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Cosa ci dicono le elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria

Cosa ci dicono le elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria

Analisi del voto: dal “fattore Bonaccini” alla sconfitta senza appello del M5S, cosa ci dicono queste elezioni che fermano la Lega di Salvini sul Rubicone

Stefano Bonaccini è stato riconfermato Presidente della Regione Emilia-Romagna, nella campagna elettorale più incerta di sempre in una delle Regioni storicamente più “rosse” del nostro Paese. La Calabria, invece, è passata al centrodestra con la vittoria della deputata forzista Jole Santelli.

Emilia-Romagna: il “fattore Bonaccini”

Partiamo dall’Emilia Romagna, di gran lunga la sfida più attesa, caricata nelle scorse settimane – ma forse è più corretto dire mesi – di un significato nazionale che è andato ben oltre l’effettiva posta in palio (cioè il governo della Regione). L’esito di questa sfida non era scontato, ma è stato infine netto: il governatore uscente ha vinto con il 51,4% dei voti, staccando la senatrice leghista che si è fermata al 43,6%. Molto piùà indietro il candidato del Movimento 5 Stelle Simone Benini, fermo al 3,5%, mentre gli altri 4 candidati (Bergamini, Lugli, Collot, Battaglia) si sono fermati tutti al di sotto del mezzo punto percentuale.

La prima lezione di queste elezioni è proprio il “fattore Bonaccini”: una candidatura solida e credibile, che si è rivelata molto più competitiva delle liste in suo sostegno. Non è un caso se il distacco tra Bonaccini e Borgonzoni – quasi otto punti – è molto superiore a quello che c’è tra la coalizione di centrosinistra (48,1%) e quella di centrodestra (45,4%). Bonaccini è riuscito certamente ad intercettare molti elettori esterni al perimetro della sua coalizione: ma, soprattutto, ha anche fatto il pieno tra quegli elettori che hanno espresso una preferenza solo per un candidato presidente, senza votare anche una lista. Lo conferma il fatto che la differenza tra i voti validi espressi (tutti attribuiti a un candidato presidente) e i voti alle liste è poco superiore a 160.000, e che Bonaccini ha ottenuto da solo 155.000 voti in più rispetto alle liste che lo sostenevano.

Il bicchiere mezzo pieno del Partito Democratico

La vittoria in Emilia Romagna è quindi, senza dubbio, in primis una vittoria di Bonaccini. Ma da questa tornata esce a testa alta anche il Partito Democratico. Nonostante la presenza di una lista civica del presidente abbastanza forte (5,8%), il PD riesce nell’impresa di tornare il primo partito in Emilia-Romagna, primato che gli era stato tolto prima alle Politiche 2018 dal Movimento 5 Stelle e poi, alle Europee 2019, dalla Lega. Il dato del PD – 34,7% – sorprende non solo perché gli consente di riconquistare un primato in modo forse un po’ inaspettato (visti i precedenti elettorali più recenti) ma anche perché è migliore di quello ottenuto meno di un anno fa alle Europee, prima della scissione di Italia Viva e dell’addio di Carlo Calenda (che anche in Emilia-Romagna raccolse le preferenze con cui fu eletto europarlamentare per la lista PD-Siamo Europei).

Ancora più sorprendente è il dato della Calabria, dove il PD è primo partito nonostante la vittoria (netta) della candidata del centrodestra Jole Santelli. In questo caso, il primato del PD (privo di effetti concreti, e viene conseguito con poco più del 15% dei consensi) giunge grazie al fatto che i voti nella coalizione di centrodestra si sono quasi perfettamente distribuiti tra le liste della coalizione, con Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia vicinissimi e tutti sopra al 10%.

Occasione mancata per la Lega

Se il bicchiere è mezzo pieno per il PD, è mezzo vuoto per la Lega. Il partito di Matteo Salvini ha perso un’occasione storica, quella di portare per la prima volta il centrodestra al governo della maggiore tra le “regioni rosse”, perdendo anche la palma di primo partito ottenuta alle Europee dello scorso maggio. In quanto principale partito del centrodestra, la Lega registra certamente quella di Jole Santelli in Calabria come una vittoria, ma con un retrogusto amaro: alla fine dello spoglio infatti il primo partito del centrodestra calabrese è Forza Italia, che riesce a stare davanti alla Lega di un nonnulla (lo 0,11% dei voti). In Calabria Santelli ha trionfato con il 55,9%, distanziando di ben 25 punti lo sfidante di centrosinistra, Pippo Callipo (fermo al 30,2%), mentre Francesco Aiello del M5S si ferma al terzo posto con il 7,4%, appena davanti al civico Carlo Tansi (6,5%). La coalizione di centrodestra si è rivelata di gran lunga la più competitiva, con 6 liste tutte sopra il 6%.

Ma, come apparirà evidente dal dibattito che si svilupperà nelle prossime settimane, è evidente che per Salvini e la Lega queste elezioni saranno ricordate per aver mancato l’obiettivo di una vittoria in Emilia Romagna da utilizzare anche – forse soprattutto – per dare una “spallata” al governo nazionale e chiedere nuove elezioni politiche anticipate.

La sconfitta senza appello del M5S

Il bicchiere è invece vuoto senza possibilità di appello per il Movimento 5 Stelle. Orfano da pochi giorni del suo (ex) leader Luigi Di Maio, appena dimessosi da capo politico del partito, il M5S è rimasto “schiacciato” da una competizione che si andata via via bipolarizzando tra centrosinistra e centrodestra, non solo in Emilia Romagna ma anche in Calabria, dove il centrosinistra aveva scelto come candidato Pippo Callipo.

Il risultato negativo del M5S è particolarmente doloroso in Emilia Romagna, dove il Movimento ottenne i suoi primi risultati importanti: giusto 10 anni fa ci fu il sorprendente 7% raccolto dall’allora candidato grillino Giovanni Favia alle Regionali 2010, e fu sempre in una città dell’Emilia Romagna, Parma, che due anni dopo il M5S elesse il suo primo sindaco di un comune capoluogo, quel Federico Pizzarotti che poi – come Favia – sarebbe stato in seguito espulso dal Movimento. In Calabria il M5S ha sperimentato, per la prima volta nella sua storia, un’alleanza pre-elettorale con una lista civica: esperimento che si direbbe non riuscito, dal momento che il valore aggiunto di questa lista civica alla coalizione di Aiello si rivela valere poco più dell’1% e che questa coalizione è riuscita a non farsi scalzare al terzo posto da quella del candidato civico Carlo Tansi per una manciata di voti (poco più di mille).

La Calabria “banderuola” del vento politico nazionale

A proposito della Calabria: la “punta dello stivale” si conferma una Regione estremamente incline a sperimentare l’alternanza elettorale, dal momento che da ben 20 anni tutte le elezioni regionali hanno visto la vittoria di un candidato (e di una coalizione) di colore opposto a quello del presidente e della giunta uscenti.

Nonostante – o forse proprio a causa di – una certa marginalità rispetto alla politica nazionale, la Calabria ancora una volta premia l’area politica più forte a livello nazionale: Loiero e Oliverio hanno vinto nel 2005 e nel 2014, anni dei trionfi del centrosinistra prodiano e del PD renziano, così come Chiaravallotti, Scopelliti e oggi Santelli hanno vinto sfruttando il vento in poppa che aveva il centrodestra berlusconiano, nel 2000 e nel 2010, e quello a trazione salviniana di oggi.

(Articolo già apparso in forma ridotta su Agi)

Salvatore Borghese

Laureato in Scienze di Governo e della comunicazione pubblica alla LUISS, diplomato alla London Summer School of Journalism e collaboratore di varie testate, tra cui «il Mattino» di Napoli e «il Fatto Quotidiano».
Cofondatore e caporedattore (fino al 2018) di YouTrend. È stato tra i soci fondatori della società di ricerca e consulenza Quorum e ha collaborato con il Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE).
Nel tempo libero (quando ce l'ha) pratica arti marziali e corre sui go-kart. Un giorno imparerà anche a cucinare come si deve.

Alessio Vernetti

Nato nel 1997, si è laureato in relazioni internazionali all'Università di Torino, ma ha studiato anche a Sciences Po Lille e ha frequentato il Summer Program della LUISS. Nel 2019 è entrato nel team Quorum ed è coordinatore contenuti di YouTrend.
La sua vita sociale diminuisce considerevolmente man mano che ci avviciniamo alle elezioni.

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