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Canada: la sfida del “Trump” canadese Scheer al premier Trudeau

Canada: la sfida del “Trump” canadese Scheer al premier Trudeau

A tre settimane dalle elezioni facciamo il punto sulla campagna e i sondaggi

È spesso sbagliato fare paragoni tra personaggi politici di paesi diversi: basti pensare a quante volte abbiamo sentito parlare del “Blair italiano” o del “Trump europeo”. Nel caso del Canada e di Andrew Scheer, però, possiamo forse sentirci meno in colpa nel parlare del “Trump canadese”.

La somiglianza fisica non c’è, le strategie non sono completamente simili e i caratteri sono totalmente opposti. Ciò che però ci permette di avvicinarli è l’effetto che hanno avuto e stanno avendo sul panorama politico dei propri paesi, nonché le strategie iniziali. Nonostante questi due elementi li accomunino, negli ultimi mesi qualcosa sembra essere cambiato in Canada, e sono cresciute le domande sulle possibilità di vittoria che Scheer avrebbe se continuasse sulla strada trumpiana. Il prossimo 21 ottobre, infatti, i canadesi andranno alle urne per rinnovare il Parlamento: riuscirà in tale occasione il leader conservatore a spodestare il premier uscente, il liberale Justin Trudeau?

La nascita della stella conservatrice

Andrew Scheer, classe 1979, cresce nella regione del Saskatchewan e proviene da una famiglia di origine rumena molto cattolica. Fin da giovane è un membro dell’ala più radicale dei giovani conservatori canadesi e, nonostante il suo scarso fiuto negli affari che lo porta a far fallire varie società, il giovane Andrew ha un istinto politico formidabile ed è pronto a fare qualsiasi cosa. Dopo aver scalato il partito, a soli 25 anni diventa parlamentare, sconfiggendo uno storico deputato del New Democratic Party. La campagna è costruita tutta su paura, sicurezza e lotta alla pedopornografia, che il giovane Scheer tira fuori dal cilindro senza che in quel momento vi sia alcuna reale emergenza su quel tema.

Ma la strada per il successo non si ferma lì e, dopo essere diventato uno dei più giovani parlamentari di sempre, nel 2011 diventa anche il più giovane speaker della House of Commons canadese. La scelta cade su di lui perché il primo ministro Harper pensava che sarebbe stato facilmente manipolabile e sapeva che, visto il carattere del giovane, Scheer sarebbe stato pronto a fare tutto ciò che gli veniva chiesto.

I 5 anni corrono veloci per il Partito Conservatore e tutto sembra filare liscio, nonostante Scheer venga accusato sia di conflitto di interessi per i suoi rapporti strettissimi con il mondo privato, sia di negazione del diritto di replica all’opposizione parlamentare. L’incidente di percorso arriva però nel 2015 e ha un nome e un cognome: Justin Trudeau. Il giovane leader liberale infatti sbaraglia tutti alle elezioni (compreso il Partito Conservatore) e sembra fermare l’ascesa di Scheer.

Canada: le elezioni federali del 2015

Il giovane Andrew riesce però a tirare fuori il meglio anche da questa situazione: l’ormai ex speaker della Camera si ritrova ad essere l’unico conservatore di primo piano eletto in Parlamento, e di conseguenza il principale candidato ad essere il leader dell’opposizione. Infatti, con l’ormai ex primo ministro Harper fuori gioco, tutti provano a ergersi a leader dei conservatori, ma Scheer rompe gli schemi e riesce a vincere le primarie, anche perché i giornali della destra radicale scagliano una pioggia di accuse calunniose contro i suoi rivali interni.

Questo contatto e supporto da parte di ambienti far right però non è un caso isolato: il giovane leader infatti legittima il suprematismo bianco canadese con due gesti inusuali, accettando di farsi intervistare da Faith Goldy, una giornalista del canale di estrema destra Rebel Media – legato a Breitbart News – e poi parlando alla folla di United We Roll, un meeting della destra xenofoba. Pochi mesi dopo, ambedue questi gruppi si schierano a favore delle manifestazioni di estrema destra a Charlottesville che porteranno alla morte di una giovane attivista antifascista.

Alle primarie del Partito Conservatore, che si svolgono con un sistema di voto singolo trasferibile simile a quello australiano, Scheer vince di misura: in una forza politica non abituata alle primarie, Scheer strappa la vittoria portando a votare un elettorato – quello dell’estrema destra – che non aveva mai immaginato di partecipare a delle primarie.

Le primarie del Partito Conservatore del Canada del 2017

Nel 2017 Scheer diventa dunque il nuovo leader dei conservatori. Il partito, però, a livello nazionale è indietro nei sondaggi: a volte è addirittura superato dalla sinistra del New Democratic Party.

La strategia da leader e le incognite della campagna

Diventato leader dei conservatori, la strategia di Scheer si ammorbidisce e il clima politico si mitiga in vista dei prossimi passi. I toni duri contro i migranti e le minoranze continuano ad esserci, certo, ma smettono di essere il primo tema. La strategia del fango, arma vincente della campagna, continua però imperterrita, ed inizia a vedere la luce un leader dalla doppia personalità.

Mentre Scheer sulla scena nazionale sembra essere un conservatore moderato e pacato sul modello del suo mentore, l’ex primo ministro Harper, quando è ai rallies lontano dalle telecamere ripropone i temi tipici di Trump contro immigrati, cambiamento climatico e Trudeau.

Il suo staff è la perfetta immagine di questa bipolarità politica e mediatica. Il capo della sua campagna per la rielezione è sempre Hamish Marshall, l’uomo che aveva guidato la sua corsa verso la leadership conservatrice. Questi proviene dalle file dell’emittente di estrema destra Rebel Media, dalla quale si era licenziato poco prima di lavorare per Scheer ma attraverso cui mantiene ottimi rapporti con Breitbart News e Steve Bannon. Marshall non nasconde le sue simpatie per Putin, Salvini e il mondo dell’Alt Right.

Allo stesso tempo, a partire dalla sua elezione a leader dei conservatori, Scheer ha iniziato a coinvolgere assistenti molto vicini a politici moderati, come quelli provenienti dallo staff di Doug Ford, attuale premier dell’Ontario. Veronica Green e Simon Jefferies sono i due più recenti acquisti che hanno portato anche un cambio di rotta nella campagna: fino a gennaio 2019, infatti, il leader canadese non sembrava avere speranze di poter sconfiggere Justin Trudeau alle elezioni di ottobre, ma con il successivo scoppio dello scandalo SNC Lavalin il premier è stato azzoppato al punto che non sembra essersi ancora ripreso.

La nuova strategia

L’idea di strategia prima di questo evento era chiara per Scheer: portare al voto i più estremisti del partito per trasformarlo a sua immagine e somiglianza anche a costo di essere sconfitto a ottobre. L’idea era quella di portare a termine un rebranding in salsa trumpiana e populista della compagine conservatrice, così che questa potesse esser pronta per la fine del secondo mandato di Trudeau. Ma a partire dallo scoppio dello scandalo che ha toccato Trudeau, Scheer ha iniziato un recupero molto veloce: mentre l’avversario era occupato a difendersi e i partiti a sinistra dei liberali non riuscivano a cavalcare l’onda, il leader del Partito Conservatore è risalito nei sondaggi.

Scheer ha quindi ripreso i temi classici dei conservatori: liberalismo, protezione della democrazia, mitigazione dei toni. La risalita ha portato a una virata nella campagna, e non c’è stato dunque bisogno di quelle uscite spregiudicate à la Trump. Come riporta l’autorevole rivista Maclean’s, in molti si sono chiesti se i canadesi siano veramente come gli statunitensi: eleggerebbero un primo ministro come Trump? E senza il sistema elettorale americano riuscirebbero comunque a vincere con una campagna rivolta soprattutto alla destra più radicale?

Le risposte non sono state univoche e molti hanno inizialmente pensato, prima dello scandalo SNC Lavalin, che sulla carta sarebbe possibile ma al contempo molto complesso. Va detto infatti che il Canada è molto differente dagli Stati Uniti: la forma di governo è parlamentare e il sistema elettorale è il classico first-past-the-post britannico. Anche l’elettorato canadese, storicamente moderato, poco attirato dal sensazionalismo e favorevole a leader pacati, sembra lontano dalla galassia di valori che ha portato Trump a diventare presidente nel 2016.

L’incognita ambientale

A tutto ciò si devono aggiungere i giovani e i Verdi. La questione ambientale in Canada è fortemente sentita, soprattutto dai giovani, che vedono come fumo negli occhi un leader conservatore estremista. Senza una parte dei giovani in Canada non si vince, e dopo l’ondata verde alle ultime elezioni parlamentari e locali, il piano di Scheer sembrava essere sempre più difficile da accettare.

La risposta a questi quesiti e a questi dubbi sta portando all’ennesima trasformazione del camaleontico Andrew Scheer. Questi, infatti, con una serie di discorsi su politica estera, cambiamento climatico ed economia, proprio all’inizio della campagna elettorale ha fatto capire che il suo estremismo è giunto al capolinea. Al suo posto è tornato, di nuovo, l’accettabile candidato primo ministro scolpito a immagine e somiglianza del mentore Stephen Harper. I rapporti con Trump si sono raffreddati, mentre le amicizie del vecchio continente con Boris Johnson e Matteo Salvini sono state nascoste sotto ad un tappeto social di foto con le comunità islamiche canadesi e con le minoranze etniche.

Cosa ci dicono i sondaggi

Questa strategia sta funzionando? Diamo un’occhiata agli ultimi sondaggi. Se fra l’inizio di marzo e la fine di giugno lo scandalo che aveva investito i liberali aveva dato ai conservatori un vantaggio di oltre 5 punti percentuali, con l’estate la situazione si è ristabilizzata su una sostanziale parità, e nel mese di settembre il distacco medio fra i due partiti principali è raramente uscito dal margine di errore.

Canada: la media dei sondaggi

La situazione, insomma, sembra estremamente incerta. Riuscirà Scheer a far passare il messaggio dell’uomo moderato e timorato di Dio, proveniente dalla classe media e contrapposto al primo ministro Trudeau, figlio di uno degli uomini più ricchi del Canada? Solo fra tre settimane, dopo le elezioni del 21 ottobre, sapremo se la sua multiforme strategia sarà stata vincente o se al leader del partito conservatore servirà ancora un’ennesima trasformazione.

Emanuele Bobbio

Laureato in Scienze Politiche alla Sapienza, in triennale, e in International Relations all'Alma Mater di Bologna, in magistrale, attualmente studia Comparative Politics alla London School of Economics and Politics.
Cofondatore e Direttore de "Lo Spiegone", collabora con Affari Internazionali. Appassionato di mondo, studia politica comparata solo perché non riesce a decidere cosa gli piace di più.

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