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Treviso: la fine di un’egemonia ventennale

Treviso: la fine di un’egemonia ventennale

Tra i comuni più importanti che hanno cambiato colore nel corso dell’ultima tornata di elezioni amministrative, Treviso merita una menzione particolare: qui infatti è avvenuto un vero e proprio cambio di paradigma, a seguito di uno scontro tra visioni (e metodi) politici opposti, forse come in nessun altro comune. Il seguente “racconto” è a cura di Natascia Porcellato, ricercatrice presso Demos & Pi che ha seguito questa importante campagna elettorale sin dall’inizio.

“Insieme si vince” titola il manifesto di ringraziamento del Pd dopo i risultati di queste amministrative. Vista da Treviso, però, appare una frase ironica. Infatti, nessun dirigente nazionale del partito si è visto ad accompagnare Giovanni Manildo verso una vittoria storica per la città e per il centrosinistra.

Dai “confini dell’impero”, per riprendere l’espressione usata da Debora Serracchiani all’indomani della sua vittoria in Friuli-Venezia Giulia, la dirigenza romana del Pd deve rimanere lontana, se vuole vincere. Manildo ha compiuto un’impresa: sconfiggere vent’anni di leghismo granitico personificato nella sua figura più rilevante, Giancarlo Gentilini. Lo “sceriffo”, infatti, non è stato solo un primo cittadino della Lega: è l’uomo che enunciava il suo “Vangelo” alle adunate di Venezia; il modello di sindaco a cui molti, sul territorio, si sono ispirati. Per certi versi, è la Lega in Veneto. Manildo, quindi, ha sconfitto un simbolo. E si capisce perché Gentilini, dopo aver “consegnato” la città a Manildo, abbia dichiarato che “è finita l’era Gentilini, è finita l’era della Lega e del Pdl”.

È una vittoria che viene da lontano, quella di Manildo, costruita con pazienza e perizia. Le primarie dell’ottobre scorso, caratterizzate da una partecipazione molto alta (con oltre 3500 trevigiani al voto), sono state il primo atto di una campagna elettorale durata 9 mesi. La sfida era a cinque, ma il vero testa a testa è stato tra Manildo, esponente renziano del Partito Democratico, e Franchin, candidato indipendente proveniente dalla società civile. Il futuro sindaco prevalse con 1.301 voti (37%) mentre Franchin si fermò soli 146 voti sotto, a quota 1.155 (33%).

Vinte le primarie, Manildo ha saldato la sua leadership all’interno della coalizione: ha ricomposto le fratture e compattato le diverse componenti attorno alla sua candidatura. Oltre al Pd e Sel, infatti, all’interno della coalizione “Treviso Bene Comune” sono comparse altre 3 liste civiche che hanno arricchito e rafforzato la sua candidatura. La campagna elettorale di Manildo è stata caratterizzata da una presenza costante e capillare in piazze, quartieri, vie, mercati. In tutto questo periodo, come dicevamo, sono stati tenuti lontani i big romani del partito. A sostegno del candidato sindaco del Pd sono arrivati, invece, altri amministratori: il neo-governatore del Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani; i sindaci del territorio, tra cui Achille Variati da Vicenza e Roger De Menech da Ponte nelle Alpi (che è anche neo-deputato), per citarne alcuni; e naturalmente Matteo Renzi, primo cittadino di Firenze e, soprattutto, simbolo delle istanze di rinnovamento all’interno del Pd e non solo – visto il consenso di cui gode fuori dal suo partito.

Al primo turno Manildo ha conquistato 17.460 voti, il 43% dei consensi, rispetto ai 14.282 (pari al 35%) che è riuscito a raccogliere Gentilini. Il Pd è il primo partito in città con il 23%, mentre le quattro liste che accompagnano Manildo si dividono piuttosto equamente il rimanente 20%. Gentilini, invece, è forte del 20% che raccoglie la sua lista personale, ma la Lega si ferma all’8% e il Pdl supera di poco il 5%.

Gli altri contendenti sono rimasti piuttosto lontani dai due sfidanti principali. Zanetti, il patron del caffè Segafredo, sostenuto da Scelta Civica e due liste civiche, ha raccolto il 10% dei consensi, mentre il Movimento 5 Stelle e il suo candidato Gnocchi si sono fermati sotto il 7%. Chiudono, infine, Mauro, sostenuto da due liste civiche (3%) e Bellon (Indipendenza Veneta, 2%).

Il vantaggio con cui il candidato di centrosinistra si è presentato al ballottaggio era pari a poco meno di 3.200 voti, ma né Manildo né Gentilini hanno concluso apparentamenti ufficiali con altre liste. Le ultime due settimane di campagna sono state caratterizzate da un innalzamento dei toni da parte di Gentilini, che ha sferrato attacchi personali anche molto duri verso il suo avversario. Manildo ha continuato a confrontarsi con la popolazione con costanza, ma l’incontro che non è riescito a fissare è proprio quello con Gentilini. I comitati dei due contendenti hanno continuato la ricerca di un pubblico confronto senza risultati. Fino al 7 giugno, ultimo giorno di campagna elettorale. Gentilini è ospite a Rete Veneta, Manildo in piazza a chiudere la sua campagna, almeno finché il candidato del centrosinistra non decide di andare a suonare agli studi televisivi. Nel dibattito guidato da Luigi Bacialli, ha luogo la rappresentazione plastica del bivio che ha di fronte Treviso: 44 anni vs 83 anni; fermezza contro irruenza; pacatezza contro sfrontatezza; idee per il futuro contro sguardo rivolto al passato.

È in quel confronto, forse, che si è deciso il risultato. A scrutinio del ballottaggio ultimato, Gentilini arriva a 17.159 voti, Manildo raggiunge quota 21.403. Così, Manildo è il nuovo sindaco di Treviso.

Entrambi aumentano i propri consensi: Gentilini ha un saldo positivo di 2.877 voti, ma Manildo di 3.943. Tra primo e secondo turno, quindi, la distanza tra i due si allarga e passa da 3.178 a 4.244 voti.

Treviso cambia sindaco e, in questo modo, volta pagina rispetto alla sua storia recente. Vent’anni di dominio incontrastato della Lega Nord sono finiti il 10 giugno scorso con la vittoria di un 44enne esponente del Pd. Il confronto, in questo caso, era su più fronti. Non solo su quello meramente generazionale. Era la sfida tra i due partiti più presenti sul territorio: il Pd, all’opposizione da sempre, e la Lega Nord, guida incontrastata della città, ma entrambi attivi e radicati nel tessuto cittadino. Era la sfida tra un partito che, con mille difficoltà, è riuscito a darsi una classe dirigente rinnovata e un altro che, con una classe dirigente troppo forte, non ha saputo o capito che era il tempo di lasciare il passo a qualcun altro. Era anche la sfida tra due metodi: la scelta delle primarie, da una parte, e l’imposizione della stessa guida di sempre, storica e simbolica, dall’altra. Era una sfida quasi impossibile, secondo molti, ma Manildo l’ha vinta.

 

Natascia Porcellato – ricercatrice presso Demos & Pi, per cui cura l’Osservatorio per il Nord-Est.

 

Redazione

La redazione di YouTrend

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