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I numeri della nuova Unione Sovietica di Putin

I numeri della nuova Unione Sovietica di Putin

Il 2017 sarà un anno decisivo per la Russia su scala internazionale, tra il nuovo gradito presidente americano Trump e l’avanzamento in Medio Oriente. Il Presidente russo Vladimir Putin deve però fare i conti con la forte crisi economica che colpisce il Paese e la sua gestione rischiosa del potere.

Le mosse di Putin sullo scacchiere internazionale

Guardando alla politica estera, alcune strategie russe appaiono in linea con quelle sovietiche: la Russia continua ad essere una potenza imperiale, seppur un po’ ammaccata, tra fobie di accerchiamento e forte aggressività, specie verso gli ex-stati satellite. Lo sanno bene i Paesi del nord Europa (Estonia, Lettonia e Lituania in primis) che temono una invasione russa in stile Crimea. Non è un caso che la NATO abbia da poco ricollocato le sue truppe in Europa orientale, andando a creare una sorta di nuova cortina di ferro dai tratti più incerti e sfocati. Anche fuori dall’Europa, specie nel Medio Oriente, non sono mancate dimostrazioni di forza volte anche a rubare terreno al suo nemico per eccellenza, gli Stati Uniti. Basti pensare al ruolo nella crisi siriana e al dialogo con i taliban afghani, alleati nella guerra contro lo Stato Islamico.

Certo è che il crollo del prezzo del petrolio, quello del rublo, le sanzioni occidentali e la crisi delle relazioni con molti paesi dell’Europa occidentale, hanno danneggiato molto la Russia. Il 2017 però potrebbe essere un anno decisivo, soprattutto perché potrebbe cambiare il ruolo di Stati Uniti ed alcuni importanti paesi europei.

Se nei paesi dell’est Europa (come Georgia e Ucraina) la Russia arriva aggressivamente con i carri armati, per far presa su quelli occidentali si serve di un’altra tecnica. La Russia non esporta più una ideologia come ai tempi del comunismo, ma agisce perseguendo obiettivi molto ‘pratici’: indebolire dell’Unione Europea; delegittimare le sanzioni economiche; legittimarsi come attore geopolitico. Per fare ciò, si serve di una forte propaganda, diffusa grazie progetto governativo di modernizzazione dell’informazione. L’agenzia Sputnik news, che prende il nome dal primo satellite mandato in orbita, fornisce la propria versione dei fatti, curandosi di confutare puntigliosamente le “russofobie” occidentali. “Sputnik racconta quello che gli altri non dicono”, afferma l’agenzia stessa (tra titoli come “L’occidente e le bugie dalle gambe corte”, “La minaccia russa non è così terribile come la dipingono” e “I media fanno disinformazione su Aleppo”).

Questa forte propaganda è affiancata da una  strategia in pieno stile omerico che si basa su una serie di infiltrazioni nei paesi occidentali a mo’ di “cavallo di Troia”. Infiltrazioni perlopiù economiche, ma non solo: è ormai nota e poco smentita l’interferenza di hacker russi nelle elezioni americane per favorire il candidato repubblicano Donald Trump. Che la Russia di Putin agisca con finanziamenti diretti a partiti e movimenti considerati ‘vicini’ è un fatto ormai noto: il Front National di Marine Le Pen ha già ricevuto una somma pari a 9 milioni di euro. 

Osservando il fascino che Putin suscita tra alcuni europei, non si può certo dire che le strategie messe in atto non siano state efficaci. Le nuove destre estreme, europee e non, prendono a modello la figura del presidente, simbolo della difesa dei valori tradizionali, del nazionalismo, del maschilismo e della diffidenza verso gli stranieri. Ammirato perché non si fa intimorire dai vincoli legali e dai trattati internazionali e perché non abbassa la testa, ostentando la sua forza bruta. Mentre le stanche democrazie occidentali, incapaci di rispondere ai bisogni dei cittadini, sono governate da uomini per lo più gracili e di poco polso, Putin si presenta come l’unico in grado di governare, facendo dimenticare ad alcuni il prezzo da pagare per tutto ciò: ha reso la Russia quella caricatura democratica che è oggi. Come mostra una recente indagine del PEW Research Center, questa strategia funziona.

 

Ma non ci sono solo gli estremisti a guardare alla Russia con interesse. Tra i moderati c’è anche il candidato alla presidenza francese François Fillon. Il senatore russo Pushkov spera che con Fillon si crei un nuovo asse Mosca-Parigi in sostituzione all’attuale e odiato asse Berlino-Parigi. Effettivamente Fillon e Putin sono d’accordo su diversi punti: l’appoggio ad Assad nella crisi siriana, il conservatorismo, lo spirito critico circa il decadimento dei costumi occidentali e importanza della religione cristiana. Anche nel nuovo presidente americano Trump, Putin sembra aver trovato un buon interlocutore, tanto da augurarsi il rilancio di operazioni bilaterali, specie nella lotta contro lo Stato Islamico. Certo, in questo caso Putin dovrà anche riuscire nella gestione di una narrazione, verso l’interno e verso l’esterno, che vedeva da 10 anni l’individuazione degli Stati Uniti e della Nato come nemici principali della nazione.

Le sfide interne

Le prossime elezioni presidenziali si terranno tra poco più di un anno, nel marzo 2018, ma da diverso tempo al Cremlino si respira un’aria pesante. Circolano voci di un cattivo stato di salute del presidente, che forse lascerà il posto al fedele Medvedev. Inoltre, a minare l’immagine presidenziale si sommano la crisi economica e l’opaca e quasi esoterica sua gestione del potere, denunciata persino da alcuni fedelissimi, tra cui l’ex ministro Yakunin (sollevato dall’incarico nell’agosto 2015). Nonostante questo alle elezioni legislative del settembre 2016 Russia Unita ha ottenuto il 54,2%, il risultato più alto mai raggiunto. Da sottolineare però il dato record dell’astensionismo: il 52% dei russi non si è recato alle urne, per lo più liberali e oppositori del governo, disillusi. La percentuale di astenuti è stata ancor più alta nelle due grandi città Mosca e San Pietroburgo in cui sono andati a votare rispettivamente il 28% e il 20% dei cittadini.

Dal 2000 al 2008 l’economia russa è cresciuta all’incirca del 7% annuo, grazie a riforme economiche e all’aumento del prezzo del petrolio e del gas. Con l’arrivo della crisi del 2008 la Russia ha però subito una forte battuta d’arresto: il PIL ha subito una contrazione del 10% e l’economia russa non è riuscita a riprendersi. A pesare su questa flessione così drammatica, un’economia di diretta derivazione sovietica, basata su industrie immense e inefficienti di cui Putin si è servito per mantenere una certa stabilità sociale e, quindi, consenso elettorale.

Oggi, nell’obiettivo di uscire dalla crisi, Putin ha incaricato Aleksej Kudrin, ex ministro delle Finanze dimessosi dopo uno scontro con Medvedev riguardo le spese militari, di elaborare un nuovo piano economico. Kudrin è convinto della necessità di attuare riforme strutturali per ricominciare a crescere. La Russia deve far fronte alla forte mancanza di investimenti causati anche dalle sanzioni, alla forte distanza dai mercati finanziari mondiali, all’arretratezza tecnologica, alla bassa produttività e alla scarsa esportazione, oltre alla bassa qualità della pubblica amministrazione. A tutto ciò va aggiunta una forte crisi demografica: dal crollo dell’Unione Sovietica infatti i russi hanno smesso di fare figli.

Riformando tutti questi aspetti, Kudrin prevede una crescita del 2/2,5% annuo e, a partire dal 2025, di una crescita annua del 4/4,5%. Non sono numeri impossibili: anche l’agenzia Moody’s ha previsto che già nel 2017 la crescita sarà dell’1%.

Non tutti però sono così ottimisti sulla effettiva realizzazione del piano: secondo il giornalista Grozovskij del Moscow Times questa riforma così radicale del sistema russo è pressoché impossibile e fallirà come altre sono fallite in passato. Lo stato manterrà comunque il controllo delle aziende più redditizie, evitando di smantellarne molte e impedendo le privatizzazioni necessarie, e Mosca resterà la detentrice del controllo politico e finanziario nonostante si paventi una regionalizzazione e un aumento del potere per gli enti locali.

A pesare è anche la mancanza di investimenti statali nell’economia con grossi trasferimenti destinati piuttosto alle spese militari: nel 2011 i fondi destinati a polizia, difesa e sicurezza ammontavano a 2700 miliardi di rubli (circa 43 miliardi di euro), cioè il 25,4% del bilancio statale, mentre nel 2016 ne sono stati spesi 5700 miliardi, circa il 34%.

Le sanzioni economiche hanno avuto un certo peso. Il loro obiettivo era danneggiare tre settori fondamentali dell’economia russa: difesa, energia e finanza. Ma nel lungo periodo potranno mettere in difficoltà altri settori come quello della estrazione di gas e petrolio che necessitano dell’avanzata tecnologia occidentale per essere efficienti, tecnologia che difficilmente altri paesi possono offrire alla Russia.

Claudia Gonnelli

Divoro libri, conoscenza e relazioni. Laurea in Relazioni Internazionali e Mass Media e Politica; master alla RUDN di Mosca; uscita viva dal Parlamento Europeo di Bruxelles.

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