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L’Italia che esporta

L’Italia che esporta

Nonostante la crisi, l’Italia resta uno dei principali Paesi esportatori del mondo, all’ottavo posto nella graduatoria globale (dopo Olanda e Corea del Sud e prima di Russia e Gran Bretagna).

Secondo i dati Istat elaborati dal ministero dello Sviluppo economico, l’interscambio commerciale complessivo del nostro Paese ha raggiunto nel 2011 i 775 miliardi di euro, con un incremento del 44% in dieci anni. Dal 2001 sono cresciute le esportazioni (da 273 a 376 miliardi, +38%), ma ancor più le importazioni (da 264 a 400 miliardi, +51%).

Questa dinamica si traduce in un allargamento della forbice dei saldi, cioè la differenza tra quanto l’Italia esporta e importa in un anno: contrariamente al periodo 2001-2003, infatti, i saldi mostrano il segno meno, con circa 24 miliardi di disavanzo della bilancia commerciale.

Il principale Paese destinatario delle esportazioni italiane è la Germania (46 miliardi nei primi undici mesi dell’anno scorso), seguita a stretto giro di posta dalla Francia (40 miliardi). In distonia con le argomentazioni espresse da molti “No TAV”, i flussi di merci verso Parigi non sono solo molto rilevanti – ogni 8 euro che escono dall’Italia 1 va in Francia −, ma anche in sostenuta crescita (+12% rispetto al 2010, in linea con l’incremento dell’export verso la Germania).

Nelle prime dieci posizioni troviamo poi altri quattro membri dell’Unione Europea (Spagna a 18 miliardi, Belgio a 9, Polonia poco sotto), più la confinante Svizzera (19), il gigante USA (21) e due economie in forte espansione come Cina e Turchia (entrambe intorno ai 9 miliardi).

Dove va il nostro export

Certo, se si parla di nuovi mercati l’Italia non è sempre in prima linea, e i 9 miliardi annui di export verso la Cina impallidiscono di fronte ai 5 che i tedeschi e gli americani piazzano in un solo mese. Ma d’altra parte i prodotti italiani si collocano nelle prime dieci posizioni tra le importazioni di nazioni extra-europee come Brasile, Canada, Messico, Emirati Arabi Uniti e Russia.

Gli scambi commerciali dell’Italia con il più grande fra i Paesi importatori del mondo, gli Stati Uniti, ammontano in tutto a 34 miliardi di dollari nel 2011: cifra incomparabile con i 399 miliardi cinesi, i 317 canadesi, i 263 messicani e i 129 giapponesi, ma anche decisamente inferiore ai 98 miliardi venduti dai tedeschi, dei 51 britannici e dei 40 francesi.

La natura delle esportazioni e delle importazioni dell’Italia è un altro elemento indicativo: importiamo in misura significativa energia (39 miliardi di petrolio greggio e 19 di gas naturale) ed esportiamo macchinari (53 miliardi), autoveicoli e accessori per auto e motori (22), abbigliamento e calzature (20), petrolio raffinato (15), prodotti chimici (12) e farmaceutici (12). Quanto a un settore ritenuto da molti fiore all’occhiello dello stile dE il settore agro-alimentare? L’export alimentare complessivo ammonta nel 2011 a circa 17 miliardi di euro secondo i dati ICE, ma non tutti i dati sono così lusinghieri: nel 2009 l’Italia ha esportato 111 milioni di food & drink in Cina, mentre nello stesso periodo la Francia esportava 908 milioni.

Fra i limiti strutturali dell’export italiano, si registra comunque un Paese che viaggia a due velocità: nel 2010 il Nord ha scambiato con l’estero oltre 240 miliardi di euro, pari al 71% del totale nazionale. Tutte le prime cinque regioni esportatrici (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana) e le prime quindici province si trovano nell’Italia centro-settentrionale. Dal Sud e dalla Sicilia, che contano per il 32% della popolazione, è arrivato appena il 10% del valore delle esportazioni. Emerge così un quadro molto frastagliato, in cui l’export procapite dell’Italia è pari a 5.600 euro, ma si tratta in realtà di una media aritmetica fra gli 8.700 del Nord (in Germania è a 9.800) e i 1.735 del Sud.

Lorenzo Pregliasco

Nato nel 1987 a Torino. Si è laureato con una tesi su Obama, è stato tra i fondatori di Termometro Politico, collabora con «l'Espresso» e ha scritto su «Politico», «Aspenia», «La Stampa».
È regolarmente ospite di Sky TG24, Rai News, La7 e interviene frequentemente su media internazionali come Reuters, BBC, Financial Times, Wall Street Journal, Euronews, Bloomberg.
Insegna all'Università di Bologna, alla 24Ore Business School e alla Scuola Holden.
Ha scritto Il crollo. Dizionario semiserio delle 101 parole che hanno fatto e disfatto la Seconda Repubblica (Editori Riuniti, 2013), Una nuova Italia. Dalla comunicazione ai risultati, un'analisi delle elezioni del 4 marzo (Castelvecchi, 2018) e Fenomeno Salvini. Chi è, come comunica, perché lo votano (Castelvecchi, 2019).
È direttore di YouTrend.

5 commenti

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  • mmmh i link non vanno
    Sarebbe interessante vedere quanto vale l’aumento di import di petrolio e gas dal 2001 e quanto sarebbe senza questo elemento, se sempre più dell’eport o no.

  • “seguita a stretto giro di posta dalla Francia (40 miliardi). In distonia con le argomentazioni espresse da molti “No TAV”, i flussi di merci verso Parigi non sono solo molto rilevanti – ogni 8 euro che escono dall’Italia 1 va in Francia −, ma anche in sostenuta crescita (+12% rispetto al 2010, in linea con l’incremento dell’export verso la Germania).”
    Ci tengo a segnalare che non sono in distonia, ma che si reputa assurdo investire certe cifre quando la linea merci attuale lavora al 13% e sono stati spesi svariati milioni di € per ammodernarla….senza considerare impatto ambientale, inquinamenti mafiosi vai, tangenti sulle opere….e tutte le amenità che questo paese accompagna alle grandi opere.
    cordiali saluti
    Pietro