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Il punto sulla Spagna: anche nel 2020 autonomisti decisivi per il governo

Il punto sulla Spagna: anche nel 2020 autonomisti decisivi per il governo

Dopo le elezioni di novembre, in Spagna si va verso un governo di sinistra PSOE-Podemos. Ma la questione catalana è pronta a riemergere, e la destra di Vox (ormai terzo partito) ad approfittarne…

Poco più di un anno fa Pedro Sánchez parlava per la prima volta di elezioni anticipate. La vittoria sul voto di sfiducia a Mariano Rajoy (travolto dal caso Gürtel) gli aveva consegnato le redini del paese, ma il suo governo era il più minoritario della storia moderna della Spagna (solo 84 seggi su 350 erano del PSOE). Inoltre, si trovava a dover gestire l’ascesa di Vox nelle elezioni regionali in Andalusia e la dipendenza dai voti dei nazionalisti catalani. Ad un anno di distanza sembrerebbe paventarsi una situazione identica, quasi stessimo osservando un uroboro, il serpente che si morde la coda simbolo della eterna ciclicità del tempo. Tuttavia, da allora, molto è cambiato.

Game of Seats

Il “gioco dei seggi” è già iniziato. Lunedì 17 dicembre, Sánchez ha avviato il giro delle consultazioni. Neanche il voto di novembre gli ha consegnato una maggioranza in seno al Congresso (necessaria per il voto di fiducia che non esprime, invece, al Senato). Quindi, il voto di novembre non è servito a rafforzare la forza parlamentare dei socialisti, che al contrario hanno perso tre seggi. Al PSOE servono altri 56 scranni per raggiungere l’agognata maggioranza di 176. Ovviamente la strada è tutta in salita.

La buona notizia per il leader del PSOE è l’accordo con Unidas Podemos (UP). Difatti, a soli due giorni dal voto, le due parti hanno siglato un patto per formare un governo di coalizione. La rapidità con cui si è giunti all’accordo ha un po’ sorpreso gli osservatori. Eppure, diventa più comprensibile se si pensa alla necessità di dare un governo al Paese e alla crescita degli avversari (Vox in primis, ma si è registrata anche una ripresa dei Popolari). A tal proposito, occorre ricordare come in Spagna non è necessaria la maggioranza assoluta (176 seggi) per formare il governo. Nel caso in cui non si raggiunga tale soglia in occasione del primo voto, è sufficiente avere più voti a favore che contro nella seconda votazione. Certo, avere una maggioranza stabile sarebbe d’aiuto per l’effettiva governabilità della nazione. Tuttavia, dopo il tramonto del bipolarismo, la Spagna si trova a dover affrontare una situazione inedita rispetto al passato. E in questo nuovo “gioco dei seggi” tocca ai partiti più piccoli calcare la scena. Per capire perché, diamo un’occhiata alla composizione del nuovo Congresso.

Il voto di novembre non ha giovato neanche ad UP, che porterà 7 seggi in meno (adesso ne conta 35) alla coalizione con PSOE. Tutt’altra storia a destra dove i Popolari sono passati dai 66 seggi di aprile a quota 88, mentre Vox diviene la terza forza politica con 52 seggi. Una crescita vertiginosa, se pensiamo che ad aprile ne avevano conquistati appena 24. A farne le spese, però, sembra proprio sia Ciudadanos che ha perso la maggior parte dei suoi deputati (da 57 ad appena 10).

La crescita dei partiti regionali

Passiamo quindi a vedere i partiti regionali. Sul fronte catalano troviamo ERC con 13 deputati (ne perde due rispetto ad aprile) e Junts per Catalunya che guadagna un seggio ed arriva ad 8. Anche i partiti baschi conquistano uno scranno in più: ora il PNV è a quota 7, mentre EH Bildu arriva a 5. Occorre notare come queste formazioni politiche siano le stesse che avevano sostenuto Sánchez nella mocion de censura con cui era salito al governo (compresi il Partido Demócrata Europeo Catalán e Crida Nacional per la República, adesso membri di Junts per Catalunya). Dal 2018, quasi tutti questi partiti sono cresciuti. Se allora l’ERC poteva contare su 9 deputati, oggi ne ha 4 in più. E mentre il PDeCat – sebbene in nuove vesti – ha mantenuto gli 8 seggi, EH Bildu è passato da 2 a 5 e il PNV da 5 a 7. Possiamo concludere che, ad oggi, il peso dei partiti regionali è ancora maggiore rispetto al primo governo post-Rajoy di Sánchez.

In questa situazione, Sánchez è obbligato quanto meno a tentare una negoziazione con queste forze. Infatti, i primi contatti sono già avvenuti e ciò non fa che rendere ancora più fondamentale la questione catalana, non solo per l’opinione pubblica spagnola, ma per la governabilità dell’intero paese.

L’ascesa di Vox

Ancora una volta possiamo ritrovare un richiamo con la scena politica di un anno fa. In quel periodo, per la prima volta dalla fine della dittatura di Francisco Franco, i sondaggi rilevavano una forza di estrema destra con la capacità di insediarsi nelle sedi del potere politico spagnolo. Alla fine, i sondaggi avevano (di nuovo) ragione. Si trattava di elezioni regionali, quelle dell’Andalusia, vinte ancora dai socialisti, ma con un risultato che annunciava venti di cambiamento. E se dopo le elezioni di aprile il PSOE ha scelto l’ennesima chiamata alle urne per rafforzare la sua posizione, non solo ha perso 3 seggi, ma ha visto Vox guadagnare ancora più consensi. E, stando alle ultime rilevazioni, sembra che l’avanzata ancora non si fermi. Diamo quindi un’occhiata alla media delle intenzioni di voto di questo ultimo mese.

Il PSOE registra un calo dello 0,7% rispetto al voto di novembre e scende al 27,3%. In leggerissimo calo sono anche le preferenze per i Popolari che perdono lo 0,2% e si troverebbero ora al 20,6%. Come detto, invece, continua a crescere Vox: l’ultraderecha spagnola guadagnerebbe l’1,2% per attestarsi al 16,3%. Timidi segnali di ripresa anche per Podemos che prende quota e arriva al 13,6% (+0,8%). Passiamo quindi ai partiti regionali, fondamentali ai fini del raggiungimento della maggioranza. ERC arretra lievemente (-0,3%) e si ferma al 3,3%, mentre gli altri catalani di JxCAT guadagnano mezzo punto e si ritrovano al 2,7%. Stabili, invece, i baschi del PNV fermi all’1,6%.

Il tracollo di Ciudadanos

Merita un capitolo a parte la storia di Ciudadanos. Stando alle ultime rilevazioni perderebbe ancora consensi (-0,7%) per scivolare al 6,1% (ed occorre evidenziare come l’ultima inchiesta Invymark attribuisca a C’s un ben più deludente 3,9%). Rispetto alle elezioni di aprile, il confronto è ancora più impietoso. Il partito ha perso più della metà delle preferenze (dal 15,9% al 6,1%, anche se come si è detto, il dato potrebbe essersi ulteriormente ridotto). Del resto, si trattava di un disastro già annunciato dalle analisi dei flussi di voto che mostravano chiaramente come meno della metà degli elettori di C’s avrebbe riconfermato la propria scelta. Un’ampia fetta dei voti si sarebbe quindi divisa tra Vox e il PP, prosciugando il bacino elettorale di Ciudadanos.  Così, insieme alle elezioni, C’s ha perso anche il suo leader: all’indomani dei risultati del 10 novembre, Albert Rivera ha lasciato la guida del partito e probabilmente, anche la vita politica. Le primarie del partito ci daranno il responso sul nuovo leader, anche se al momento sembra che Inés Arrimadas sia in pole position. A conferma di ciò ci sarebbe anche il sondaggio Invymark, secondo cui l’89,5% degli elettori di Ciudadanos guarda positivamente all’attuale portavoce di C’s al Congreso come sostituta di Rivera.

Dallo stesso sondaggio vi sarebbero cattive notizie per Sanchéz: il 65,8% degli elettori di C’s non è favorevole ad agevolare la formazione di una maggioranza. Se il partito dovesse agire di conseguenza porterebbe via 10 seggi, costringendo di fatto il PSOE alle trattative con i partiti catalani. Eppure, a livello nazionale, l’opinione pubblica sarebbe a sostegno del leader del PSOE. Difatti il 61,8% preferirebbe che C’s facilitasse l’investitura di Sanchéz contro il 34,6% che negherebbe qualsiasi appoggio.

Chi vota che cosa

Nella sua ultima newsletter, El Pais ha pubblicato, in collaborazione con GAD3, l’analisi delle intenzioni di voto pre-elettorali per fasce di età in occasione dell’ultimo appuntamento elettorale (10 novembre).

I nuovi partiti – Podemos, Ciudadanos o Vox – riscuotono maggiore successo tra i giovani, mentre i partiti tradizionali PP e PSOE, come ci si poteva aspettare, dominano tra le fasce d’età over 55. Dal grafico emerge come oltre il 60% degli elettori con più di 60 anni abbia votato per il PSOE o per il PP. Non stupisce neppure notare che tra i giovani vincano i nuovi partiti, nonostante il PSOE sia la prima scelta (con quasi il 20% dei voti) anche tra i più giovani (18-28 anni). Nonostante questo dato, gli under 28 sono molto polarizzati: il 19% sceglie Vox e il 18% UP, rispettivamente il secondo e il terzo partito in questa fascia d’età. Al crescere dell’età degli elettori, il consenso verso i nuovi partiti cala notevolmente. Il PP è il secondo partito per intenzioni di voto tra gli over 50 (e addirittura il primo tra gli over 75) ma tra i giovanissimi si piazza alla quarta posizione, solo di poco sopra C’s.

Luca Magrone

Qui ci andrebbe una bella bio accattivante in cui parlo dei miei titoli di studio (una laurea in Lettere Moderne e un master alla Scuola Holden) e racconto della mia passione per l'analisi e la narrazione della politica. E magari aggiungerei che mi piacerebbe raccontare i fatti attraverso numeri e parole.

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