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USA: i Dem alla prova del nuovo Congresso

USA: i Dem alla prova del nuovo Congresso

Se al Senato i Dem sperano nei due ballottaggi in Georgia, alla Camera – pur mantenendo la maggioranza – il vantaggio sul GOP si è ridotto

Joe Biden e Kamala Harris hanno vinto le elezioni presidenziali, aggiudicandosi 306 grandi elettori contro i 232 del ticket repubblicano Trump-Pence. Si tratta dunque di una vittoria per i democratici, che sono riusciti in un’impresa ardua: sconfiggere un presidente uscente. Dal secondo dopoguerra a oggi, infatti, solo tre presidenti prima di Trump – Gerald Ford, Jimmy Carter e George H. W. Bush – non sono stati riconfermati per un secondo mandato.

Nonostante la vittoria, però, la presidenza Biden rischia di partire già con alcune difficoltà a causa degli esiti che hanno avuto le elezioni per il Congresso.

 

Così al Senato

Al Senato, che sotto la presidenza Trump è stato in mano al GOP, i Dem avranno 48 seggi su 100, contro i 50 dei repubblicani. Restano ancora in ballo i 2 seggi in Georgia, che saranno decisi nei ballottaggi del 5 gennaio: fino a quella data, dunque, non si saprà con certezza chi avrà la maggioranza al Senato. Per i repubblicani la soglia della maggioranza è posta a 51 seggi su 100, per cui sarebbe loro sufficiente vincere uno dei due ballottaggi; al contrario, i democratici devono vincerli entrambi e arrivare a 50 seggi per poter avere la maggioranza, perché in caso di parità 50-50 il vicepresidente degli Stati Uniti (da 20 gennaio sarà Kamala Harris) ha diritto di voto.

La strada è dunque molto stretta per i democratici: nel caso in cui non riescano ad ottenere la maggioranza, Biden dovrà trattare con il leader repubblicano Mitch McConnell o comunque con i volti del GOP più moderati (prima tra tutti la rieletta Susan Collins) per ottenere il via libera alle leggi e alle nomine più importanti.

 

 

Alla Camera il GOP riduce la distanza dai Dem

Diversa è invece la situazione alla Camera. Nelle elezioni di midterm del 2018, i democratici avevano conquistato la maggioranza con 235 seggi contro i 199 dei repubblicani. Prima del 3 novembre i Dem speravano di confermare tutti i vecchi seggi e di conquistarne di nuovi, ma così non è stato: il partito, infatti, non solo non ha migliorato la propria posizione, ma l’ha addirittura peggiorata.

Finora i democratici hanno guadagnato 3 scranni ma ne hanno persi 8, e al momento avrebbero 219 seggi, uno in più della soglia della maggioranza. Certo, restano ancora 12 seggi da assegnare, di cui la metà nello Stato di New York e uno in Louisiana che sarà deciso al ballottaggio: di questi, in 9 sono in testa i repubblicani e in 3 i democratici. Ma anche qualora i Dem dovessero vincerli tutti, non andrebbero oltre quota 231 seggi, almeno 4 in meno rispetto alle elezioni del 2018.

 

Pertanto, anche se i democratici non perderanno la maggioranza alla Camera, i numeri saranno sicuramente più risicati rispetto alle elezioni del 2018. Il GOP, invece, non riuscirà a ottenere i numeri sufficienti per avere la maggioranza, ma la sua posizione nell’aula si è comunque rafforzata.

 

Tra i Dem si comincia a puntare il dito

Sebbene alcune sconfitte dei democratici fossero prevedibili, la perdita di altri seggi è stata del tutto inaspettata. In particolare, è pesata la sconfitta di tre deputati eletti nel 2018, che a questa tornata elettorale non sono riusciti ad ottenere una riconferma.

Il primo è Joe Cunningham, rappresentante del primo distretto del South Carolina che aveva assunto la carica nel gennaio 2019, dopo aver sconfitto la repubblicana Katie Arrington e aver conquistato un distretto in cui i democratici non vincevano dal 1978. La seconda è Abby Finkenauer, rappresentate del primo distretto dell’Iowa, che ha perso le elezioni contro Ashley Hinson. Infine, altra grande sconfitta democratica è stata quella di Donna Shalala, deputata del 27° distretto della Florida (che copre buona parte di Miami).

Al centro delle polemiche seguite a queste sconfitte è finito il Democratic Congressional Campaign Committee (DCCC), accusato di non esser riuscito a condurre adeguatamente la campagna: il DCCC avrebbe infatti speso ingenti somme per aumentare il proprio consenso in alcuni stati storicamente repubblicani, come il Texas, a scapito di zone in cui la vittoria Dem veniva data per scontata.

 

 

In altre parole, quello che adesso si recrimina al DCCC è di aver preferito puntare sull’aumento del numero dei seggi, dando per scontata la vittoria in alcuni seggi che però scontata non era.

Ma non sono mancate le polemiche nemmeno attorno a Nancy Pelosi, speaker della Camera e dal 2003 massimo esponente Dem in questo ramo del Congresso, che ha già chiesto di essere riconfermata come speaker. Le critiche che la coinvolgono arrivano dall’ala moderata del partito, che ha accusato Nancy Pelosi di aver dato troppa visibilità agli esponenti più progressisti, prima fra tutti Alexandria Ocasio-Cortez: secondo i moderati, gli ideali e i contenuti dell’ala progressista – come il taglio dei fondi agli organi di polizia o l’estensione universale del Medicare – avrebbero penalizzato i candidati democratici in corsa negli swing states e nelle aree moderate. La rielezione della Pelosi a speaker della Camera potrebbe dunque non essere così scontata quest’anno, anche se al momento non sono state avanzate candidature alternative alla sua.

Dal canto loro, i progressisti negano che ci sia una correlazione fra le loro idee e il deludente risultato nelle elezioni per la Camera, come ha chiarito la stessa AOC alla CNN.

Insomma, quella che attende i Dem è una legislatura non facile al Senato, mentre alla Camera si dovranno fare i conti con le controversie interne al partito.

Forse un’idea più chiara sul volto che assumeranno i democratici sotto la presidenza Biden si avrà con le prime nomine del Gabinetto, che Biden potrebbe rendere già note nel mese di novembre. Intanto, il Presidente eletto ha già comunicato il nome del suo futuro Capo di Gabinetto: si tratta di Ron Klain, uno dei suoi consiglieri più fidati durante la campagna elettorale nonché suo ex Capo di Gabinetto quando Biden era vicepresidente – oltre che coordinatore della risposta nazionale all’Ebola tra il 2014 e il 2015.

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