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Il lavoro nell’urna: produzione e voto nel 2013

Il lavoro nell’urna: produzione e voto nel 2013

Premessa

Ogni tipo di produzione porta con sé un modello sociale e degli interessi economici particolari. La geografia elettorale è profondamente influenzata da questi modelli socio-economici. Storicamente, lo sappiamo, il PCI era il partito della grande fabbrica e delle cooperative rosse, mentre il sistema della piccola e micro-impresa faceva (e fa) vacillare la separazione padrone/operaio su cui si basa un certo tipo di discorso politico. Anche alla luce della crisi economica, quanto valgono queste differenze? È possibile riscrivere la mappa elettorale del paese guardando all’economia locale? La risposta è affermativa.

I Sistemi Locali del Lavoro

Le informazioni così ottenute non saranno approfondite come quelle dei sondaggi, certo. Si tratta però di dati certi e non di una ricostruzione proveniente da un’indagine, quindi più affidabili. A noi spetta mostrarci capaci di analizzare il tutto. Con un piccolo sforzo possiamo cercare di vedere come il tipo di produzione locale influenza il voto.

All’inizio degli anni ’90 l’ISTAT ha diviso i comuni italiani in Sistemi Locali del Lavoro (SLL). Questi sistemi sono “omogenei” al loro interno, con ciò intendendo che raggruppano comuni limitrofi tra di loro, con un sistema produttivo simile, al cui interno le persone si spostano. L’ultimo aggiornamento ha portato gli SLL a 686. E YouTrend ha provveduto a ricostruire il risultato elettorale in ognuno di questi. Un po’ come per i comuni, questi agglomerati sono diversi tra loro per dimensioni (alcuni hanno gli abitanti di un quartiere, mentre le metropoli italiane si allargano inglobando il loro hinterland), ma i confini amministrativi regionali e provinciali vengono meno. Questo è un fattore importante: ha senso considerare il novarese in Piemonte? Dividere i comuni dell’Est ligure da Massa non è forse arbitrario? Inoltre, cosa importante per la nostra analisi, ogni SLL è catalogato dall’ISTAT in base al tipo di produzione e sono disponibili le statistiche su tassi di attività, occupazione e disoccupazione aggiornati al 2011. Manca il 2012 che è stato un anno importante per l’economia italiana, ma come si dice in quel di Torino: “Piutost’ che nient’ l’è mej piutost“.

Produzione e voto nel 2013

Abbiamo quindi unito i vari SLL in base al tipo di produzione. Questo significa, per esempio, che tutti i distretti (in senso largo, gli SLL non sono i celeberrimi distretti industriali, anche se alcuni SLL coincidono con questi) specializzati nel tessile, da nord a sud, sono uniti. Che cosa emerge dalla nostra analisi? I risultati sono riassunti nella tabella 1. Vi sono delle categorie in cui la differenza tra le coalizioni è decisamente forte. Si prenda, ad esempio, il tessile. Nelle zone legate al volano della rivoluzione industriale, il settore di punta del Made in Italy (in crisi da una ventina d’anni), il centrodestra prende il largo staccando il centrosinistra di quasi sei punti, con il Movimento 5 Stelle indietro sotto il 22%. La coalizione guidata da Bersani fa invece il pieno di voti nelle zone urbane che siano ad alta specializzazione (per l’ISTAT rientrano in questa categoria Roma e Milano con relativo hinterland, il Canavese ed il triestino) o a bassa specializzazione (si tratta di zone dove il terziario prevale abbastanza largamente, vi sono lande di centrodestra come Cuneo e Sondrio, ma anche roccaforti rosse come Perugia e Terni). Il centrosinistra poi va fortissimo nelle aree urbane non specializzate. Si tratta di un’area del paese semi-contigua che parte da Bologna e arriva a Firenze, con l’aggiunta di Udine e Verona. Le vecchie zone rosse, insomma. Un altro aggregato produttivo filo-progressista è quello legato all’industria dei mezzi di trasporto. Qua il dato è chiaramente “sbilanciato” a causa della presenza di Torino e della sua cintura (l sistema locale torinese da solo rappresenta il 60% dei voti). Anche togliendo il torinese però, il risultato cambia di poco: il centrosinistra è sempre avanti (ma di soli 3 punti).

tabella 1

Anche questo sguardo ci conferma quanto abbiamo visto nella precedente analisi geografica: il centrosinistra riesce a fare il pieno nelle città (o comunque nei sistemi urbani, come le cinture metropolitane o le zone di tradizione fordista) e in particolare le vecchie terre di tradizione comunista nella tratta Bologna-Firenze. Dal punto di vista produttivo si tratta di un blocco dove possiamo individuare due tipi di sistemi: nel primo vi è un’importante presenza dello stato (a Roma per noti motivi, a Bologna per l’Università e l’indotto che essa genera) o comunque un’importante tradizione di collaborazione impresa/enti locali e per finire una fitta rete di cooperative. Il secondo sistema produttivo “progressista” è quello ormai orfano del fordismo classico. Il Canavese, il torinese, l’hinterland milanese. Anche questo fa parte dell’eredità socialista/comunista. A questi settori tradizionali, nel 2013 se ne uniscono pochi altri: i sistemi turistici per esempio. Questo è però un dato un po’ falsato perché l’ISTAT cataloga come “turistici” quasi tutti i comuni alto-atesini (che in termini politici vuol dire SVP). Vi è anche spazio per i sistemi della manifattura pesante legata ai metalli da costruzione. Anche in questo caso, come per il torinese, c’è un inghippo e si chiama Sassuolo (la metà dei voti viene dal comune emiliano e suoi dintorni). Senza di questo, il risultato sarebbe esattamente invertito. Infine abbiamo i territori specializzati nell’industria agroalimentare ( con zone rosse importanti come Poggibonsi e il ravennate, ma anche zone azzurre come parte del cuneese e Voghera) e il distretto dell’occhialeria (il bellunese, ma anche Mirandola e comuni limitrofi, inseriti probabilmente a causa del distretto bio-medicale, il quale però non si occupa di occhiali!).

La coalizione berlusconiana trionfa invece nel resto del paese. Abbiamo già parlato del tessile (dove la Lega da sola supera il 10%) e come esso anche altre produzioni simili: pelli, calzature, abbigliamento. Settori del Made in Italy molto esposti alla competizione internazionale. Come quello che resta dell’industria mineraria e siderurgica italiana del resto, dove dobbiamo fare una distinzione extra rispetto a quella dell’ISTAT: Berlusconi vince là dove i metalli si lavora(va)no, come nel distretto di Lumezzane, a Costa Volpingo (nel bergamasco) e nel tarantino, ma non a Piombino o Novi Ligure. Perde invece nei luoghi in cui i metalli si estraggono/estraevano come nel Sulcis (che è, però, storicamente zona forte per i progressisti, in quel pezzo di Sardegna, per dire, nel 1948 vinse il Fronte Popolare). Il discorso filo-protezionistico di Tremonti e della Lega, unito alla tradizione democristiana della maggior parte delle zone dedite alle “produzioni del made in Italy” (con un’eccezione importantissima in termini di PIL e addetti, che rimane saldamente a sinistra: Prato, i cui voti sono però bilanciati dal distretto laniero biellese e da quello comasco della seta), ha aiutato ad ancorare saldamente a destra questi distretti. Importante è anche il risultato nelle zone non specializzate: si tratta di quella parte del paese in cui il sistema produttivo appare frastagliato e frammentato e in cui, allo stesso tempo, manca un centro urbano che faccia da baricentro. In altre parole: la maggior parte dei comuni del Mezzogiorno. A questi si aggiungono quei territori ancora prevalentemente agricoli, in cui non si è però sviluppata l’industria agro-alimentare (parti importanti di Sicilia e Calabria) e che ancora alla metà del secolo scorso erano caratterizzate dal latifondo. Volendo tirare le somme, potremmo dire che il centrodestra è più forte:

  1. Là dove il rischio globalizzazione è più sentito, per lo stress che pone sul tipo di produzione e per le piccole dimensioni delle imprese;
  2. Dove prevale la campagna sulla città, siano essi comuni dove il tessuto economico è composto di piccoli commercianti e artigiani o comuni agricoli ma non agro-industriali.

Le eccezioni a questo discorso sono alcune manifatture importanti come il distretto del mobile (ma saremmo tentati di farlo rientrare nella categoria 1) e quella parte del paese specializzata nel petrol-chimico (includendoci industrie derivate, come quella farmaceutica).

Per terminare questo sguardo sul 2013, concentriamoci sul Movimento 5 Stelle. La sorpresa di queste elezioni ottiene i suoi risultati migliori nei distretti a vocazione agricola del Mezzogiorno, nei distretti portuali (i 5 stelle sono una forza costiera, si vede bene dalla nostra mappa, anche se non ho spiegazioni per questa caratteristica) e nei sistemi specializzati nella produzione di mezzi di trasporto, grazie al torinese ed alla Val di Susa. Ora, chiaramente il voto di Avigliana (M5S al 37,8%) non è legato alla presenza della Azimut, ma non possiamo escludere che tra i cassa integrati della ex-Viberti di Nichelino (M5S al 35%) più che la TAV a spingere per il voto a Grillo sia stata una situazione economica a dir poco precaria. Risultati ottimi anche per quanto riguarda i distretti dei metalli da costruzione: con e senza Sassuolo, dove è secondo con il 25,9%. Basti pensare che a Civita Castellana, dove ha sede il distretto della ceramica, il M5S è primo partito con il 35,5% a 8 punti dalla coalizione di Bersani, che perde 16 punti rispetto al 2008. Così come è prima coalizione a Pietrasanta, importantissimo centro di lavorazione del marmo. Il voto grillino però sembra essere abbastanza slegato dalla tradizione economica ed è più difficile trovare uno schema simile a quello che abbiamo visto per centro-sinistra e centro-destra (per quanti limiti possano avere quegli schemi).

È il momento di aggiungere al nostro discorso un’altra variabile. Sino a qui abbiamo parlato del tipo di produzione. Questo è importante, ciò che si produce plasma il territorio e i rapporti sociali che si svolgono in esso. Non è però la sola variabile economica in gioco. Grazie all’ISTAT, è stato possibile aggiungere alla nostra analisi anche la disoccupazione, prendendo in considerazione il tasso stimato nel 2011. Abbiamo utilizzato una semplice correlazione per vedere se emergeva qualche indizio in più.

tabella2

Come già nella precedente analisi, la smoking gun continua a sfuggirci. La disoccupazione ed il relativo odio per il sistema politico incapace di risolvere il problema poteva rappresentare un bella spiegazione. C’è una debole correlazione tra i due fenomeni, ma il risultato è davvero molto modesto. Anche un’analisi leggermente più approfondita, attraverso l’uso di regressioni (usando la collocazione geografica del distretto come variabile di controllo), non fornisce dati più interessanti o certi (una relazione positiva con la disoccupazione, ma con R2  pari a 0,1 ovvero un potere esplicativo molto, molto basso). Procedendo ad un ultimo tentativo, abbiamo calcolato la variazione dei vari tassi rispetto (attività, occupazione, disoccupazione) tra il 2008 (ultimo anno pre-crisi) e il 2011 per ogni SLL. Anche in questo caso, l’osservazione delle correlazioni non fornisce alcun riscontro “forte”. Una conclusione provvisoria sul voto a 5 stelle, rebus sic stantibus, potrebbe suonare così: il risultato elettorale del movimento di Grillo pare essere influenzato in modo positivo dalla mancanza di lavoro, ma in maniera comunque limitata e non determinante. Si accettano ovviamente suggerimenti dai lettori per future indagini!

Produzione e voto: cosa cambia rispetto al 2008

Veniamo all’ultima parte del nostro articolo: è cambiato qualcosa e, se sì, dove rispetto al 2008? A tal proposito, potete far riferimento alla tabella 3 che ci mostra quanti dei voti assoluti del 2008 riescono a tenere le varie coalizioni. Avvertenza: il confronto è diretto, voti Bersani divioi voti Veltroni. Non si è fatta alcuna “ricostruzione ex-post” delle coalizioni, per esempio aggiungendo i socialisti e l’SVP. Questo perché riteniamo che la costruzione delle alleanze sia in sé un dato politico da analizzare.

tabella3

Iniziamo dal centrosinistra: Bersani tiene molto bene nelle zone turistiche (ma, ricordiamoci, il dato è viziato dalla presenza dell’SVP, di fatto quindi non è una tenuta ma l’acquisizione di una fetta d’elettorato tramite accordi). Ottimo anche il risultato nell’occhialeria, pompati dal distretto di Mirandola (ma anche nel Bellunese il centrosinistra tiene abbastanza), l’agroalimentare e le zone specializzate nella fabbricazione di macchinari. Il calo è comunque generalizzato e vi sono poche variazioni, la maggioranza dei distretti vedono il centrosinistra lasciare per strada tra il 20% ed il 30% dei suoi voti in 5 anni. Sotto il dato nazionale (73%) troviamo:

  1. I mezzi di trasporto (dove si paga l’erosione grillina per la questione della TAV);
  2. La triade pelli-calzature-abbigliamento;
  3. Le zone costiere/portuali e l’accoppiata che più descrive il sud: quella fetta di territorio non specializzati ad alto tasso di disoccupazione e la parte a vocazione agricola.

Per il centrodestra invece il calo più sensibile si trova nella già citata fascia dell’occhialeria (guardate Belluno ed i 24 punti persi in 5 anni), nei mobili e soprattutto nelle zone urbane. Curiosamente però la tenuta è più uniforme rispetto a quella del centrosinistra di Bersani: è semplicemente crollato ovunque. Molto marcate invece le differenze tra Monti 2013 e Casini 2008: il Professore va forte nelle aree più industrializzate nel Nord e nelle zone urbane, dove arriva a raccogliere anche due volte e mezzo i voti dell’UDC di cinque anni fa. La débâcle si consuma nella già citata landa agricola/non specializzata: il Mezzogiorno, già in crisi prima del 2008, è refrattario al messaggio di “responsabilità” e “austerità” propugnato dall’ormai ex Terzo Polo.

CONCLUSIONI

Lo spaccato che ricaviamo dai differenti SLL non varia la visione che avevamo ricavato dalla precedente analisi più “geografica”: trovano conferma i già citati limiti strutturali del centrosinistra, mentre appare più globale il calo del centrodestra.  Per Bersani e Berlusconi però sembra valere soprattutto il discorso dell’eredità social comunista e democristiana. In altre parole: history matters. Per quanto riguarda Monti, possiamo aggiungere qualcosa a quanto detto una settimana fa: il nuovo centro del Presidente del Consiglio si discosta fortemente dalla distribuzione neo-democristiana, geografica e produttiva, presentandosi come la coalizione della borghesia liberale (fortemente urbanizzata), cadendo nella parte dove il terziario si configura come piccolo commercio (anziché come professioni liberali) o dove ancora forte è il settore agricolo. Per terminare, rimane la babele 5 Stelle. Anche in questo caso, l’analisi non ci offre chiavi di lettura convincenti: la disoccupazione non spiega il voto 5 Stelle. Bagheria e Rosarno, due degli SLL con più alto tasso di disoccupazione, presentano due risultati opposti per i grillini (31% e 18% rispettivamente). Anche nelle zone urbane l’andamento non appare particolarmente uniforme e già sappiamo che sfugge abbastanza alle tradizioni di voto locali. Rimane insomma un grande punto interrogativo sulla creatura di Grillo e Casaleggio.

 

Matteo Cavallaro

Collezionista di titoli di studio, emigrato oltralpe, gran tifoso della Juventus. Mi occupo di tutto ciò che collega elezioni ed economia, cercando di capire come e se queste si possano influenzare a vicenda.

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