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Sondaggi: Trump è in rimonta, ma Hillary è ancora favorita

Sondaggi: Trump è in rimonta, ma Hillary è ancora favorita

Chi ci legge, o ci viene a trovare negli incontri che facciamo da febbraio sulle elezioni americane con Francesco Costa, lo sa già – a proposito: stasera l’ultima tappa italiana, alle 21 al Circolo dei lettori di Torino; venerdì 4 alle 18.30 siamo a Londra, alla London School of Economics; e l’8 noi di Quorum/YouTrend seguiremo la notte elettorale alla Scuola Holden, presto dettagli.

Però lo ripetiamo volentieri: ci sono tre regole d’oro per leggere in modo consapevole i sondaggi sulle presidenziali.

  • La prima è che, siccome il presidente si elegge stato per stato con il meccanismo dei “grandi elettori”, quello che conta di più è l’andamento negli swing states, cioè quella manciata di stati in bilico, in cui pochi voti possono fare la differenza (a questo giro sono Florida, Ohio, Iowa, Nevada, North Carolina, Colorado, Arizona, Utah, Pennsylvania e New Hampshire). Quindi: i sondaggi nazionali sono utili, fanno capire l’aria che tira e i trend generali, ma in fin dei conti la partita si vince negli stati.
  • La seconda è che è sempre meglio aggregare i vari sondaggi – spesso sono diversi per metodologia, numerosità del campione, tipo di intervista (telefoni fissi, cellulari, online…) – e guardare alle medie, più che al singolo sondaggio. Ovviamente le medie ci mettono più tempo per riflettere le evoluzioni del consenso rispetto a un singolo sondaggio, ma fidatevi: è tempo ben speso.
  • La terza, che si lega alla seconda, è che non tutti i sondaggi sono uguali: esistono istituti più o meno affidabili, istituti più o meno vicini ai repubblicani o ai democratici, eccetera. Controllate sempre chi è l’autore della rilevazione, e che track record ha (qui c’è l’utile “pagellone” di FiveThirtyEight, che dà un punteggio a ciascuna casa di sondaggi).

Detto questo, oltre ai sondaggi puri e semplici esistono modelli statistici di previsione che mettono insieme tante variabili (le intenzioni di voto, appunto, pesate in base all’ampiezza del campione, a quanto è recente la rilevazione, all’affidabilità di chi l’ha condotta; ma anche variabili macroeconomiche, il giudizio sul presidente uscente, e così via) e esprimono la probabilità che vinca un candidato o l’altro.

Il più famoso è quello di Nate Silver su FiveThirtyEight, concepito già nel 2008 e poi affinato, ma ce ne sono altri, come quello di Upshot del New York Times e quello di Princeton.

A oggi – lo vedete qua sopra – tutti i modelli dicono che è favorita Hillary Clinton, alcuni più timidamente (come FiveThirtyEight, che le dà il 71% di probabilità di successo) e altri meno (come il Princeton Election Consortium, che le assegna 98 chance su 100).

Vuol dire che ha già vinto? No. Ma che oggi – a una settimana dal voto americano – è più probabile che vinca lei.
Tenendo comunque presente che se ho il 70 per cento di probabilità di vincere, vuol dire che ho il 30 per cento di probabilità di perdere. Per fare un paragone, il 70% è più o meno la probabilità di vincere che ha una squadra di calcio se gli avversari sbagliano il primo rigore: e se avete visto Italia-Germania agli Europei di quest’anno sapete che coi rigori non si sa mai.

Fatta la tara a tutto questo – operazione indispensabile, specie se seguite i giornali e i telegiornali italiani – c’è un elemento che è emerso con nettezza negli ultimi 7-10 giorni: sì, Donald Trump sta rimontando.

Il vantaggio medio nazionale di 6-7 punti che aveva Hillary Clinton circa una settimana fa si è ridotto intorno ai 3-4 punti, e questo ci fa dire che sì, Donald Trump può vincere, ma se succede almeno una di queste due cose:

  • che il trend a lui favorevole continui, portandolo a una sostanziale parità nazionale con Hillary, o a uno svantaggio di 1-2 punti, caso in cui potrebbe spuntarla per il meccanismo dei grandi elettori: qui Nate Silver spiega bene perché, e qual è la sua ‘path to victory’
  • che i sondaggi, per qualche motivo, patiscano in realtà un significativo errore sistematico che sottovaluta Trump o sopravvaluta la Clinton.

Le motivazioni del recupero, e in fondo della possibilità stessa che Donald Trump diventi il quarantacinquesimo inquilino della Casa Bianca, sono diverse. La prima è che, da sempre, Trump va forte fra gli elettori bianchi poco istruiti, un segmento elettorale molto ampio in certi stati del Midwest industriale (Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin), presso il quale nel 2008 e nel 2012 Obama riuscì a contenere i danni.

Per capirci: secondo l’ultimo sondaggio ABC/Washington Post, fra i bianchi non laureati Trump è davanti di quasi 40 punti, mentre nel 2012 Obama fu sconfitto di meno di 20 punti.

Così, se la partita a livello nazionale si assottiglia, e se Trump riesce a portarsi a casa i grandi elettori di uno fra Pennsylvania (che ne assegna 20), Michigan (16) e Wisconsin (10), le sue chance di vittoria aumentano parecchio.

Un’altra causa della crescita di Trump sembra essere la mobilitazione degli elettori repubblicani, che secondo le analisi si erano ‘raffreddati’ dopo il primo dibattito presidenziale e le accuse di molestie, e che ora, complice una settimana difficile per la Clinton, paiono intenzionati a tornare a casa e scegliere il candidato del GOP, con un margine di 82 punti. A questo si aggiunge il vantaggio di 18 punti per Trump fra gli elettori che si definiscono ‘indipendenti’, secondo l’ultima stima di ABC/Washington Post.

 

Infine, si sta sgonfiando – come si prevedeva da tempo – la candidatura del libertario Gary Johnson, ex governatore repubblicano del New Mexico: era arrivato a superare il 10% a livello nazionale, ora sta intorno al 5, e alcuni dei suoi elettori nell’ultima settimana si sono orientati su Trump.

In poche parole, oggi, a una settimana dal voto americano, i segnali non sono univoci, molti elettori hanno già votato o stanno votando tanto che l’8 novembre il 40% dei voti saranno già stati espressi (e questa sugli afro-americani non è una buona notizia per la Clinton), c’è un numero elevato di indecisi e comunque ci vorrà ancora qualche giorno per misurare gli effetti delle vicende più recenti.

La conclusione più saggia è invece forse la più semplice fra le conclusioni possibili: Trump può vincere, Hillary Clinton è ancora la favorita, sui sondaggi americani non fidatevi dei giornali italiani.

Lorenzo Pregliasco

Nato nel 1987 a Torino. Si è laureato con una tesi su Obama, è stato tra i fondatori di Termometro Politico, collabora con «l'Espresso» e ha scritto su «Politico», «Aspenia», «La Stampa».
È regolarmente ospite di Sky TG24, Rai News, La7 e interviene frequentemente su media internazionali come Reuters, BBC, Financial Times, Wall Street Journal, Euronews, Bloomberg.
Insegna all'Università di Bologna, alla 24Ore Business School e alla Scuola Holden.
Ha scritto Il crollo. Dizionario semiserio delle 101 parole che hanno fatto e disfatto la Seconda Repubblica (Editori Riuniti, 2013), Una nuova Italia. Dalla comunicazione ai risultati, un'analisi delle elezioni del 4 marzo (Castelvecchi, 2018) e Fenomeno Salvini. Chi è, come comunica, perché lo votano (Castelvecchi, 2019).
È direttore di YouTrend.

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