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Quale trend per l’obiezione di coscienza sull’aborto

Quale trend per l’obiezione di coscienza sull’aborto

I giudici della Corte Costituzionale si sono pronunciati sulla legge n. 194 del 1978, quella che stabilisce le norme per cui si può interrompere una gravidanza, e in particolare sui fattori che legittimano l’aborto nei primi 90 giorni nell’udienza prevista per il 20 giugno. Sebbene la giurisprudenza sulla materia sia stata confermata e con essa la piena costituzionalità del diritto all’aborto, rimangono forti preoccupazioni in merito all’uso/abuso dell’obiezione di coscienza che chiaramente può comportare una compressione del diritto stesso.

Non siamo ai livelli della Turchia, dove il premier conservatore Recep Tayyip Erdogan ha sentenziato che “uccidere un bambino nel ventre della madre o dopo la sua nascita è la stessa cosa” scagliandosi persino contro il metodo cesareo, “parto non naturale”. Ma anche in Italia il problema dell’obiezione di coscienza è quanto mai attuale, soprattutto con riferimento all’esercizio del diritto di aborto. Come descritto nella “Relazione del Ministero della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194 del 1978)“, del 4 agosto 2011, “nel 2009 si evince una stabilizzazione generale dell’obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni. Infatti, a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008 e al 70,7 per cento nel 2009; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009. Percentuali superiori all’80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise, 81,7 per cento in Sicilia e 81,3 per cento a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e a Trento (31,8 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi, con un massimo di 87,0 per cento in Sicilia e 82,0 per cento in Molise”.

A leggere questi dati, pare che la legge 194 sia stata ormai svuotata da anni dall’interno: sempre secondo il Ministero della Salute, infatti, sono obiettori sette medici su dieci, mentre da un’inchiesta dell’Espresso di fine 2011, risulta che i 1.655, non obiettori hanno effettuato nel solo 2009, con le loro (scarse) forze, 118.579 interruzioni di gravidanza. Inoltre, secondo Laiga (l’associazione che riunisce i ginecologi a difesa della 194) i “no” dei medici arriverebbero quasi al 90% del totale, specie se ci si riferisce agli aborti dopo la dodicesima settimana. Nei sette ospedali romani che eseguono aborti terapeutici, i medici disponibili sono due; tre (su 60) al Secondo Policlinico di Napoli. Al Sud ci sono ospedali totalmente “obiettanti”. In altre zone la percentuale di chi rifiuta di interrompere la gravidanza sfiora l’80 per cento, come in Molise, Campania, Sicilia, Bolzano. Siamo sopra l’85% in Basilicata.

Lazio e Lombardia sembrano casi emblematici di un trend tutto teso a rendere l’esercizio del diritto di aborto un percorso ad ostacoli. Sempre Laiga, infatti, denuncia che “nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31, esclusi gli ospedali religiosi e le cliniche accreditate, non si eseguono interruzioni di gravidanza. Tra queste, 2 sono strutture universitarie (Tor Vergata e S. Andrea), che dunque disattendono anche il compito della formazione dei nuovi ginecologi, sancito dall’articolo 15 della legge 194″ e che nella regione “ha posto obiezione di coscienza il 91,3% dei ginecologi ospedalieri”. L’Associazione che a Roma ha presentato giovedì scorso i risultati di un monitoraggio dello stato di attuazione della legge nel Lazio lancia un avvertimento su come “i numeri sono emblematici della drammaticità della situazione in cui versa la gran parte delle regioni italiane. È emerso che la realtà è ben più grave di quanto riportato nella relazione annuale presentata in Parlamento dal ministro della Salute. C’è un clima di attacco su più fronti alla legge 194 e in generale al diritto alla piena salute riproduttiva, che mette in campo l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza”.

Anche in Lombardia si registra lo stesso trend in crescita del numero del personale sanitario e non sanitario che pone obiezioni di coscienza; il 67% dei medici ginecologi, il 47,1% dei medici anestesisti e il 40,3% del personale paramedico. La situazione è tale per cui, ad esempio, in uno degli ospedali più importanti del nord Italia, il Niguarda di Milano, si contano soltanto quattro non-obiettori su ventiquattro. È per questo sette consiglieri regionali lombardi del Pd hanno firmato un’interrogazione a risposta scritta indirizzata all’assessore regionale alla Sanità Luciano Bresciani, nella quale sottolineano come, oltre agli “alti tassi di obiezione di coscienza”, ci sia “la dilatazione dell’attesa tra la certificazione e l’intervento: per il 44% delle richiedenti i tempi superano i tempi superano i 15 giorni e per il 28% superano i 22 giorni”. Nell’interrogazione si segnala anche “il ricorso all’emigrazione ad altra provincia o regione, fenomeno che emerge dai raffronti tra i dati delle Asl dove viene effettuata l’Ivg (l’aborto, ndr) e quelli delle Asl di residenza delle pazienti”.

Ora, alla luce di dati così significativi, bisogna sottolineare che il rispetto del diritto di sollevare obiezione di coscienza sia correlato alla tutela del diritto alla salute nelle forme legittimamente determinate dalla legge e dunque anche dell’aborto. Nel caso di specie, si è di fronte a due soggetti, entrambi titolari di diritti soggettivi riconosciuti dalla legge: quello all’interruzione volontaria di gravidanza della donna e quello all’obiezione di coscienza del personale sanitario. Due principi legittimi che idealmente dovrebbero poter convivere affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà: proprio per questo, il diritto all’obiezione di coscienza in materia di aborto è sancito dall’articolo 9 della legge n. 194 prevedendo, al contempo, che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. Qui la responsabilità della regione che, competente in materia sanitaria, come stabilito dalla costituzione e della legge più nel dettaglio, deve controllarne e garantirne l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.

È chiaro quindi che la legge 194 distingue tra scelte individuali e responsabilità pubbliche: l’obiezione di coscienza è, infatti, un diritto della persona ma non della struttura. Al medico, o all’infermiere, viene garantito di potersi avvalere dell’obiezione di coscienza e poiché quel che è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, quest’ultima ha l’obbligo di garantire l’erogazione delle prestazioni sanitarie. Così, nonostante il numero degli obiettori si stia stabilizzando dopo un notevole aumento negli ultimi anni, l’attuale situazione, si evince dai dati sopra indicati, pare pone problemi organizzativi all’interno delle aziende sanitarie locali e degli ospedali, specialmente al Sud, dove vi è una media di oltre 8 obiettori su 10. Conseguenza delle percentuali citate è sicuramente l’allungamento dei tempi per l’intervento, che molte volte vanno oltre le due settimane (nel 2009 oltre il 40 per cento delle donne ha dovuto aspettare più di 14 giorni per poter effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza) e, in alcuni casi, arrivano anche ad un mese o più (nel 2009 il 15,8 per cento delle donne ha dovuto aspettare oltre tre settimane), con la conseguenza che le donne si rivolgono a strutture estere, all’uso dei farmaci non legali, all’aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute.

Tale situazione ha poi generato e continua a generare un conflitto difficile da gestire tra il primario diritto della donna, in un percorso che è già di per sé psicologicamente complicato, di accedere a determinati servizi previsti dal servizio sanitario nazionale, il dovere dell’ospedale di garantire quel servizio tutelando prima di tutto la salute della donna e quello del medico di rivendicare, attraverso l’obiezione di coscienza, una propria libertà morale e religiosa. Inoltre, i dati sopra indicati sulle percentuali di obiettori comportano, oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più limitati medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio concreto di una dequalificazione professionale e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera. Peraltro, la crescita in questi anni del numero degli obiettori ha determinato la chiusura dei servizi, con ospedali privi di reparti di interruzione di gravidanza, perché praticamente la totalità di ginecologi, anestesisti e paramedici ha scelto l’obiezione di coscienza. Come denunciato da Laiga, il rischio è che nei prossimi 5 anni, considerati i pensionamenti dei medici obbiettori, in tutta Italia rimangano poco più di 150 obbiettori non obiettori. Una tale evenienza svuoterebbe di fatto il contenuto del diritto all’aborto, conseguentemente favorendo l’emigrazione delle donne che rischiano di nuovo di approdare a cliniche clandestine.

Giova quindi ricordare che l’Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa ha recentemente sottolineato, con la raccomandazione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010, la necessità di affermare il diritto all’obiezione di coscienza insieme con la responsabilità dello Stato, per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure mediche lecite in modo tempestivo. Inoltre, nella risoluzione si segnala la necessità di garantire che le donne possano accedere ai servizi con tempestività; la preoccupazione che l’assenza di regolazione dell’obiezione di coscienza possa danneggiare le donne meno abbienti o quelle che vivono in zone rurali; come nella grande maggioranza degli Stati dell’Europa, l’obiezione di coscienza sia ben regolamentata. L’Assemblea conferma quindi il pieno diritto all’obiezione di coscienza dell’operatore sanitario all’interno, però, di un quadro di «bilanciamento» con il diritto del paziente all’assistenza sanitaria. Anzi, in questo «bilanciamento», il Consiglio d’Europa e gli Stati membri sono stati esplicitamente invitati ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l’obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici, volte soprattutto a garantire il diritto all’obiezione di coscienza in relazione alla partecipazione alla procedura medica in questione e a far sì che i pazienti siano informati di ogni obiezione di coscienza in modo tempestivo e ricevano un trattamento appropriato, in particolare nei casi di emergenza.

Consapevoli di tutto ciò, l’Aied (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) e l’Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica hanno organizzato a Roma, il 22 maggio scorso, giorno del 34° anniversario della 194, un convegno dal titolo  “Obiezione di coscienza in Italia. Proposte giuridiche a garanzia della piena applicazione della legge 194 sull’aborto”. In quella sede sono state presentate alcune misure semplici che potrebbero assicurare il servizio pubblico di IGV, garantendo quindi l’esercizio del diritto di aborto, senza allo stesso tempo scalfire il diritto all’obiezione di coscienza. In particolare, le proposte, suggerite pure con una lettera a tutti i Presidenti e assessori alla sanità delle Regioni, concernono la creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza; l’elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza; concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG; l’utilizzo dei medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori; la deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti.

Dunque, pur attendendo l’udienza della prossima settimana, si capisce che il problema non è solo quello di difendere la legge, attaccata sul fronte costituzionale, ma quello di far sì che questa legge possa essere applicata correttamente.

Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.

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