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Il voto nei capoluoghi e il cleavage centro-periferia

Il voto nei capoluoghi e il cleavage centro-periferia

Già dalle primissime analisi dopo il voto abbiamo detto che uno dei cleavage più attuali oggi sia quello centro-periferia. Facendo l’esempio di Torino, ci siamo accorti che c’è una parte del Paese che vive nei centri delle città che vota centrosinistra in misura molto maggiore rispetto alla media nazionale. E poi ce n’è un’altra che invece risiede nelle periferie nei comuni di dimensioni minori e che si è orientata nettamente sulla coalizione di centrodestra (e, in misura minore, sul Movimento 5 Stelle).

Chi ci segue nei giorni scorsi ha probabilmente già visto il prossimo grafico. Nelle città fino ai 100.000 abitanti il centrosinistra si aggira stabilmente intorno al 20% dei voti. Dai 100.000 in su, invece, PD e alleati crescono costantemente fino a diventare più che competitivi nei comuni con oltre 300.000 abitanti. Il centrodestra è estremamente forte nei piccoli comuni fino ai 25 mila abitanti, mentre il Movimento 5 Stelle primeggia nei comuni tra i 25 mila e i 100 mila abitanti.

Eppure questo non è un dato comune a tutta la penisola. Anzi, anche nella comparazione dei risultati nelle grandi città incide pesantemente il fattore area geografica.

Abbiamo allora analizzato il voto nei capoluoghi di regione d’Italia (eccetto la Valle d’Aosta). Al Centro-Nord la dicotomia città-provincia descrive fedelmente il comportamento elettorale degli abitanti di quelle zone. Qui, infatti, abbiamo capoluoghi nei quali il centrosinistra ha fatto bene o comunque meglio rispetto al dato complessivo della propria regione – e anche al dato nazionale.

Al Sud, invece, la correlazione tra voto nei centri urbani più grandi e voto al centrosinistra è quasi inesistente. In questa parte del Paese, infatti, troppo forte è stata l’affermazione del Movimento 5 Stelle, anche nelle maggiori città, mentre il centrosinistra non è riuscito a fare meglio del dato nazionale (anche se i suoi dati in questi centri sono comunque migliori rispetto al dato regionale).

Dunque, il centrosinistra va effettivamente meglio nelle grandi città, ma non in tutte le aree d’Italia. Il fattore geografico ha un suo peso considerevole in questa correlazione. Vediamolo meglio con questo grafico:

Cosa si evince? Che nei comuni capoluogo LeU è praticamente ovunque sopra il dato nazionale (tranne che a Napoli e Catanzaro): ciò dimostra che la lista di Grasso ha intercettato maggiormente il voto “cittadino”. È Potenza la città in cui ottiene la miglior performance, arrivando addirittura al 9,2%.

Il centrosinistra, come detto, fa meglio del suo dato nazionale da Roma in su. Il Pd risulta primo partito in 6 capoluoghi, con il record del 36,7% a Firenze. Bene la lista +Europa al Nord, dove tocca l’8% (a Milano).

Il Movimento 5 Stelle sembra invece sfuggire a queste logiche: è un partito trasversale anche dal punto di vista territoriale, sebbene nei capoluoghi del Nord vada meno bene rispetto al Sud. Come si evinceva Dal primo grafico, infatti, il M5S è il partito che risente di meno della variabile “ampiezza del comune”. Rimane tuttavia le sue difficoltà a sfondare al Nord, specie nei capoluoghi (persino a Torino, dove amministra), mentre lo si può considerare a tutti gli effetti il partito del Sud. A Napoli, per esempio, vince addirittura con il 51,8%. In generale, è risultato il primo partito in 13 capoluoghi.

Il centrodestra, infine, ha un andamento molto disomogeneo nel risultato territoriale. Non è, in linea di massima, una coalizione troppo competitiva nei capoluoghi. Appare confermata quindi la teoria che lo vede come un polo più forte fuori dai grandi centri urbani rispetto al resto della provincia, anche se le differenze all’interno della coalizione sono marcate: la Lega, per esempio, è il partito che nei capoluoghi va peggio. Fa meglio solo nel Triveneto, cioè a Trento, Venezia e Trieste: da questo punto di vista, è quindi l’estremo opposto di Liberi e Uguali. Forza Italia e Noi con l’Italia, invece, sono alquanto inconsistenti in tutti i capoluoghi del Centro-Nord: riescono invece ad affermarsi da L’Aquila in giù. A livello di capoluoghi poi, nel centrodestra Forza Italia perde anche qui la leadership della coalizione, primeggiando solo in 9 rispetto ai 10 dalla Lega. Meglio fa Fratelli d’Italia, che si muove più a macchia di leopardo nella penisola, anche se la sua zona di forza rimane il Centro Italia: a Roma fa registrare un +5,2% rispetto al dato nazionale, arrivando al 9,6% (dietro Forza Italia e Lega di appena un punto percentuale).

Stesso discorso si può fare per le estreme. La lista Potere al Popolo, infatti, fa meglio in quasi tutti i capoluoghi: a conferma del fatto che i partiti di sinistra radicale ottengono in questo tipo di comuni risultati migliori. Al contrario, Casapound ricalca grosso modo l’andamento visto per Fratelli d’Italia.

Finora, però, abbiamo analizzato il risultato dei capoluoghi rispetto al dato nazionale. Anche per questo, forse, siamo rimasti schiacciati nell’ottica Nord-Sud: essendoci stata molta disomogeneità nella distribuzione del voto tra le due macro-aree del Paese, anche la valutazione sui capoluoghi ha risentito di queste differenze.

Proviamo allora a confrontare il dato del capoluogo con quello complessivo della regione di appartenenza. Riusciremo così a evidenziare un trend diverso, magari con un centrosinistra effettivamente più competitivo nei capoluoghi anche al Sud?

Con questo grafico è tutto più chiaro, i valori sono evidenti. L’affermazione per cui il centrosinistra vada meglio nei grandi centri urbani, e quindi nei capoluoghi, è valida. Anche al Sud.

Anche LeU fa meglio in 18 capoluoghi rispetto al dato regionale. Con l’eccezione di Catanzaro e Potenza (in Calabria e Basilicata), non c’è capoluogo di regione dove le forze progressiste facciano registrare un risultato inferiore rispetto alla media regionale. Questa è sicuramente la controprova di quanto la dicotomia centro-periferia favorisca i progressisti nelle grandi città.

Al contrario, il centrodestra non sfonda nei capoluoghi, dove fa generalmente peggio rispetto ai dati regionali (con il record negativo di Napoli al 22,5%). Fanno eccezione solo Trento (dove però incide la percentuale dell’SVP in Alto Adige), L’Aquila (miglior risultato nazionale della coalizione di centrodestra con il 44,3%) e Cagliari.

Il Movimento 5 Stelle, ancora una volta, mostra la sua peculiarità e sembra davvero non risentire della divergenza tra città principali e province. In linea generale sembrerebbe andare peggio nei capoluoghi, soprattutto nelle regioni centrali del Paese. Un’ulteriore conferma di questa teoria viene dal dato medio dei voti ai vari partiti/coalizioni nei capoluoghi in confronto al dato nazionale. Se tutta l’Italia avesse votato come i capoluoghi, il Movimento 5 Stelle avrebbe vinto con il 32,4%, un risultato identico a quello nazionale, il che testimonia l’estrema omogeneità nel voto al partito guidato da Di Maio.

A crescere invece sarebbe la sinistra, con LeU che arriverebbe al 4,9% e la coalizione del PD al 26,3%. Un balzo in avanti complessivo di circa cinque punti, guadagnati a scapito del centrodestra, che si fermerebbe al 31,8% (contro il 37% effettivo nazionale).

Il cleavage città-periferia, quindi, rimane una questione tutta interna ai due poli tradizionali: nei capoluoghi e nei grandi centri il centrosinistra è avvantaggiato rispetto al centrodestra. La vittoria del centrodestra è in gran parte dovuta all’elevato consenso nelle province italiane.

Ma dove si sono presentati gli scostamenti maggiori tra il voto al capoluogo e la regione di riferimento? Il centrosinistra ha fatto sensibilmente meglio nei capoluoghi del Centro-Nord, con punte fino a 10,4 punti percentuali in più a Firenze rispetto alla Toscana e fino a 10,8 punti in più a Milano rispetto al resto della Lombardia.

Discorso inverso per il centrodestra. Peggio ovunque nei capoluoghi del Centro-Nord, con il picco negativo di Venezia: meno 12,4 punti percentuali rispetto al dato del Veneto. Bene invece a L’Aquila, dove risulta 8,8 punti percentuali più avanti rispetto al resto dell’Abruzzo.

Capoluogo abruzzese che, invece, è stata la croce del Movimento 5 Stelle, il cui risultato è stato 12,9 punti percentuali inferiore rispetto al resto della regione. In generale, comunque, gli scostamenti del partito di Di Maio non sono stati così evidenti. Il punto più alto, infine, lo si registra a Venezia (più 3,3 punti percentuali rispetto al Veneto).


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Andrea Maccagno

Laureato con lode in Governo e politiche alla LUISS, dove ha collaborato con il CISE, si interessa principalmente di sistemi elettorali e sistemi partitici.
Grande sostenitore dei diritti civili, è stato presidente di un'associazione LGBT

1 commento

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  • Non capisco il secondo grafico. E’ una % del dato cspoluogo sulla regione ? Ma come fa a fare 100 la somma finale? Può spiegare meglio?

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