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Cosa cambia fra amici e congiunti? Ce lo dice la teoria delle reti

Cosa cambia fra amici e congiunti? Ce lo dice la teoria delle reti

Il dibattito sulla possibilità di incontrare i congiunti è molto acceso, ma cosa implica dal punto di vista delle reti sociali?

Oggi ospitiamo il contributo del dott. Pietro Battiston sul tema della riapertura e della diffusione dell’epidemia di Covid-19. Battiston è ricercatore presso il dipartimento di Economia e Management dell’Università di Parma. Nella sua attività di ricerca si occupa di network applicati all’economia, e qui tratta da un punto di vista matematico il dibattuto tema dei congiunti.

La Fase 2 del lockdown italiano contro la pandemia di Coronavirus si sta aprendo fra non poche polemiche. In particolare, ciò che ha attirato di più l’attenzione è stata una concessione: la possibilità di incontrarsi tra “congiunti”. Fra le critiche, e addirittura i dubbi di costituzionalità, si è evidenziato che molte persone in Italia preferirebbero di gran lunga incontrare un amico fraterno che non vedono da due mesi piuttosto che il figlio del cugino di un genitore (il legame parentale più lontano che, ai sensi del DPCM del 26 aprile, si può considerare congiunto).

Negli ultimi giorni, il Presidente del Consiglio Conte ha specificato che i congiunti includono gli “affetti stabili”, lasciando però chiaramente esclusi gli amici. Queste discusse regole arrivano in un quadro di grave incertezza, in cui il governo sta facendo delle scelte delicate, con la necessità di bilanciare i rischi disastrosi per l’economia e quelli altrettanto minacciosi in termini di perdite di vite umane. In queste condizioni, insomma, è difficile stabilire il “giusto” o “sbagliato”. Osservando il tema da un punto di vista matematico, però, la distinzione tra familiari ed amici non si può considerare illogica, per due ragioni.

La differenza fra amici e congiunti

La prima ragione è in realtà piuttosto banale: la necessità di imporre una regola generale. La parola “congiunto”, con tutte le sfumature possibili, ha un significato più preciso di “amico”. Certamente il governo avrebbe potuto invitare gli italiani a frequentare solo coloro con cui hanno “forti legami”. Evidentemente, però, sarebbe stato complicato farne una legge da far valere ai posti di blocco.

Per arrivare alla seconda ragione, immaginiamo pure che esistesse un sistema per limitare il numero di frequentazioni di ogni cittadino senza indagare sulla forza dei legami affettivi. Ad esempio, supponiamo che nell’app Immuni fosse inserita una schermata che permettesse ad ogni cittadino di comunicare ufficialmente la lista dei suoi quattro contatti più stretti, una volta per tutte e senza possibilità di ripensamenti e correzioni. Questo si potrebbe considerare un modo analogo (senza neanche discriminare in base alla numerosità della propria famiglia) di stabilire ufficialmente dei limiti al numero di frequentazioni, lasciando però la scelta ai cittadini.

La restrizione ai congiunti non è però solo un limite numerico alle nostre frequentazioni. È anche un modo ben preciso di spezzare la rete dei nostri contatti ravvicinati, che è quella che permette la diffusione del COVID-19. Infatti, i congiunti dei miei congiunti sono (perlopiù) a loro volta miei congiunti, cosa che non è necessariamente vera per i miei amici.

Esempio della rete familiare di 20 persone

Possiamo vederlo con un semplice esempio: nel grafico qui sopra vediamo la rete sociale all’interno di una serie di famiglie, qui sotto invece la rete delle amicizie tra le stesse persone. In entrambi i casi, per semplicità, ogni persona ha esattamente tre contatti. Nel primo esempio, un’epidemia non andrebbe lontano, e infetterebbe al più la famiglia di un paziente infetto. Al contrario, nel secondo potrebbe farsi strada all’interno della rete e mano a mano raggiungerne tutti i membri.

Esempio della rete di amici di 20 persone

Nel gergo di chi studia le reti sociali, si dice che la rete dei contatti familiari ha un clustering maggiore della rete delle amicizie, nel senso che forma gruppi più chiusi. Il livello di clustering è per l’appunto uno degli elementi fondamentali per determinare quanto una rete sociale si presti alla diffusione del contagio.

Ovviamente i due esempi mostrati sopra sono molto semplici e una ovvia obiezione sarebbe che, dato che la definizione di congiunti è piuttosto larga, molte “famiglie” (gruppi uniti da connessioni di parentela) sono composte non da tre ma da centinaia di nodi che sono in un modo o nell’altro legati tra di loro. Ad esempio, tra i congiunti dei miei congiunti ci sono anche persone – come i cugini di secondo grado dei miei cugini di secondo grado – che non sono miei congiunti. Il fatto però è che per il contagio non conta nulla la rete teorica dei congiunti, ma chi in pratica incontrerò tra i miei congiunti. Ovviamente, vale lo stesso discorso per la rete degli amici: quelli su Facebook non sono pericolosi. Ma abbiamo visto che bastano pochi amici “fisici” a creare una rete di contatti che raggiunge tutta la popolazione.

Sei gradi di separazione ai tempi della pandemia

La diffusione di un’epidemia come quella di COVID-19 fa vedere in una luce più cupa l’ipotesi dei sei gradi di separazione. Si tratta un concetto proposto per la prima volta nel 1929 da Frigyes Karinthy nel racconto “Catene”. In poche parole, è l’idea che prendendo due esseri umani qualunque – anche un’anziana signora di uno sperduto paesino italiano ed un contadino thailandese – si possa trovare tra di essi una catena di non più di sei relazioni di conoscenze interpersonali. Ad esempio l’anziana signora magari conosce un giovane studente fuori sede che condivide l’appartamento con la figlia di un importante medico, un cui collega cinese nel condurre degli studi in Thailandia ha collaborato con un politico locale amico del contadino in questione.

Di nuovo, parlando di epidemie non ci interessano le amicizie virtuali, ma solo quelle che portano ad un effettivo contatto o ad una vicinanza fisica. Resta però valido il fatto che il numero di persone che posso raggiungere tramite una catena di contatti fisici è molto più basso – a parità di contatti – in una rete come quella delle famiglie, sopra raffigurata, rispetto a quella delle amicizie. Nel prossimo grafico è rappresentata una società fatta da 30 semplici famiglie di quattro elementi, come quelle viste prima. In aggiunta, però, ogni persona ha contatti con un amico, nel senso di persona (assegnata a caso) esterna alla famiglia.

La rete simulata di parenti e amici di un paziente di Coronavirus 

Il pallino rosso più grande rappresenta una persona infettata dal Coronavirus: per tutti gli altri, il colore indica il numero di gradi di separazione da quella persona. Ovviamente una frequentazione non è garanzia di contagio, ma più basso è quel numero, più è probabile che una persona contragga il virus. Qui sotto, invece, vediamo le “generazioni”, ovvero quante persone ci sono a distanza massima 1, 2, 3. . . Anche i non matematici sapranno riconoscere la forma della famigerata curva esponenziale che caratterizza la diffusione del virus e di cui si è molto parlato negli ultimi due mesi. È bastato un contatto fisico extrafamiliare a testa per mettere più della metà (70 persone su 120) di questa società a cinque o meno gradi di separazione dal nostro caso iniziale.

La progressione esponenziale delle persone nella rete 

Dai congiunti al contact tracing: quello che “Immuni” non ci può dire

Quanto detto finora lascia però un dubbio: come facciamo a sapere come sia fatta davvero la rete delle relazioni tra persone? Non si possono stabilire norme che hanno un peso importantissimo per la vita delle persone semplicemente immaginando società giocattolo come quelle che ho rappresentato sopra: ci vogliono i dati. Le reti di amicizie su Facebook o Twitter sono relativamente facili da analizzare, ma quei contatti virtuali contano poco o nulla per studiare le epidemie. Ci sono però ricercatori in giro per il mondo che cercano di capire che forma hanno veramente le nostre reti di contatti fisici.

Il progetto POLYMOD ad esempio, finanziato dall’Unione Europea, ha pubblicato nel 2008 i risultati di un’indagine in cui è stato chiesto a 7290 persone di registrare i loro incontri fisici durante una data giornata. In media, ogni partecipante ha registrato 13,4 contatti, ma con interessanti variazioni: ad esempio gli italiani ne hanno registrate in media 19,77, i tedeschi 7,95 (sarà un caso che in Italia la malattia si sia diffusa tanto velocemente?).

Il progetto ha poi permesso di caratterizzare queste relazioni, ad esempio in termini di fasce d’età. La figura seguente ci mostra, per l’Italia, con che frequenza persone di una certa età, riportata sugli assi, incontrino persone di un’altra età. Vediamo (in diagonale) che sono frequenti gli incontri tra persone della stessa età. Ma anche (le due “ali” visibili ai lati della diagonale) gli incontri tra persone che hanno circa 35-40 anni di differenza (verosimilmente, genitori-figli) avvengono spesso. Già questo tipo di dati ci permette di simulare molto meglio il rischio di contagio in una società, anziché limitarci a semplici ipotesi.

La frequenza dei contatti per età secondo POLYMOD, in Italia

Contact tracing Immuni congiunti POLYMOD
Frequenza dei contatti per età, progetto POLYMOD, Italia..
Blu: pochi contatti; verde, giallo, bianco: sempre più contatti.

Il POLYMOD è uno studio di contact tracing – termine che in questo momento fa tornare in mente, di nuovo, l’app Immuni. Ed effettivamente l’app serve esattamente a registrare automaticamente informazioni analoghe a quelle che i ricercatori POLYMOD hanno raccolto manualmente con tanta fatica. Possiamo quindi sperare che, se l’app prende piede, riusciremo ad ottenere una descrizione più completa della rete di contatti fisici in Italia, che ci permetta di fare predizioni più accurate sul contagio? Nient’affatto: allo stato attuale, è previsto che Immuni registrerà le informazioni sui contatti, ma che queste informazioni saranno mantenute sul dispositivo e non condivise con server centrali. L’app sarà utile per sapere a posteriori se ho incontrato una persona positiva al virus del COVID-19, ma sarà di scarsa utilità per capire a priori come sono strutturate le nostre reti di contatto.

Insomma, Immuni non sarà d’aiuto per prevedere meglio la diffusione di eventuali nuovi focolai, e quindi pianificare meglio le fasi 3, 4 eccetera. Attenzione, non c’è nulla di illogico nella decisione – dettata da motivazioni di privacy – di non raccogliere i dati dell’app su server centrali, anche se forse si sarebbe potuto lasciare la scelta ad ogni utente. Ancora una volta, è una scelta delicata tra interessi contrastanti. L’importante è avere chiaro cosa si è guadagnato ma anche cosa si è deciso di perdere.

[Il codice utilizzato per simulare le reti utilizzate in questo articolo è disponibile qui]

Pietro Battiston

Con una laurea in matematica e una passione per il software libero,
Pietro Battiston è un ricercatore in economia presso l'Università di
Parma. Tra i suoi principali ambiti di ricerca vi sono l'analisi di
reti sociali e l'economia comportamentale. È coautore di un breve ebook
divulgativo "La matematica del virus".

8 commenti

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  • Estremamente interessante e utile. È possibile avere indicazioni (bibliografia, riferimenti, suggerimenti) per rendere questo studio sottofotma di attività adeguata ad una classe quinta della scuola primaria? Grazie

    • Domanda meravigliosa. Un mio insegnante mi fece fare (in tempi non sospetti) un bel “gioco del contagio” in cui si osservava come si diffondeva in una classe una malattia: semplicemente ci si incontra a coppie e se uno dei due ha il virus (una crocetta su un foglietto) lo passa all’altro. Si ripete 5 volte e alla fine si conta round per round quanto si è diffuso il contagio e si scopre (disegnando le barre di altezza opportuna)… una curva che cresce velocemente. Ovviamente non è necessario dire che è un’approssimazione dell’esponenziale, basta osservare che cresce molto velocemente e che assomiglia alle curve che si vedevano sui giornali i primi giorni riguardo al coronavirus. (Purtroppo non è un’attività facile da fare a distanza… ma mi contatti pure via email se vuole più dettagli)

  • Stupendo articolo, speriamo riesca in qualche modo a rompere le barriere della nicchia e diventare in qualche modo mainstream il concetto, magari non tra gli irriducibili, ma almeno tra quelli che si stanno un po’ troppo perdendo nei meme su questa questione dei congiunti.

  • Interessantissimo: ma mi permetterò di avanzare una osservazione sulla premessa. Quando ci incontriamo.

  • Mi pare un po’ una grossa forzatura per giustificare uno sciocco bizantinismo nel Dpcm, messo li tanto perché li infastidiva troppo “andate da chi vi pare”. Si può andare a trovare la fidanzata (ma vale pure per una ex con cui si è rimasti in buoni rapporti?). Ok. E non hai parenti in comune con la tua fidanzata, di solito. E a loro volta i parenti della tua fidanzata possono avere una fidanzata con cui non hanno parenti in comune…

    Per non parlare poi di quanto sarebbe possibile allargare con la fumosa definizione di “affetti stabili”.

  • Molto interessante ma trovo che l’articolo manchi di puntualizzare come l’app Immuni, benché effettivamente non permetta di ricostruire la rete sociale di un individuo, permetterà di stroncare sul nascere un nuovo focolaio.

    Se verrà ampiamente adottata si potrà mettere in quarantena soggetti specifici e non un’intera città o regione.

    In quest’articolo viene criticata l’applicazione per un problema che non è suo presupposto risolvere.

    L’app non nasce con lo scopo di ricostruire una rete sociale ma di avvertire anonimamente se si è stati a contatto con un infetto.

    • Certo: l’app, il cui funzionamento è ben spiegato in moltissimi altri articoli, non nasce con il “presupposto” di aiutarci a capire le reti sociali sulle quali corre il virus. In questo articolo volevo solo sottolineare che, presupposto o no, avrebbe potuto farlo.

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