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L’occupazione in un anno di sofferenze

L’occupazione in un anno di sofferenze

Come sta il lavoro? Nel pieno della crisi è questo alla fine il primo cruccio di (quasi) tutti. Ogni variazione dei principali indici, (PIL, produzione industriale, spread) ha un valore misurabile dell’impatto sulla vita quotidiana e sui redditi della popolazione e prima di tutto sull’occupazione. In USA questo fattore è ancora più importante e il numero di disoccupati e l’aumento o la diminuzione delle richieste di sussidio sono tra le principali notizie che occupano i media.

SITUAZIONE AL TERZO TRIMESTRE 2012:

Vediamo allora la fotografia del lavoro in Italia:

Facendo una “fotografia” della popolazione italiana vediamo che se parliamo di lavoro ci si riferisce solo a una parte della popolazione, in quanto circa un terzo di questa (il 34%) è escluso in quanto maggiore di 64 anni e minore di 15 anni. Del restante 66% solo il 38% in realtà lavora, e se coloro che cercano occupazione sono il 4% circa, c’è un 24% di persone inattive nonostante siano in età da lavoro, e questa appare essere la vera anomalia a livello europeo. Considerando anche che vi è una percentuale di studenti universitari inferiore alla media europea: non può quindi essere questa la causa di tanta inattività, che va piuttosto ricercata in quelle persone, soprattutto donne, soprattutto al Sud, che non sono disponibili a lavorare o lo sarebbero ma non stanno veramente cercando lavoro, come possiamo vedere di seguito, da dati ISTAT.

Oltre al dato pauroso del 61,7% di inattività femminile al Sud, tale tasso anche al Nord è comunque più alto di quello di inattività maschile al Sud (38,2% a 33,6%): quindi non possiamo solo attribuire al lavoro nero questi risultati, visto che è molto diffuso anche tra gli uomini, ma proprio a una situazione, di respiro nazionale, di arretratezza, forse culturale, nel lavoro femminile rispetto all’Europa. Vediamo qui i dati ISTAT per il range di età tra i 15 e i 64 anni:

E qui il sottogruppo dei giovani tra i 15 e i 24 anni:

Qui la differenza tra uomo e donna è molto minore ma continua a prevalere su quella Nord-Sud.

Quello che veramente differenzia il Nord dal Sud è il tasso di disoccupazione, come vediamo dai seguenti prospetti ISTAT sui 15-64 anni e 15-24 anni:


La disoccupazione maschile al Sud è molto maggiore di quella al Nord, anche femminile; si discosta da quella femminile meno di quanto si discosti l’inattività, almeno nel range 15-64 anni, e così alla fine il dato principale, quello sull’occupazione, vede il simbolico sorpasso dell’occupazione femminile al Nord su quella maschile al Sud, come vediamo dal prospetto ISTAT seguente:

Tra i giovani, che indicano almeno in parte le tendenze future, questa caratteristica è più netta:

Qui si nota che tra i giovani l’occupazione, pur bassa, vede meno ancora meno differenze tra uomini e donne: prevale invece definitivamente, come nella disoccupazione, il gap tra Nord e Sud, vero crinale anche nel lavoro. L’occupazione delle donne al Nord è ancora superiore a quella degli uomini al Sud, quindi il segnale per chi ha la responsabilità delle politiche del lavoro è che il gap-uomo donna è soprattutto un retaggio dei decenni passati in cui l’occupazione femminile è rimasta a livelli bassissimi, di ultra-50enni spesso casalinghe ora difficilmente occupabili, mentre la determinante sempre più incisiva rimane quella territoriale.

TENDENZE ANNUALI:

Ripercorrendo i prospetti di cui sopra osserviamo anche come la fotografia sia cambiata in un anno, tra il terzo trimestre 2011 e terzo trimestre 2012; vediamo quindi prima di tutto l’andamento del numero degli occupati, la cosa in assoluto più importante, di seguito:

Un grafico ISTAT vi è anche per la percentuale di disoccupazione, in netto e costante aumento: la discrepanza tra un aumento della disoccupazione e una stabilità del numero degli occupati si trova nel calo, anch’esso netto, degli inattivi:

Ecco un riassunto dei tre dati:

La disoccupazione quindi è quasi interamente il risultato dell’aumento degli attivi, un aumento diviso in due: giovani che finiti gli studi decidono di cercare lavoro (non trovandolo) e allo stesso tempo un minore pensionamento dei lavoratori più anziani. Vediamo dai precedenti prospetti (16 e 17) che nel totale dei lavoratori sono più le donne a diminuire l’inattività, sia al Nord che al Centro che al Sud, rimanendo più a lungo al lavoro, mentre per i giovani vi è una tendenza leggermente maggiore di diminuzione dell’inattività maschile: ma qui, come abbiamo già visto nella fotografia dell’occupazione, la vera discrepanza è Nord-Sud, con il meridione che vede diminuire maggiormente il numero degli inattivi, del 3,2% per i maschi. La crisi, anche del lavoro nero, e l’assottigliamento delle rendite e dei risparmi delle famiglie portano evidentemente più giovani a cercare lavoro nonostante la congiuntura negativa.

Questi dati mostrano come la disoccupazione sia di fatto composta in maggioranza di giovani che si ammassanno all’entrata del sistema produttivo, trovando un tappo, come si vede nel prospetto generale con un aumento più veloce della disoccupazione giovanile, già strutturalmente maggiore.

Ma quale occupazione? Prima di tutto è da sottolineare che dentro il numero degli occupati vi è da segnalare la presenza di circa 500 mila cassintegrati, una parte dei quali in altri Paesi, con altri tipi di ammortizzatori, figurerebbero certamente tra i disoccupati o non attivi.

Inoltre, ci sono stati cambiamenti nelle tipologie di lavoro, e come non era difficile immaginare sono aumentati i lavoratori a termine e quelli part time, come vediamo dai seguenti grafici ISTAT:

Nel seguente prospetto vi è la versione dinamica del primo cartogramma:

Le percentuali sono le variazioni, e riassume in unico schema quanto abbiamo visto, così vediamo di cosa è composta quella variazione 0 dell’occupazione, che tra l’altro nasconde anche un aumento del lavoro indipendente, spesso “finte” partite IVA.

E inoltre la diminuzione dell’inattività delle persone tra i 15 e i 64 anni si dimostra ancora più necessaria in quanto, come si può osservare, si assiste al progressivo aumento della popolazione inattiva per motivi di età, a causa dell’innalzamento della speranza di vita.

È in atto quindi una soluzione di tipo “tedesco” alla crisi, ovvero la conservazione dei posti di lavoro avviene attraverso una diminuzione delle ore lavorate e conseguentemente del costo complessivo del lavoro stesso. È ciò che nel 2009 fu effettuato in moltissime aziende tedesche tramite accordi tra sindacati e imprenditori. Ora però avviene in modo pressochè anarchico e asimmetrico, ovvero sono i lavoratori in entrata, giovani, donne, anche con elevata istruzione ad essere impiegati in modo parziale e a termine.

E del resto proprio vi è mancanza di una modifica nelle condizioni di lavoro dei lavoratori più anziani quasi tutti a tempo indeterminato, il cui tasso di occupazione anzi è in continuo aumento per le riforme pensionistiche (e soprattutto per la mancanza di misure di tipo, appunto, tedesco) e la resistenza ad esse, come per esempio l’ipotesi di una “staffetta” nelle aziende per l’assunzione di giovani in apprendistato (quindi non precari) in cambio del passaggio al part-time di alcune lavoratori più anziani, come illustrato qui: un provvedimento nei giorni scorsi approvato per la prima volta in Lombardia tra sindacati e associazioni imprenditoriali, un primo segno che forse la crisi costringe tutti a trovare vie nuove.

 

Gianni Balduzzi

Classe 1979, pavese, consulente e laureato in economia, cattolico-liberale, appassionato di politica ed elezioni, affascinato dalla geografia, dai viaggi per il mondo, da sempre alla ricerca di mappe elettorali e analisi statistiche, ha curato la grande mappa elettorale dell'italia di YouTrend, e scrive di elezioni, statistiche elettorali, economia.

1 commento

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  • Trattasi di lavoro. Il problema è quello di allargare il diametro della torta non lo spicchio. Ho visto dati, dati dati giustamente secondo le modalità della legislazione attuale con le sue regolamentazioni attuali.A mio avviso è poter allargare le possibilità di poter lavorare.Cosi come ogniuno di noi personalmente cerca di ridurre le spese per far quadrare i propri conti, dovremmo far quadrare i conti anche nella pubblica amministrazione che per abitudine a fatto ricorso al debito verso l’estero.Per allargare le possibilità lavorative al momento, ritengo che si debba far agire le PMI e coloro che vorrebbero intraprendere, permettendo loro di poter ridurre le S.G.amministrative. Per poterlo fare debbono poter tenere su un SW gestionale, replicato per ogniuno che lo desidera( per semplificarsi la vita e per chi fatti i con
    ti, è convinto che conviene pagare in funzione del valore aggiunto della loro attività produttiva), presente su un Host dello stato linkato a INPS, Inam e a tutti le istituzioni compreso il fisco. Le aziende possono, grazie ai risparmi burocratico/amministrativi, essere più competitive all’estero.
    Vantaggi : Meno capannoni vuoti e meno gente preparata senza lavoro.
    Inizio di una virtualizzazione dell’apparato amministrativo e di controllo dello Stato.
    Nessuno di questi avrà più di che lamentarsi con le istituzioni per abuso di autorità. Sparirà il desiderio di produrre all’estero.
    Il coraggio di far ordine, in fretta, nello Stato italiano togliendo le asimmetrie.
    Grazie al circolo virtuoso, recuperare mansioni amministrative alle produttive comprese le relative interfacce Statali (vale ancora il detto: mentre si lavora si impara).ecc.ecc.
    Ora si deve scegliere: E’ più intelligente dirottare, i soldi che si possono risparmiare all’interno dello Stato, mettendoli a disposizione (proponendo semplificazioni e agevolazioni)di chi vuol intraprendere per produrre per l’esportazione? Capannoni vuoti ce ne sono, operai a spasso e capaci pure. Oltretutto se non trovano un privato che li assume, diventano un costo per lo Stato, partecipano ad aggravarne i conti visto che non è più possibile continuare come prima ad indebitarci all’estero.

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