brexit, un possibile referendum ‘riparatore’ e ‘vendicatore’: è con tutti questi grandi elefanti nella stanza che gli scozzesi si preparano a votare giovedì 6 maggio.

 

Il voto del 6 maggio: cosa guardare

Sul fatto che a vincere le elezioni scozzesi sarà l’SNP, lo Scottish National Party, in pratica, non esistono dubbi. L’SNP è un partito fortemente indipendendentista e sostanzialmente egemone in Scozia: vince sempre, vince tanto, vince (quasi) tutto dal 2007. Non c’è nessuna suspense da questo punto di vista, anzi. Stando ai sondaggi, nessun partito sarebbe neanche lontanamente in grado di insidiare l’amplissimo vantaggio del partito della Premier Nicola Sturgeon.

Il problema sarà semmai capire di quanto l’SNP riuscirà a vincere le elezioni, ossia se con maggioranza assoluta o no. Infatti, se il fronte dei pro-indipendenza (formato dall’SNP, dai Verdi e dal nemico/amico Alex Salmond, ex premier dell’SNP ora a capo del nuovo partito Alba) ottenesse il 50% più uno dei seggi con la promessa elettorale di un nuovo voto sull’indipendenza, a quel punto Londra si vedrà in qualche modo costretta ad accordare agli scozzesi un nuovo referendum, che questa volta avrebbe chances molto superiori al primo di passare.

Se invece Sturgeon e i suoi alleati pro-indipendenza dovessero per varie ragioni fermarsi prima di occupare la metà più uno dei 129 seggi del Parlamento scozzese, le cose si farebbero più complicate, perché per formare una maggioranza sarebbe a quel punto necessaria un’alleanza con i partiti unionisti (Laburisti scozzesi e Tories), che di certo metterebbero il veto a qualunque forma di allontanamento da Londra.

 

Cosa dicono i sondaggi

Al momento, è difficile dire quale di questi due scenari prenderà forma, anche per il modo in cui sono calcolati i voti in Scozia: dei 129 seggi a disposizione, 73 sono assegnati con altrettanti collegi uninominali, con i restanti 56 che vengono invece ripartiti con il metodo plurinominale sulla base di otto macroregioni. Nei collegi maggioritari (first-past-the-post) l’SNP è dato con una percentuale di consensi molto alta (49%), mentre in quelli a base proporzionale ‘solo’ al 38%. Gli Unionisti, sia Labour che Conservative, sono dati entrambi attorno al 20% sia nel maggioritario che nel proporzionale. Seguono, intorno o sotto il 10%, i Verdi, i Lib-Dem e Alba.

I risultati delle elezioni si sapranno nella notte di giovedì, a seguito della chiusura delle urne, prevista per le 22 locali (le 23 in Italia). I risultati di un eventuale secondo referendum sulla permanenza della Scozia nel Regno Unito, invece, si sapranno tra anni o, forse, mai. Al momento, però, i sondaggi danno il “No” all’indipendenza ancora avanti, seppur di un soffio: 47% a 46%. La situazione resta in ogni caso fortemente in bilico, e chissà se i risultati delle elezioni di giovedì serviranno a diradare la nebbia di incertezze o la renderanno, invece, ancora più fitta.

Luciana Grosso

Giornalista di esteri, ha passato le notti dell’adolescenza a inseguire ‘The West Wing’ tra i canali in chiaro degli anni ‘90. Scrive (soprattutto di USA e di UE) per Il Foglio, Linkiesta, Business Insider, Il Venerdì di Repubblica. Cura una newsletter settimanale sull’Unione Europea.

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