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Il 2018 dei partiti: l’anno della Lega

Il 2018 dei partiti: l’anno della Lega

Un anno fa, pochi giorni dopo lo scioglimento delle Camere, l’Italia sembrava avviata verso elezioni che avrebbero certificato di nuovo un assetto tripolare. Il centrosinistra indebolito dalla parabola discendente di Matteo Renzi e il Movimento 5 Stelle guidato dal nuovo capo politico Luigi Di Maio si contendevano il secondo posto dietro il centrodestra, primo ma ancora “in cerca d’autore”. La Lega si trovava ancora alle spalle di Forza Italia nei sondaggi (più di 2 punti nella nostra Supermedia di fine anno, ma anche 4 in alcune rilevazioni di dicembre), ma il 13-14% medio di cui era accreditato il partito di Matteo Salvini sarebbe stato comunque un risultato senza precedenti. E ad ogni modo c’erano già – anche se col senno di poi è più facile dirlo – tutti gli elementi per ribaltare gli equilibri.

La Lega “nazionale” e la sfida con Forza Italia

Per ripercorrere il 2018 della Lega dobbiamo paradossalmente partire da un processo che si è manifestato in modo esplicito negli ultimi giorni del 2017 ma che era in fase d’incubazione da molto prima. Il 21 dicembre 2017, infatti, Salvini aveva presentato il nuovo simbolo della Lega Nord: ma, a sorpresa, nel simbolo c’era scritto solo “Lega”, e il blu aveva sostituito lo storico verde padano. Il restyling del simbolo faceva parte di una precisa strategia, dichiarata dallo stesso segretario: uscire dai confini politici tradizionali per lanciare un partito “nazionale”, in grado di raccogliere voti anche nelle regioni del Sud Italia. Non un’impresa facile, basti pensare che alle Politiche del 2013 la Lega aveva ottenuto in tutto il Mezzogiorno circa 22 mila voti, meno che nella sola, poco popolata, provincia di Sondrio.

A partire da questa trasformazione nominale e cromatica, Salvini è riuscito a impostare una campagna elettorale in grado di erodere il consenso di Forza Italia, peraltro senza che i sondaggi riuscissero a rilevarlo. L’ultima Supermedia prima del blackout preelettorale, infatti, indicava un vantaggio del partito di Silvio Berlusconi sulla Lega di oltre 3 punti e con tendenza all’aumento (in alcune rilevazioni lo scarto superava i 7 punti). L’agenda della coalizione era però dettata sempre più dalla Lega, e non solo in materia di immigrazione, da sempre suo cavallo di battaglia. Anche in economia, ad esempio, la campagna aveva assunto i tratti di una competizione interna, con una sorta di “asta al ribasso” sull’aliquota della flat tax. Sfruttando anche il contrasto fra la crescente attenzione rivolta a Salvini su media e social e le difficoltà degli azzurri nel trovare una leadership alternativa all’incandidabile Berlusconi, la Lega si presenta alle elezioni con legittime speranze di accaparrarsi la guida del centrodestra.

Il 4 marzo e oltre

La mattina dopo le elezioni appare in tutta la sua evidenza come l’operazione politica abbia avuto i risultati sperati. La Lega supera nettamente Forza Italia (17,4% contro 14%), garantendo a Salvini il ruolo di candidato premier per la coalizione di centrodestra, anche se i seggi in Parlamento non bastano per formare un governo con gli alleati. L’ex partito del Nord ottiene il risultato migliore di sempre alle Politiche in ogni singola regione, quadruplicando i suoi voti rispetto a cinque anni prima a livello nazionale e moltiplicandoli di ben 30 volte nelle regioni del Centro-Sud: in Toscana passa da 16 mila a 360 mila voti, nel Lazio da 6 mila a 400 mila, in Puglia da 1600 a 131 mila. La Lega è la prima lista della coalizione non solo sopra il Po, ma anche in Liguria, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria, oltre che in alcuni collegi del Lazio e dell’Abruzzo. Il ribaltamento degli equilibri è completo.

Nelle settimane dopo il voto, con il succedersi del primo e poi del secondo giro di consultazioni al Quirinale, si palesa sempre di più l’autonomia di Salvini rispetto al resto del centrodestra. Il leader della Lega, infatti, sa che non può andare al governo senza stringere un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, l’altro vincitore delle elezioni, ed è confortato da una crescita continua nei sondaggi: dal 4 marzo la Lega guadagna in media mezzo punto ogni settimana, superando di slancio il Partito Democratico e sfondando quota 20% a metà aprile. Così, quando a inizio maggio Mattarella annuncia un governo tecnico a guida Cottarelli, il leader leghista abbandona le cautele e attraverso il vicesegretario Giorgetti intima a Forza Italia di non opporsi a un esecutivo “gialloverde”. Iniziano tre settimane di trattative febbrili e dietrofront sul programma e soprattutto sugli incarichi. Dopo l’opposizione del Presidente della Repubblica alla nomina al MEF di Paolo Savona – fortemente voluto dalla Lega – Salvini accetta di ridimensionare ulteriormente gli incarichi per il suo partito nel nuovo Governo Conte, mantenendo per sé l’agognata poltrona di Ministro dell’Interno.

Il Governo Conte e il sorpasso

Inizia così a prepararsi un altro ribaltamento di equilibri. La Lega era uscita dalle urne a marzo staccata di oltre il 15% dal M5S, ma il distacco nei tre mesi che trascorrono tra il voto e la formazione di un governo si dimezza: un attimo prima del giuramento del Governo Conte il Carroccio sfiora il 23,9%, mentre il Movimento si attesta in lieve calo al 31,2%. Grazie al suo ruolo al Viminale, Salvini nei mesi estivi riesce a imporre quasi senza sosta la sua agenda comunicativa incentrata sulla chiusura dei porti alle navi italiane e internazionali di ricerca e soccorso dei migranti. La Lega conosce così un’ulteriore crescita di consensi, con pochi precedenti nella storia politica del nostro Paese (dal 17,4 al 31,6% in sei mesi). All’inizio di settembre, poco dopo la fine del controverso caso della nave Diciotti, tenuta per 6 giorni “in ostaggio” nel porto di Catania carica di migranti, arriva il sorpasso nei confronti del Movimento 5 Stelle.

È questo forse il principale motivo per cui questo 2018 può essere visto come un anno che segna una cesura netta nella storia politica italiana: un partito, da sempre considerato estremo, che aveva iniziato l’anno come quarta forza dello scenario politico si ritrova nel giro di otto mesi in testa in tutti i sondaggi e sopra il 30%, con un’ampia maggioranza parlamentare garantita da un alleato di governo in affanno. Non solo: sulla scia del grande risultato del 4 marzo, la Lega è riuscita – in coalizione con il centrodestra – a dominare la tornata di elezioni amministrative, vincendo in alcune roccaforti storiche della sinistra come Pisa, Siena, Massa, Terni e la provincia autonoma di Trento, oltre che alle regionali in zone tradizionalmente più favorevoli come la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia.

Autunno tiepido, inverno gelido?

Il ribaltamento dei rapporti di forza fra Lega e M5S e le difficoltà di quest’ultimo non hanno mancato di manifestarsi nel corso dell’autunno, principalmente dedicato alla legge di bilancio. Le tensioni fra i due alleati di governo, infatti, sono esplose di frequente su vari temi: dal condono fiscale al reddito di cittadinanza, dalla TAP alla TAV, dall’ecotassa sulle auto inquinanti al decreto sicurezza, con il Movimento che ha provato a recuperare l’iniziativa spingendo verso scelte di policy più gradite al suo elettorato.

L’impresa è riuscita raramente, soprattutto per una differenza fondamentale che divide i leghisti dai pentastellati, a livello parlamentare ma non solo. La Lega ha infatti mantenuto, pur nella trasformazione nazionale di cui abbiamo parlato, un’identità ben precisa, mentre la scelta di avere un alleato con un’identità così netta e di destra – insieme alle difficoltà insite nella prima prova di governo nazionale – sta facendo emergere le molte fratture nell’identità dei 5 Stelle.

Ma, forse anche a causa di queste tensioni, il boom del Carroccio di questo 2018 si è fermato a settembre e da allora il consenso ha continuato a oscillare sopra la soglia del 30% senza crescere né calare in maniera significativa. La situazione attuale presenta quindi un’incognita sulla capacità di tenuta dell’esecutivo gialloverde. Se il governo gode in effetti di grande consenso nel Paese, in Parlamento ha però dato prova di contare su numeri non solidissimi, tanto da aver avuto bisogno di porre la questione di fiducia al Senato sia sul Decreto Sicurezza, sia sulla manovra economica. Scopriremo nel 2019 se questo sarà un ostacolo passeggero o se le tensioni con il Movimento potranno davvero inceppare la macchina del consenso della Lega di Matteo Salvini.

Giovanni Forti

Romano, studia Economics all'Università di Pisa e alla Scuola Sant'Anna. Quando non è su una montagna, si diverte con sistemi elettorali, geografia politica e l'impatto delle disuguaglianze sul voto.

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