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La Lituania vira a sinistra

La Lituania vira a sinistra

Domenica 28 ottobre la Lituania ha scelto il suo nuovo governo. Al secondo turno delle elezioni parlamentari – il primo si era svolto lo scorso 14 ottobre – Andrius Kubilius, leader dei cristiano-democratici e Primo Ministro dal 2008 non è riuscito nell’impresa di riconfermare il mandato a causa delle dure politiche di austerità adottate dal suo governo. La crisi economica ha colpito duramente la Lituania che nei prossimi mesi dovrà chiedere un aiuto di 3 miliardi di euro per finanziare il proprio debito pubblico. La disoccupazione è salita al 13% e l’emigrazione ha ormai assunto dimensioni rilevanti tali da divenire un serio problema demografico: negli ultimi vent’anni la piccola repubblica ha perso mezzo milione di cittadini.

Algirdas Butkevicius

I Social Democratici di Algirdas Butkevicius hanno vinto le elezioni ponendo al centro la questione sociale,  proponendo di alzare il salario minimo – fermo a 437 euro – e di far pagare più tasse ai ricchi. Con un risultato del 18,4% e 38 seggi conquistati (su 140) sono diventati il primo partito nazionale e hanno riconquistato il governo dopo quattro anni di opposizione. L’incarico verrà certamente affidato a Butkevicius che avrà ora il compito di formare una coalizione di governo. Ottimo risultato anche per il Partito del Lavoro, del milionario russofono Viktor Uspaskich, implicato in diversi scandali finanziari, che ha conquistato 29 seggi e farà certamente parte della maggioranza di governo.

Non si è verificata invece la temuta ascesa di Ordine e Giustizia. La formazione della destra populista si è fermata al 7,3% mentre alcuni sondaggi di settembre le assegnavano il doppio dei consensi. Ordine e Giustizia è guidato Rolandas Parkas, un personaggio molto discusso che è stato Primo Ministro tra il 1999 e il 2001 e in seguito eletto Presidente della Repubblica nel 2003: nell’aprile 2004 fu però costretto alle dimissioni da a causa di uno scandalo nato dalla vendita della cittadinanza a Yuri Borisov, esponente della mafia russa e principale finanziatore della sua campagna elettorale. Attualmente Parkas è europarlamentare. Secondo le sue prime dichiarazioni, Ordine e Giustizia appoggerà il nuovo governo socialdemocratico permettendogli, grazie ai suoi 11 deputati, di formare una maggioranza parlamentare (78 seggi su 140).

Gli altri partiti che hanno superato lo sbarramento ed eletto deputati sono il Movimento Liberale (11 seggi), il partito della minoranza polacca Azione elettorale dei Polacchi in Lituania (che è cresciuto conquistando 8 parlamentari rispetto ai 5 del 2008) e Via del Coraggio; quest’ultimo partito, nato nel 2012, ha posizioni di destra radicale ed ha incentrato interamente la campagna sul tema della lotta alla corruzione, guadagnandosi alla sua prima prova elettorale l’8% dei consensi e 7 parlamentari. La nascita di questo partito è legata alla morte in circostanze misteriose di Drąsius Kedys – ‘drąsius’ in lituano significa proprio ‘coraggioso’ – che aveva guadagnato gli onori della cronaca per il caso di molestie sessuali su sua figlia.

Il panorama politico lituano si conferma decisamente mobile e fortemente frammentato. Come già nel 2008 nessun partito è riuscito a raggiungere un quinto dell’elettorato e sembra molto lontana l’affermazione di un bipartitismo di tipo europeo, nonostante il sistema a doppio turno. A pesare è sempre l’alto tasso di corruzione che colloca la Lituania al 46° posto nell’indice annuale pubblicato da Trasparency International (comunque migliore del 66° dell’Italia).

La campagna elettorale è stata pesantemente influenzata dal referendum sulla costruzione della centrale nucleare di Visaginas, che si è svolto in concomitanza con il primo turno elettorale. La centrale, nata all’interno di  un progetto di cooperazione fra i tre stati baltici con capitale americano e tecnologia giapponese, dovrebbe servire a sostituire il vecchio impianto dismesso di Ignalina e la Lituania, oltre che paese ospitante, sarebbe anche il primo azionista del progetto.

La vicenda di Visaginas si intreccia però con questioni geopolitiche molto rilevanti: l’obiettivo reale è la conquista dell’indipendenza energetica delle piccole repubbliche baltiche che, da quando è stato abbandonato il nucleare, dipendono quasi interamente dal gas russo.

Il referendum, di carattere consultivo, è stato fortemente voluto dai Socialdemocratici ed ha visto la vittoria – grazie anche al clima politico favorevole – del NO, con il voto di 6 lituani su 10.

Le vicende politiche baltiche restano profondamente influenzate dai rapporti con l’ingombrante vicino ed antico padron: la Russia. A differenza di Estonia e Lettonia però, in Lituania il problema della minoranza russofona è poco influente. I russi infatti rappresentano solo il 5,3% della popolazione – mentre negli altri due stati baltici superano il  25% – e ciò lascia gli elettori più liberi di esprimersi sulle questioni politiche ed economiche senza vincolarsi alle posizioni dei partiti linguistico-nazionali.

È questa la ragione per cui i Lituani hanno preferito il centro-sinistra, più incline al dialogo con la Russia – che è tuttora il primo partner commerciale – mentre Lettoni ed Estoni hanno riconfermato i governi conservatori tradizionalmente considerati custodi dell’indipendenza nazionale.

 

Nicola Degli Esposti

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