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Fitto, Lorenzin, Bonino e gli altri: quelli che… inseguono il 3%

Fitto, Lorenzin, Bonino e gli altri: quelli che… inseguono il 3%

Verso la soglia di sbarramento e (possibilmente) oltre: poi chi vivrà, vedrà. Sembra essere questa la missione primaria di molti piccoli partiti in corsa, da soli o come parte di una coalizione, a queste elezioni politiche 2018. Quella delle micro-formazioni partitiche che si compongono in vista degli impegni elettorali è una tradizione tipica italiana, che è esplosa ai tempi del bipolarismo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 e che non si è interrotta nemmeno adesso che lo scenario politico è radicalmente mutato. Con il Rosatellum la tanto temuta tagliola per aggiudicarsi qualche seggio tra Montecitorio e Palazzo Madama è posta al 3% nazionale – ma, per i partiti che si presentano agli elettori in coalizione, è importante anche la soglia dell’1%.

Sia nel centrosinistra sia nel centrodestra i partitini non mancano. I processi che li hanno portati a formarsi risultano sempre curiosi ed interessanti. Da quello che una volta era il Nuovo Centrodestra, fondato da Angelino Alfano e ribattezzato poi Alternativa Popolare, sono nati ad esempio due figli di opposto segno politico: da una parte la lista Civica Popolare, guidata dal ministro della Sanità Beatrice Lorenzin e alleata con il PD in una coalizione di centrosinistra; dall’altra, Noi con l’Italia, con alla guida Raffaele FittoMaurizio Lupi e altri, coalizzati con il centrodestra.

Corsi e ricorsi storici di figure dal passato politico comune, adesso dislocate su opposte barricate; o per converso, di chi si era lasciato sbattendo la porta e adesso si ritrova giocoforza dalla stessa parte: è il caso di Flavio Tosi, che nel 2015 fu espulso dalla Lega dopo un durissimo confronto con Matteo Salvini e adesso se lo ritrova nella stessa coalizione di centrodestra. Discorso analogo per la coppia Berlusconi-Fitto, separatisi nel 2015 e oggi nuovamente fianco a fianco.

Anche nel centrosinistra, però, non manca chi in passato sventolava una bandiera piuttosto diversa. È il caso, ad esempio, di Pier Ferdinando Casini, ex UDC e storico alleato dei primi governi Berlusconi, il cui movimento dei Centristi per l’Europa compare tra i simboli “ospitati” da Civica Popolare. La sua candidatura con il PD nel collegio uninominale di Bologna per il Senato, sfidando l’ex governatore PD della Regione Vasco Errani (LeU), è a tutti gli effetti uno dei derby politici più interessanti del prossimo 4 marzo.

 

Sempre nella coalizione di centrosinistra ci sono anche la lista di stampo ulivista Insieme (di recente ‘endorsata’ pubblicamente da Romano Prodi, che unisce PSI, Area Civica e Verdi e guidata dal prodiano Giulio Santagata) e il movimento +Europa di Emma Bonino. La donna simbolo delle battaglie radicali si è unita in questa avventura ad alcuni liberal-europeisti orfani di Scelta Civica Benedetto Della Vedova, ma tutti loro hanno vissuto un gennaio tumultuoso fronteggiando il rischio concreto di non poter prendere parte alla competizione elettorale – o di doverci partecipare da soli, per via della spinosa questione delle firme da presentare. L’aiuto provvidenziale del Centro Democratico di Bruno Tabacci ha però rimesso in carreggiata gli europeisti che ora hanno persino buone chance di superare il tanto temuto sbarramento.

Quanti di questi partiti resisteranno anche dopo le elezioni? Difficile dirlo con certezza, ma l’esperienza del passato suggerisce un’aspettativa di vita piuttosto bassa. Guardando ai risultati delle elezioni 2013 salta all’occhio come, considerando solo le liste principali, ben 7 partiti di quella tornata elettorale non esistano più: si tratta di Scelta Civica, Sel, La Destra, Grande Sud, Futuro e Libertà, Rivoluzione Civile e Fare per Fermare il Declino.

 

Complessivamente tutti questi partiti hanno rappresentato il 16,4% dei voti espressi in quelle elezioni, con Scelta Civica a fare la parte del leone con l’8,3%. Stiamo parlando di circa 5 milioni e mezzo di voti che sono politicamente ‘evaporati’, nella maggior parte dei casi ad un anno o meno di distanza dal giorno del voto, considerato che di questi ben 5 partiti su 7 non sono sopravvissuti alle Europee del maggio 2014.

Oltre ai partiti scomparsi, poi, ci sono anche quelli che esistono ormai solo formalmente, essendo stati inglobati da altre liste: per esempio, la già citata Udc e l’Italia dei Valori. Dieci anni fa l’ex partito di Pier Ferdinando Casini si presentava in solitaria alle elezioni politiche conquistando oltre 2 milioni di voti, pari al 5,62% dei consensi; mentre l’Idv, che era in coalizione con il neonato PD di Walter Veltroni, si fermava al 4,37% (miglior risultato della sua storia fino a quel momento). Oggi di entrambi restano solo pallide copie: l’Udc in Noi con l’Italia e l’Idv (ormai da tempo orfana di Di Pietro) in Civica Popolare.

 

Partiti importanti che si sgonfiano e partitini che nascono con il solo scopo di diventare ‘navette usa e getta’ per il Parlamento: è la politica bellezza! Dal 5 marzo inizierà una nuova partita, ma per poterla giocare è necessario guadagnarsi la convocazione: il goal del 3% è più facile se si costruisce una buona squadra.

Matteo Senatore

Sono un ragazzo torinese laureato in Comunicazione Pubblica e Politica. Gran chiacchierone, da sempre amante dello sport, delle campagne elettorali e del cinema. Mi illudo ancora che la legge elettorale debba rappresentare le regole del gioco più profonde di un paese.

1 commento

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  • al paese si addice una legge elettorale proporzionale con sbarramento al 5% e con liste corredate tutte da firme di presentazione di almeno 100.000 elettori debitamente autenticate.

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