La settimana scorsa 12 leaders europei hanno inviato una lettera al Consiglio e alla Commissione europea con raccomandazioni sui prossimi passi che l’Europa dovrebbe fare per incanalarsi di nuovo verso la crescita dell’economia. Si tratta dell’italiano Mario Monti, del premier britannico David Cameron, quello spagnolo Mariano Rajoy, l’olandese Mark Rutte, l’irlandese Enda Kenny e i leader di Estonia, Lettonia, Finlandia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia e Polonia. Costoro rappresentano circa 264 milioni di cittadini, ovvero il 52,6% della popolazione della UE.
Ufficialmente non è una lettera contro il duo Merkel-Sarkozy, ma non può passare inosservato che i Paesi coinvolti sono quasi gli stessi della famosa lettera filo-USA del 2003 sulla crisi irakena, e questo, al di là dei contenuti, indica chiaramente l’esistenza di una alternativa all’asse franco-tedesco e forse una certa insofferenza per la presunta centralità del ruolo di Francia e Germania.
Un’altra osservazione da fare è che tutti questi leaders appartengono alle famiglie politiche cristiano-conservatrice e liberale, in generale di centrodestra, e del resto lo stesso Monti si colloca nella tradizione cattolico-liberale, come sappiamo.
Si tratta chiaramente una visione coerente e ben delineata, che fa una precisa scelta di campo verso il liberalismo e l’europeismo – cosa non scontata visto che spesso tra le fazioni più liberiste europee, ad esempio quelle inglesi, non vi era stato molto entusiasmo per una maggior integrazione dei mercati del continente.
La lettera è articolata per punti: i primi 4 riguardano un allargamento del mercato unico mirato ad alcuni settori strategici per la crescita e l’ottimizzazione delle risorse; prima di tutto realizzando un vero mercato unico dei servizi, settore che ormai copre la grandissima maggioranza dell’economia europea, molto più dei beni manifatturieri, e in cui ancora non vi è vera concorrenza; la creazione di un mercato digitale con la razionalizzazione delle politiche del copyright; infine, un mercato unico in due campi molto vasti e che richiedono grandi economie di scala per ridurre i propri costi ingenti ed essere efficaci, ovvero la ricerca scientifica, e l’energia.
Il punto 5 invece si rivolge all’esterno con un appello per una maggiora apertura al commercio con Europa dell’Est, India, Sudamerica, paesi ASEAN (Sud Est asiatico) e Canada, con accordi di libero scambio; si dovrebbe quindi andare in direzione opposta a quella intrapresa forzosamente con la crisi con la diminuzione del commercio mondiale, e sicuramente opposta alle tentazioni di maggiori dazi che molte forze populiste in Europa di destra e sinistra predicano.
I punti 6-7-8 riguardano riforme regolatorie, in direzione di maggiore semplificazione e produttività, e quindi si trova la richiesta generale di maggiore deregulation a livello europeo soprattutto per le imprese, con focus su quelle piccole che maggiormente soffrono del peso della burocrazia. Anche per il lavoro si richiedono azioni che vadano verso un maggiore tasso di occupazione soprattutto per donne, giovani e lavoratori anziani, tramite una maggiore flessibilità e mobilità, allineamento delle legislazioni europee sul lavoro, con l’abbattimento di barriere regolatorie da accompagnarsi con la tutela di disoccupazioni di lungo periodo.
Per il sistema finanziario e le banche invece si chiede una maggiore regolazione, con l’implementazione delle regole di Basilea 3 sulle livelli di capitalizzazione delle banche, e il trasferimento dei costi del rischio per investimenti dai contribuenti su cui spesso sono stati rovesciati (tramite impacchettamento di titoli tossici) alle banche. È evidente che qui si vogliono evitare nuove bolle e grossi squilibri provocati da crolli bancari con passaggi improvvisi da un credito troppo facile al credit crunch.
Nel complesso possiamo leggere che tra i rappresentanti dei governi della maggior parte dei cittadini europei ha fatto breccia la decisione di reagire ai rigurgiti di nazionalismo, di populismo, spesso alla tentazione del ritorno al socialismo e all’interventismo statale che la crisi ha risvegliato. Di dichiarare che dalla crisi si esce con una crescita maggiore grazie a un mercato più libero ed efficiente, da una maggiore produttività, e non da un neo-keynesismo ritenuto irrealistico in un mondo già totalmente globalizzato.
Sarà da vedere se sapranno far valere nelle stanze dei bottoni europee il peso della loro maggioranza, di fronte alle titubanze di Francia e Germania, chiunque sia al governo in questi Paesi i prossimi tempi.
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