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Primarie USA: le strategie dei candidati repubblicani

Primarie USA: le strategie dei candidati repubblicani

Donald Trump è il candidato alle primarie USA più discusso e seguito dai media, sia in patria che al di fuori. Le sue battute, spesso rozze e volgari, talvolta anche sessiste, hanno segnato in modo indelebile l’agenda mediatica dell’ultimo anno.

Dal suo prorompente ingresso nella scena elettorale, da subito accompagnato da numeri stellari nei sondaggi, pochi analisti l’hanno considerato come un contender credibile alla nomination repubblicana. Troppo radicale, troppo incompleto, troppo debole alle elezioni vere contro (molto probabilmente) Hillary Clinton. Troppo lontano da quell’elettorato moderato, gli independents, la cui conquista è fondamentale per raggiungere i 270 voti elettorali necessari per l’elezione a Presidente.

Eppure, mesi dopo, Trump guarda ancora dall’alto verso il basso tutti i pretendenti alla nomination repubblicana, costretti ad inseguire il candidato più anomalo degli ultimi decenni. Il margine di vantaggio, va detto, si è assottigliato: oggi Ted Cruz è appaiato al miliardario in Iowa, il primo Stato in cui si voterà e che storicamente ha una funzione strategica decisiva nella creazione di un momentum, mentre Marco Rubio e Chris Christie stanno cercando di impensierirlo nel New Hampshire. Nelle settimane scorse il neurochirurgo Ben Carson si è più volte avvicinato a Trump nei sondaggi, ma la sua scarsa preparazione, soprattutto in materia di politica estera, l’ha indebolito fortemente dopo gli attentati parigini.

Trump si inserisce in un contesto anomalo, difficilmente paragonabile alle precedenti tornate elettorali. La sfiducia è altissima, nei confronti dell’operato del Congresso come più in generale verso l’establishment politico. Così, le “sparate”, i toni forti e le posizioni poco ortodosse di Trump sono serviti a marcare un’enorme differenza tra lui e tutti gli altri candidati, a definire e consolidare un posizionamento forte e radicale, difficilmente scalfibile da parte dei competitors. Donald Trump non parla a tutti gli americani, non parla alla maggior parte degli americani e probabilmente non parla nemmeno alla maggior parte degli elettori repubblicani. Ha trovato però un segmento elettorale, fatto di conservatori (e non) scontenti e disaffezionati verso il sistema politico americano, fortemente contrari agli ingressi dei migranti, che cercano risposte da un non-politico che nella propria vita ha dimostrato di saper costruire successo. E non importa se ha poco rispetto verso le donne, gli immigrati, i disabili: questi errori lo rendono più umano, più vero. Meno politico.

Il resto del gruppo, gli altri candidati repubblicani, hanno finalmente iniziato ad attaccare Trump direttamente e duramente. Così facendo, però, si colpiscono a vicenda: il dato strategico evidente è che l’elettorato del magnate newyorchese non è contendibile dagli attori politici tradizionali. Gli elettori di Trump non guardano con interesse al centro, non guardano con interesse a candidati vicini all’establishment. Solo Ted Cruz l’ha capito , e si sta ponendo come alternativa pacata e tradizionalista ma altrettanto antisistema a Donald Trump, forte di una storia personale credibile per gli elettori più conservatori. Una posizione che fino ad ora ha pagato, e che in ottica futura può risultare decisiva.

Questo scenario ci introduce la campagna elettorale dei prossimi mesi. Da una parte, Trump proseguirà il lavoro iniziato, e che negli ultimi mesi è proseguito senza inversioni di rotta. Una campagna più mediatica che territoriale, incentrata sulla sua persona, sui suoi show, con uno staff ridotto all’essenziale. E con un obiettivo chiaro: portare al voto i delusi, gli arrabbiati.
Dall’altra, nel “gruppone”, la situazione è più fluida ma tende finalmente a delinearsi. Con un Jeb Bush sempre pieno di soldi ma non in grado di scaldare il cuore dei compassionate conservatives, un Chris Christie in crescita ma senza reali prospettive di convincere la maggioranza dell’elettorato repubblicano, un Ben Carson in picchiata, il duo Fiorina-Kasich che non riesce più a ripetere le brillanti performance di fine estate, e gli altri candidati non pervenuti, i due veri rivali di Trump saranno verosimilmente Ted Cruz e Marco Rubio. Due candidati con strategie diverse, quasi opposte.

Rubio, grande oratore e abile storyteller dalle posizioni conservatrici ma mai esagerate, deve sperare nella riduzione drastica del numero di concorrenti repubblicani: tra i tre, è il candidato maggiormente in grado di raccogliere i voti dei vari Rand Paul, Carly Fiorina, John Kasich, Cris Christie, Jeb Bush, ed è quello che può parlare a un elettorato più vasto, risultando compatibile sia con l’ala più conservatrice che con i moderati. Dalla sua, poi, Marco Rubio ha un’arma che con l’avanzare della campagna si rivelerà sempre più importante: l’electabilty. È infatti il candidato con le maggiori chances di sconfiggere Hillary Clinton alle elezioni presidenziali.

Ted Cruz ha una strategia molto diversa. Negli ultimi mesi si è presentato come il candidato conservatore anti-establishment, conquistando lentamente i voti della destra religiosa, e facendo il pieno tra i consensi dell’ultraconsevatore Scott Walker, ritiratosi oramai due mesi fa dalla contesa. Ora punta agli elettori di Trump. Le posizioni dei due, nei fatti, non sono così divergenti, e Cruz attenderà ogni minimo passo falso del miliardario per mostrarsi ai suoi elettori come “il volto eleggibile della destra anti-establishment“. Una strategia potenzialmente vincente, nel lungo periodo, vista la debolezza di Trump nei sondaggi contro la Clinton.

Sono mesi che tutti danno per spacciato Trump, eppure lui continua a guardare tutti dall’alto dei numeri degli istituti di ricerca. Manca solo un mese al voto in Iowa: sarà il punto di svolta per la campagna di Cruz, che vincendone i caucus spera di farsi trainare dall’entusiasmo del momentum, svuotando il consenso elettorale di Trump e vincendo così la corsa alla nomination. Il momento chiave per Marco Rubio sarà invece pochi giorni dopo, nel New Hampshire. Se l’Iowa storicamente premia i candidati della destra evangelica e conservatrice, il New Hampshire è uno degli Stati di riferimento per i candidati moderati: per questo, Rubio spera di vincere nel piccolo stato dell’East Coast, godendo poi del ritiro di Bush, Christie e Kasich, una volta sconfitti.
Nel frattempo, però, i sondaggi continuano a premiare Donald Trump.

 

(Immagine di copertina: Andrew Harnik/AP)

Giovanni Diamanti

Classe 1989, consulente e stratega politico. Co-fondatore e amministratore di Quorum, ha lavorato ad alcune tra le più importanti campagne italiane, tra cui quelle di Debora Serracchiani, Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Vincenzo De Luca, Pierfrancesco Majorino, Beppe Sala. In realtà è un ragazzo timido che ama guardarsi la punta delle scarpe. Uomo dalla testa veloce, ha idee (confuse) in ordine sparso - così come i capelli.

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