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Come si vota nel mondo

Come si vota nel mondo

Non in tutti gli Stati l’espressione del voto avviene in una cabina elettorale classica…

Abbiamo più o meno ben presente tutti cosa indichi la frase “oggi si vota”. Ogni elezione ha degli elementi ricorrenti: prima di tutto, se “oggi si vota”, significa che si viene da una campagna elettorale, lunga o meno lunga, con polemiche, trattative, e tutto quello che sappiamo. “Oggi” monitoreremo i dati sull’affluenza, poi appena chiuderanno i seggi arriveranno i primi exit poll, poi le proiezioni e infine i risultati definitivi. Sulla base di questi ultimi emergeranno una serie di effetti, che vanno dall’elezione immediata di un sindaco all’inizio di trattative per formare un governo che possono risolversi in ore o addirittura in mesi. Dipende.

Quindi se “oggi si vota” ci sarà stato un periodo precedente e ce ne sarà uno successivo al giorno del voto. In questa ipersemplificazione del momento elettorale manca però un tassello al racconto. Tralasciato perché dato per scontato, ma che si può definire come l’anima della democrazia: l’effettivo momento del voto da parte degli elettori. Quel momento in cui i cittadini decidono di andare al seggio per mettersi in coda, pieni di entusiasmo o sfiduciati, sperando in un cambiamento o temendo che sia tutto inutile. In tutto il mondo questo avviene presentandosi fisicamente al seggio per fare le agognate X sulle proprie scelte.

Prima di descrivere come vengono allestiti i seggi in vari luoghi del mondo va aperta una piccola parentesi: premesso che la modalità largamente maggioritaria sia quella del seggio fisico, si vanno via via sviluppando alcune modalità alternative. La più famosa, per attualità e rilevanza, è il voto per posta, di cui si è molto parlato negli Stati Uniti. C’è anche la questione del voto elettronico, anche questo possibile negli Stati Uniti e in altri Paesi, ma meriterebbe un articolo a parte.

 

Quello che interessa a noi è il voto al seggio fisico. Conosciamo bene quello italiano: seggi allestiti in edifici pubblici – soprattutto scuole – con forze dell’ordine a controllarne la regolarità, urne appoggiate sui tavoli, cabine elettorali.

Succede ovunque, ma anche in Italia si assiste a un progressivo calo dell’affluenza al voto. Il momento di sacralità e di ufficialità però rimane. In altri Paesi sviluppati questa formalità viene meno: non si tratta di dire che in altri luoghi ci tengono meno, sia meno controllato, o altre accuse infondate, ma è una questione di cultura.

Vedendo le immagini delle ultime elezioni americane, colpiscono i seggi costituiti nelle palestre piene di postazioni di voto anche molto vicine tra loro. Ancora più “clamoroso”, visto con occhi italiani, è il voto ai bordi delle piscine, mentre i nuotatori sono tranquillamente a svolgere la loro attività. Impensabile da noi.
Ma sempre parlando di Paesi sviluppati, sono anche altri gli esempi “particolari”. Prendiamo il Regno Unito: i seggi possono essere veramente ovunque, che si tratti di mulini, delle già citate palestre e piscine, o addirittura delle roulotte.

 

All’ingresso di alcuni seggi allestiti nelle chiese si può trovare anche un cartello con una freccia a sinistra e una a destra: da una parte si vota, dall’altra si prega. Questo a ribadire che tutto rimane in funzione durante le operazioni di voto.
Sempre parlando di Paesi sviluppati si possono citare i Paesi Bassi, simili al Regno Unito in quanto ad allestimenti dei seggi, dato che anche lì si trovano nelle roulotte o in alcune tipiche case galleggianti.

 

Ovviamente le più grandi particolarità riguardano i Paesi meno sviluppati. Qui le variabili sono molte: ci sono Paesi poveri dove i seggi allestiti sono pochi, oltre che in luoghi dissestati, e non di rado si formano lunghe file; ci sono Paesi democraticamente giovani, che organizzano elezioni da poco tempo e che sono ancora in una fase embrionale quanto all’organizzazione; ci sono Paesi democratici ma solo sulla carta, dove quindi il momento del voto è rigidamente controllato.

In quest’ultima categoria rientra la Cambogia, dove il seggio è composto da una moltitudine di “forzieri” che fungono da postazioni di voto e da urne, tutti molto vicini. Ma – ecco la particolarità – in ogni seggio campeggiano ben visibili le foto del primo ministro, che tranne una parentesi di cinque anni governa dal 1985, e di sua moglie. Parafrasando, “Stalin forse non ti vede, Hun Sen sì”.

In Uganda le urne sono delle vere e proprie bacinelle, mentre in Angola assomigliano ad alcuni nostri secchi per l’immondizia. La sterminata ma pochissimo abitata Mongolia prevede seggi all’aperto proprio in mezzo alla radura, e chissà il viaggio che dovranno fare alcuni mongoli per arrivarci. In Madagascar invece marito e moglie possono entrare nella stessa cabina, mentre sulle urne di Panama è stampata la scritta “il voto è segreto” anche se non è sempre stato proprio così.

Se nel Regno Unito o in Olanda si vota nelle roulotte magari per tradizione, o per comodità, accade spesso che alcuni Paesi debbano organizzarsi un po’ come capita, come nel caso dei seggi allestiti sugli autobus a Teheran durante alcune elezioni.

In molti Paesi meno sviluppati è ricorrente la presenza delle tende come chiusura delle postazioni di voto. Certo, si vedono anche nel Regno Unito e in tanti altri luoghi, ma si capisce bene chi lo fa per comodità e chi per necessità. Un’altra cosa spesso visibile in molti luoghi sono i militari con i mitra durante le operazioni di voto. Anche da noi ci sono i carabinieri, ovviamente armati, ma vedere forze di polizia ben armate spesso sta ad indicare la possibilità di attentati (che in effetti avvengono spesso) oppure un controllo del governo. Mai niente di particolarmente positivo.

Infine, una questione abbastanza nota: sempre tenendo conto del contesto di molti Paesi poveri, si può immaginare come un problema possa essere la possibilità che un elettore voti più volte. Immaginiamoci i registri di un Paese sottosviluppato e la possibilità che essi possano contenere errori: per questo si è tentato di frenare la possibilità di brogli costringendo ogni votante a intingere il dito in un inchiostro indelebile. Probabilmente la prima ad adottare il metodo fu l’Indonesia nel 1999, ma adesso sono molti i Paesi ad utilizzare questa tecnica, tra cui Iran, Iraq, Afghanistan, Nepal, Cambogia, Birmania, Sierra Leone.

Le liste elettorali, infine, meriterebbero un capitolo a parte, tra liste lunghissime (e noi che ci lamentiamo della moltitudine dei nostri partiti), nomi dei candidati scritti piccolissimi data la numerosità, e preghiere davanti ai seggi. Abbiamo qui parlato di molti Paesi in cui gran parte dell’elettorato è analfabeta: come fanno quindi gli elettori a scegliere il partito o il candidato “giusto”? Sì, ci sono i simboli elettorali, ma alieniamoci dalla nostra visione e immaginiamo di vivere in uno di quei Paesi. C’è chi non l’avrà neanche mai visto un simbolo elettorale o un logo di partito. Quindi le soluzioni possono essere diverse: in Ghana vengono stampati i volti dei candidati sulla scheda, ad esempio. Ma la soluzione più creativa rimane quella di assegnare ad ogni partito un simbolo, non di partito, ma di animali e oggetti di uso comune. Se in Burkina Faso si può votare per il leone o per l’elefante, in India oltre agli immancabili animali (anche se alcuni sono stati tolti per le proteste degli animalisti) si potrebbe votare anche per una bicicletta, un pettine, una mano aperta o un fiore di loto, il simbolo riservato ormai da anni al partito del primo ministro Narendra Modi.

Matteo Guidotti

Laurea magistrale in scienze politiche. Nato e cresciuto in provincia, deve essere il motivo per cui mi interessano le cose meno centrali.

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