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Il 2020 dei partiti: un anno stazionario per il Partito Democratico

Il 2020 dei partiti: un anno stazionario per il Partito Democratico

Non è stato l’anno del rilancio, ma neanche un anno negativo: il PD ha tenuto alle elezioni regionali e nei sondaggi.

Il 2020 del Partito Democratico è stato un anno caratterizzato dalla stazionarietà. Nella Supermedia YouTrend era dato a inizio anno al 19,3%, mentre ora è al 20,6%: sono due percentuali molto vicine, che evidenziano come non sia stato un anno particolarmente vivace per la principale forza di centrosinistra del nostro Paese.

L’epidemia di coronavirus ha monopolizzato l’attenzione mediatica per mesi e il PD ha faticato, anche più del solito, a imporsi nel dibattito pubblico. Le sue idee e proposte non hanno quasi mai fatto breccia, se non per l’iniziativa di singoli deputati o senatori. Tuttavia, anche se nei sondaggi è stato un anno stazionario, dal punto di vista elettorale è andato abbastanza bene considerando le aspettative.

 

La vittoria in Emilia-Romagna e Calabria

L’anno si è infatti aperto con le elezioni regionali in Emilia-Romagna, storica roccaforte del centrosinistra. Il leader leghista Matteo Salvini ha passato settimane a fare campagna qui e ha alzato molto le aspettative; il 26 gennaio, però, gli elettori hanno consegnato una larga vittoria a Bonaccini. Lo stesso giorno si votava anche in Calabria, dove invece è andata meno bene per il PD: il centrodestra con Jole Santelli ha vinto la regione dopo 5 anni di governo di centrosinistra.

 

L’arrivo del coronavirus

L’arrivo del coronavirus in Italia mette però in pausa la politica italiana. Gli ultimi dieci mesi sono stati monopolizzati dai bollettini giornalieri su casi e decessi e dalle decisioni (e indecisioni) del Governo su come procedere per arginare la diffusione del virus. 

Il segretario del PD Nicola Zingaretti ha inizialmente sottovalutato la pandemia: mentre il coronavirus già circola in Lombardia, il Presidente della Regione Lazio a fine febbraio partecipa all’iniziativa #milanononsiferma lanciata proprio dal suo partito nel capoluogo lombardo. Meno di dieci giorni dopo Zingaretti scopre di essere positivo al coronavirus e lo rimane per tre settimane.

L’attenzione mediatica nella primavera viene conquistata in gran parte dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e in questi mesi il PD fatica particolarmente a emergere. Inoltre, anche se in altri Paesi europei la pandemia ha fatto crescere nei sondaggi i partiti che si trovavano al Governo, in Italia – anche se la popolarità di Conte è salita arrivando a livelli molto alti – non c’è stato un aumento nei consensi per PD e M5S.

 

Le elezioni di settembre e il referendum

Anche l’estate passa senza particolari notizie a livello politico e la campagna elettorale per le elezioni regionali di settembre va avanti sottotraccia. Il secondo giro di elezioni regionali è comunque soddisfacente per il PD: si finisce con un tre a tre (anzi, quattro a tre considerando anche la Valle d’Aosta), quando si parlava di un quattro a due se non addirittura di un cinque a uno. Il PD tiene la Toscana, dove fallisce l’assalto leghista, mentre le regioni meridionali al voto consegnano due nette vittorie al centrosinistra: in Puglia Michele Emiliano viene riconfermato con il 47% dei voti, nonostante la corsa in solitaria del Movimento 5 Stelle – che al Sud è tradizionalmente più forte – e il mancato sostegno del polo centrista composto da Italia Viva, Azione e +Europa. In Campania Vincenzo De Luca ottiene invece poco meno del 70% dei consensi e un vantaggio di 51 punti sul candidato del centrodestra Stefano Caldoro: la vittoria è particolarmente considerevole visto che De Luca ottenne il 41% nel 2015 e alle elezioni europee del 2019 le liste di centrosinistra avevano ottenuto solo il 23% nella Regione. In entrambi i casi si tratta però di due vittorie personali, legate alla gestione della pandemia piuttosto che al Partito Democratico in sé.

Non sono però mancate le sconfitte: il centrosinistra ha infatti perso le Marche, dove il candidato del centrosinistra Maurizio Mangialardi ha perso di 12 punti contro Francesco Acquaroli del centrodestra. Non è neanche andato bene l’esperimento in Liguria, dove la convergenza tra PD e M5S su un candidato unico – il giornalista Ferruccio Sansa – ha portato a una pesante sconfitta, mentre il Veneto si è confermato per l’ennesima volta territorio impossibile per il centrosinistra: Arturo Lorenzoni ha perso di 61 punti contro il leghista Luca Zaia.

A settembre si è tenuto anche il referendum costituzionale per ridurre da 945 a 600 il numero di parlamentari eletti. Il PD, però, non ha adottato una chiara posizione sul referendum per mesi, tant’è che alcuni esponenti si sono schierati per il No – come il senatore Tommaso Nannicini – e altri per il Sì – come il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.

Infine, la stazionarietà nei consensi per il PD ha continuato a caratterizzare questi ultimi mesi del 2020, nuovamente monopolizzati dalla pandemia per via della seconda ondata di contagi.

 

Conclusione

Complessivamente, il 2020 non è stato l’anno del rilancio del Partito Democratico. Certo, non è neanche stato un anno terribile come il 2018, quando ci fu la bruciante sconfitta elettorale, ma nemmeno un anno sorprendente come il 2019, quando il PD decise di andare a governare con il Movimento 5 Stelle. Si è trattato, insomma, di un anno caratterizzato dalla stazionarietà: il PD non ha convinto molti nuovi elettori, ma non ha neanche perso consensi. Ha vinto bene in quattro regioni e ha perso in altre quattro, anche se generalmente è andato meglio delle (basse) aspettative.

Sicuramente ci si attendeva di più: nel Governo Conte I, la Lega è riuscita a cannibalizzare il Movimento 5 Stelle, mentre nel Conte II il PD non è riuscito a fare altrettanto. Anche i tentativi più o meno espliciti di trasformare il M5S in un alleato del centrosinistra non hanno dato particolari frutti: nelle due volte che il centrosinistra e il Movimento si sono formalmente alleati, del resto, la sconfitta è stata netta (parliamo delle regionali in Umbria dell’anno scorso e di quelle in Liguria di quest’anno).

Il 2021 sarà un anno importante perché andranno al voto oltre 1.200 comuni, tra cui i quattro più popolosi d’Italia: Roma, Milano, Napoli e Torino. Riuscirà il PD a riconquistare le città perse nel 2016 e a tenere quelle che già guida?

Lorenzo Ruffino

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