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Perché vale la pena seguire il voto in Catalogna di domenica

Perché vale la pena seguire il voto in Catalogna di domenica

Schieramenti, sondaggi, scenari: tutto quello che c’è da sapere

Le elezioni del 2017 nella comunità autonoma che ha per capoluogo Barcellona avevano tenuto tutta l’Europa col fiato sospeso: si era al culmine della battaglia indipendentista segnata dal referendum non riconosciuto da Madrid e dall’arresto dei leader separatisti. Il nuovo voto di domenica 14 febbraio si colloca in un contesto politico che è però ancora ben poco sereno.

 

Come si è arrivati al voto?

Nel 2017 l’Assemblea della Generalitat catalana era stata sciolta dall’allora Premier spagnolo Mariano Rajoy in seguito al referendum e alla dichiarazione di indipendenza. Dopo le elezioni, il Parlamento catalano espresse una presidenza indipendentista debole sui numeri: 66 favorevoli, 65 contrari e l’astensione dei 4 deputati della CUP.

Il Presidente della Generalitat neoeletto Quim Torra prestò giuramento senza menzionare la Costituzione spagnola, avviando un mandato che si è chiuso lo scorso 28 settembre con la sua destituzione per effetto di una sentenza della Corte Suprema. Il tribunale spagnolo ha infatti interdetto Torra per aver disobbedito alla disposizione di rimuovere uno striscione a sostegno dei Presos Politicos (i dirigenti indipendentisti incarcerati dopo la dichiarazione di indipendenza) dal palazzo della Generalitat catalana.

Verificata l’assenza di una maggioranza, complice anche il dibattito interno alla coalizione indipendentista, vengono così convocate le elezioni per il 14 febbraio. Ma non è finita qui: il 15 gennaio il governo spagnolo (col sostegno di tutti i partiti catalani eccetto il PSC, costola catalana del PSOE di Sánchez) decide di rimandare le elezioni al 30 maggio in virtù dell’aggravarsi del quadro epidemiologico. A distanza di due settimane, la Corte Superiore di Giustizia della Catalogna sospende la disposizione governativa, confermando la data di San Valentino e aprendo una campagna elettorale “breve ma intensa” di meno di due settimane.

 

Gli schieramenti

Il fronte indipendentista è costituito principalmente da tre forze:

  • Junts, forza politica populista abbastanza trasversale, è il partito di Carles Puigdemont, il Presidente della Generalitat che indisse il referendum dell’ottobre 2017 per poi rifugiarsi in Belgio. Nel Parlamento dimissionario detiene la più ampia delegazione separatista.
  • Esquerra Republicana de Calalunya (ERC) è l’altro caposaldo indipendentista: repubblicano, più orientato a sinistra e generalmente vicino ai risultati di Junts.
  • La terza delegazione indipendentista al Parlamento Catalano, modesta nei numeri ma determinante nell’ultima legislatura, è quella della CUP, forza separatista di sinistra radicale.

I due partiti spagnoli più tradizionali in Catalogna hanno la loro articolazione locale: i socialisti del PSC ed i popolari del PP in questa tornata rappresentano rispettivamente la forza più favorita e quella meno favorita tra quelle presenti nel Parlamento dimissionario. I socialisti, in particolare, in queste settimane godono di una particolare rilevanza per via della candidatura di Salvador Illa, Ministro della Salute del Governo Sanchez che ha gestito la fase della pandemia dai palazzi di Madrid.

Ciutadans, versione catalana del partito di Inés Arrimadas Ciudadanos, ha un’ispirazione liberale di centro. Alle scorse elezioni ha rappresentato il principale collettore dell’elettorato anti-indipendentista, ottenendo la delegazione parlamentare più ampia di tutto il Parlamento. A questa tornata però, non è così favorita, e probabilmente si ritroverà con un numero di seggi più che dimezzato.

En Comù Podem, invece, è la versione catalana di Podemos, il partito di sinistra che a livello nazionale ora governa alleato col PSOE. Anche i sondaggi a livello nazionale non vanno bene, qui in Catalogna non ha un ruolo marginale, anzi esprime da due mandati la Sindaca di Barcellona, Ada Colau. Per quanto abbia una connotazione territoriale, è l’unica forza a non aver mai preso una posizione netta sull’indipendentismo, scelta che in passato le ha permesso un’interlocuzione più trasversale.

Infine c’è Vox, il partito dell’ultradestra sovranista, che in Catalogna si presenta per la prima volta e non dovrebbe avere difficoltà a superare lo sbarramento. Il suo candidato alla presidenza è Ignacio Garriga, un deputato che per via delle sue origini africane è noto come “il nero di Vox”.

 

Sistema elettorale

La frammentazione politica catalana è ampiamente incentivata dal sistema elettorale: si tratta di un proporzionale con soglia di sbarramento al 3% applicata a livello di circoscrizione. I seggi al Parlamento catalano sono 135, ripartiti con metodo d’Hondt sulla base delle quote circoscrizionali.

Le circoscrizioni sono 4, ciascuna con la sua quota di seggi: Barcellona (85 seggi), Tarragona (18), Girona (17) e Lleida (15). Con questi numeri, la soglia di sbarramento stabilita dalla legge elettorale si applica, de facto, solo nella circoscrizione di Barcellona. Nelle altre 3 circoscrizioni lo sbarramento naturale è certamente più alto, servendo circa il 5% dei voti per ottenere un seggio.

Il Presidente della Generalitat viene poi scelto all’interno del Parlamento e proclamato in seguito a un voto di fiducia.

 

Sondaggi e scenari

 

Sulla base delle rilevazioni c’è molta incertezza. Per avere la maggioranza servono 68 seggi ma in un quadro come questo basta l’astensione di una delegazione, anche risicata, per cambiare le carte in tavola.

Il primo possibile scenario è quello di una nuova maggioranza indipendentista: non è escluso che le due principali forze indipendentiste – Junts ed ERC – raggiungano quota 68. Se così non fosse, potrebbe ripetersi lo schema di 3 anni fa con l’astensione della CUP, che ha permesso la presidenza a Torra con soli 66 voti.

Su questo scenario è bene però precisare due elementi: un accordo con la CUP, foss’anche per un’astensione, non è cosa scontato, e ancora meno lo è l’ordine di arrivo di Junts ed ERC nei risultati elettorali. Se Junts ha guidato finora il fronte indipendentista, è in campo l’ipotesi che l’Esquerra Republicana gli soffi il timone – oltre che l’onere di formulare una proposta politica che riesca a ricomporre l’accesissimo dibattito interno al fronte indipendentista.

Il secondo scenario plausibile è quello di una maggioranza “tripartito” a sinistra: Socialisti, ERC e ECP (Podemos). Questo scenario ha indubbiamente numeri più solidi ma sarebbe un duro colpo per la lotta indipendentista. D’altronde ERC, tra le tre forze indipendentiste, è quella più prudente, preferendo l’ottenimento di graduali concessioni autonomiste alla netta rottura con Madrid.

Altri scenari sono improbabili ma non per questo impossibili.

Il primo dato a cui prestare attenzione, in ogni caso, è la testa della classifica. Attualmente, in base alle rilevazioni, risulta contesa e ancora del tutto contendibile tra PSC, Junts ed ERC. Ormai è d’obbligo considerare comunque un eventuale cambio alla guida tra i due principali partiti indipendentisti ma, soprattutto, tenere d’occhio la possibilità che i due contendenti raggiungano quota 68 senza necessità di appoggi esterni: ciò sarebbe un segnale chiaro e poco equivocabile per una nuova presidenza (e una nuova fase) indipendentista.

 

Voto e COVID-19

Si è a lungo discusso dell’opportunità di votare a metà febbraio piuttosto che rimandare il voto.

Dal punto di vista epidemiologico la situazione catalana non è delle migliori. A fine gennaio si registravano ancora più di 250 casi settimanali per 100.000 abitanti pur con un trend in calo (Rt = 0,92). Per intenderci, se fosse una regione italiana, la Catalogna sarebbe la seconda, dopo la Provincia Autonoma di Bolzano, per incidenza dei casi. Tuttavia la sentenza del Tribunale di Barcellona ha chiuso il dibattito e imposto la data del 14 febbraio per il voto. Del resto, non è ancora chiaro il legame tra elezioni e crescita dei contagi.

Le autorità catalane stanno rivolgendo da giorni un appello alla popolazione affinché ci si presenti ai seggi con le dovute precauzioni e soprattutto in tre fasce orarie diverse: dalle 9 alle 12 gli anziani e le persone a più a rischio, dalle 12 alle 19 le persone non a rischio e dalle 19 alle 20 chi è positivo o in quarantena per contatto stretto. In questa fascia, i funzionari elettorali adotteranno le massime precauzioni.

Fabio Riccardo Colombo

Lombardo, classe 1995. Laureato in Scienze Politiche all’UniMi con una tesi pubblicata in epidemiologia su Covid-19 e diseguaglianze in Lombardia, ora studente magistrale di Biostatistica (UniMiB).

Appassionato di movimenti sociali, sistemi elettorali e storia locale. Studia e combatte le diseguaglianze. Nel tempo libero pellegrina per laghi e monti, suona il violoncello, gira scuole, bar e social network con la divulgazione, per provare ad avvicinare i più distanti le sue principali passioni: i dati e la politica.

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