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Più simboli, meno loghi

Più simboli, meno loghi

Ci sono due volumi che non dovrebbero mai mancare nella libreria degli appassionati di comunicazione politica. Il primo si chiama “Vedere a sinistra” e fu pubblicato nel 1991 da Bruno Magno, storico grafico e art director del Partito Comunista Italiano prima e del Pds poi. Il secondo, più recente, è “Come Berlusconi ha cambiato le campagne elettorali in Italia”, scritto dal responsabile comunicazione di Forza Italia, Antonio Palmieri, insieme a Gianni Comolli, Cesare Priori, Massimo Maria Piana.

Entrambi raccontano la comunicazione dei rispettivi partiti e la sua evoluzione.

Tra le tante scoperte interessanti che si possono fare leggendoli, la più entusiasmante per me ha riguardato la nascita di due loghi che hanno fatto la storia: quello del Pds e quello di Forza Italia.

Una nascita che viene narrata solo attraverso le immagini e i bozzetti fatti a mano che hanno portato alla creazione di questi due loghi. Nel libro di Palmieri è sorprendente vedere quali furono le proposte alternative al logo e al nome “Forza Italia”, e strappa un sorriso osservare come il nome alternativo, “Italia giusta”, vent’anni dopo sarebbe stato il claim della campagna elettorale del centrosinistra alle elezioni politiche.

Per il Pds, invece, l’esigenza era diversa. Non quella di farsi conoscere, ma di rinnovarsi e staccarsi dalla falce e martello senza perdere però una storia chiara e antica. Bruno Magno, su suggerimento di Walter Veltroni, disegnò una quercia: un albero dalle grandi e forti radici, già simbolo della libertà all’epoca della rivoluzione francese.

Forza Italia invece nacque con un disegno coerente con il nome, che riprendeva un’esclamazione frequente nelle partite della nazionale di calcio: la bandiera italiana, su cui compare il nome del nuovo partito, infatti ricorda non poco l’ambiente calcistico. E trasmette tutto quell’ottimismo che Berlusconi ha sempre cercato di sottolineare.

Non serve scomodare Guttuso, autore del logo del Partito Comunista Italiano, per evidenziare una differenza non da poco dei loghi antichi rispetto agli attuali.

Quei loghi poggiavano su un’idea forte, su un simbolo forte: evocativi, belli ma soprattutto pregni di significato.

La comunicazione politica, ricordiamolo, è cosa molto diversa dalla comunicazione commerciale; e un logo efficace per un prodotto non è detto che lo sia anche per un candidato.

Tutto nasce dal diverso obiettivo di fondo della comunicazione: in quella commerciale, trasmettere valori che portino all’acquisto di un prodotto. In quella politica, trasmettere valori che portino al voto.

I loghi emersi nell’ultima campagna elettorale sono, ahimé, desolanti.

A partire dal logo di “Insieme”, che presenta al suo interno i loghi mignon, quasi invisibili, delle tre liste che lo compongono unite dal ramoscello d’ulivo – probabilmente l’ultimo vero simbolo apparso nella comunicazione politica italiana.

Il logo della lista Lorenzin, “Civica Popolare”, che unisce ben 5 loghi irriconoscibili sotto un fiore “immaginario e petaloso” disegnato dal figlio di un’amica della Lorenzin. Un fiore non troppo significativo: una scelta “obbligata”, dopo la diffida di Francesco Rutelli a usare una margherita (che avrebbe ripreso il suo vecchio partito), che al Ministro ricorda “una peonia”. Il logo della lista Lorenzin è caratterizzato soprattutto dal colore: un fucsia forte, abbastanza sgradevole e sicuramente non elegante. Ma i colori non servono solo a dare eleganza, servono anche a distinguere: in questo, il logo della Civica Popolare funziona, occupa uno spazio nel mercato cromatico nazionale che fino ad ora era pressoché inutilizzato. Il fucsia. Sarà facilmente riconoscibile sulla scheda.

Quello di “+Europa” è un logo pulito, corretto, che gioca sull’unione tra il simbolo grafico “+” e la “E” di Europa. I molti colori lo rendono non troppo leggibile, ma la predominanza di giallo dovrebbe togliere problemi di riconoscibilità al logo.

Anche ”Liberi e Uguali” ha un logo pulito, poco evocativo (le foglioline che aggiungono la possibile interpretazione femminile della parola “Liberi” sono un po’ poco): sicuramente non memorabile, ma è riconoscibile, moderno. Manca completamente della parte simbolica, è più un’esibizione di grafica pura che un “simbolo” vero e proprio, comunque disegnato in modo egregio.

La forza di “Noi con l’Italia” è proprio nella scelta conservativa di mettere lo scudo crociato in primo piano. Un simbolo prima che un logo, che per una fetta di elettorato italiano non irrilevante trasmette al primo sguardo valori forti e antichi. La scritta “Udc” sullo sfondo e in trasparenza sembra quasi nascosta, come a ricordare che prima viene lo scudo crociato, poi le sigle che lo rappresentano.

Infine, tra i vari loghi nuovi che si presentano al voto per la prima volta, spicca quello di “Energie per l’Italia” di Stefano Parisi. Un logo giallo, visibile, con il nome del leader in basso, leggibile. Un logo essenziale, il cui elemento simbolico viene dato da tre lampadine tricolori, a simboleggiare le idee. Peccato che, come nota Gabriele Maestri (autore del libro “Per un pugno di simboli”) nel suo magistrale blog sui simboli politici, le lampadine “si accendono” quando portano a un’idea. Nel logo di Parisi, invece, sono inesorabilmente spente.

C’è da avere nostalgia del passato guardando i loghi politici di oggi.

Io ho individuato tre ragioni essenziali:

  • Il primato della grafica sull’idea di fondo, per cui il font viene prima del simbolo: sono sempre più diffusi i loghi composti da solo colore e testo, senza una vera idea di fondo.
  • L’ovvia saturazione del mercato cromatico, che porta sempre più partiti a scegliere colori sgradevoli pur di essere riconoscibili;
  • Il ruolo troppo centrale della grafica, a discapito del disegno a mano libera: le grandi idee spesso nascono così, con un bozzetto fatto a mano. Come la quercia, come la bandiera di Forza Italia.

Per il futuro, quindi, non ci resta che sperare: più simboli, meno loghi.

Giovanni Diamanti

Classe 1989, consulente e stratega politico. Co-fondatore e amministratore di Quorum, ha lavorato ad alcune tra le più importanti campagne italiane, tra cui quelle di Debora Serracchiani, Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Vincenzo De Luca, Pierfrancesco Majorino, Beppe Sala. In realtà è un ragazzo timido che ama guardarsi la punta delle scarpe. Uomo dalla testa veloce, ha idee (confuse) in ordine sparso - così come i capelli.

3 commenti

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  • Il nome “Forza Italia” in realtà nasce da un (geniale) furto: non l’ha inventato Berlusconi. Era un claim utilizzato dalla Democrazia Cristiana nella campagna elettorale del 1987 e ideato dal pubblicitario Marco Mignani, padre di molti dei claim che ancora oggi consideriamo “assodati” nella cultura popolare italiana, dai “dieci piani di morbidezza” di Scottex fino al “Se non ti lecchi le dita godi solo a metà” delle Fonzies.

  • chissà come mai, ma guarda caso, non avete pubblicato e nemmeno citato il logo/simbolo della Lega-Salvini Premier… a pensar male…

  • Che la politica sia sempre più rappresentata da loghi e sempre meno da simboli, ben si accoppia con il suo essere composta sempre più da personaggi e sempre meno da idee ed ideali.