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Riforma Fornero: l’impatto sul mondo del lavoro

Riforma Fornero: l’impatto sul mondo del lavoro

Sebbene l’iter legislativo del ddl di riforma del mercato del lavoro sia da poco approdato nelle sedi parlamentari e sia pertanto ancora agli inizi, You Trend prova a registrare quelle che saranno le sue linee tendenziali e d’impatto sul mondo del lavoro conseguenti tale provvedimento.

In generale, la riforma si pone l’obiettivo di rendere più dinamico e flessibile il mercato del lavoro, con interventi mirati a ridistribuire in modo più equo le tutele dell’impiego (ponendo dei limiti alla flessibilità in entrata e adattando quella in uscita al mutato contesto economico), ridisegnare il sistema degli ammortizzatori sociali e delle relative politiche attive del lavoro, incentivare l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili e disincentivare l’uso elusivo degli istituti contrattuali vigenti relativamente agli obblighi contributivi e fiscali.

CAPITOLO 1: INGRESSO AL LAVORO E TIPOLOGIE CONTRATTUALI

Apprendistato: Il testo unico D.Lgs. n. 167/2011, che già rafforzava il ruolo di contratto d’ingresso prevalente per l’apprendistato per i giovani tra 16 e 29 anni, è convalidato e la riforma sembra operare per rendere più stringente la natura stabile del contratto, agendo sia in termini premiali, che restrittivi.

Sono premiali: l’aumento del numero di apprendisti che può essere assunto (rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati in azienda passa da 1/1 a 3/2).

Sono restrittivi (cioè spingono alla stabilizzazione e ad evitare l’utilizzo surrettizio del tipo contrattuale): la possibilità di assumere nuovi apprendisti solo se nel triennio precedente se ne sono stabilizzati almeno il 50% e l’introduzione della durata minima di 6 mesi per il contratto di apprendistato.

Inoltre, la disciplina dell’apprendistato continua ad applicarsi anche durante l’eventuale periodo di preavviso al termine del periodo di formazione, mentre finché il libretto formativo non sarà operativo, il datore di lavoro potrà sostituire la registrazione della formazione con un’apposita dichiarazione.

Contratto di inserimento/reinserimento: Vengono limitati ai lavoratori ultracinquantenni disoccupati da almeno 12 mesi, con raddoppio dell’abbattimento contributivo e prosecuzione per sei mesi dopo la stabilizzazione.

Contratto a tempo determinato: Il nuovo impianto risponde alla logica “il lavoro precario deve costare di più”, nonché a quella del finanziamento della protezione sociale contro la disoccupazione.

È introdotto un contributo dell’1,4% aggiuntivo che serve a finanziare la nuova ASPI (Assicurazione Sociale per l’Impiego, che sostituirà disoccupazione e mobilità): in tal modo, si ottiene il doppio effetto di far costare di più il contratto a termine (disincentivandolo rispetto al tempo indeterminato) e di garantire la copertura dell’indennità di disoccupazione per 1 anno (anziché 8 mesi) a coloro che rimangono senza lavoro per conclusione del contratto.

Funge da incentivo alla stabilizzazione la restituzione al datore di lavoro dell’importo pari alla maggiorazione contributiva dell’1,4% per sei mesi, in caso di conversione del contratto a tempo indeterminato – maggiorazione che non vale per gli “usi propri” del contratto a termine: sostituzione di lavoratori con diritto alla conservazione del posto, lavori stagionali.

Per limitare gli abusi e le reiterazioni improprie è ampliato notevolmente (da 20 a 30 giorni sotto i 6 mesi e da 30 a 50 giorni oltre tale durata) l’intervallo che deve intercorrere tra un contratto a termine ed un altro svolto dallo stesso lavoratore presso il medesimo datore di lavoro; tuttavia i termini del contratto possono essere estesi per esigenze organizzative a 30 giorni nel primo caso (ora 20) e a 50 nel secondo (ora 30). Nella durata massima del contratto a termine (36 mesi), che rimane invariata, vengono computati anche i periodi eventualmente svolti in somministrazione (c.d. lavoro interinale).

Decade l’obbligo di specificazione della causale per il primo contratto a termine di durata non superiore a 6 mesi, mentre è allungato a 120 giorni (ora 60, così definiti dal “collegato lavoro”) il tempo per l’impugnazione stragiudiziale dell’illegittima apposizione del termine, consentendo così al lavoratore una scelta libera dal “ricatto” di un possibile rinnovo ventilato dal datore di lavoro.

Quanto al regime delle sanzioni in caso di illegittimità del termine, si conferma il “collegato lavoro” e quindi la “conversione” del contratto ed il risarcimento compreso tra 2,5 e 12 mensilità retributive “onnicomprensive”.

Lavoro intermittente: Ogni chiamata dovrà essere preceduta da comunicazione amministrativa preventiva (sms, fax o PEC) e l’indennità di disponibilità dovrà essere corrisposta sempre.

Lavoro a progetto: Le novità in merito appaiono per lo più positive. Si presume che il rapporto di lavoro sia di fatto dipendente – e debba essere trasformato in contratto a tempo indeterminato – quando manca un progetto di reale autonomia che riguardi mansioni diverse da quelle svolte nella stessa azienda da lavoratori con contratto di lavoro dipendente. Nel caso in cui mancasse un progetto specifico, quindi, il contratto a progetto viene considerato, con presunzione assoluta, un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Inoltre, la definizione del “progetto” non può ricalcare l’oggetto sociale dell’impresa committente ed  accentuata la componente professionale dell’attività lavorativa deducibile in contratto, limitandone l’uso a mansioni non puramente esecutive o ripetitive.

Sono poi eliminate le clausole individuali facoltative che consentono il recesso anticipato del committente, mentre resta salva la possibilità di recesso per giusta causa, incapacità professionale del collaboratore (ma solo se tale da rendere impossibile l’attuazione del progetto) e per cessazione dell’attività.

Si ribadisce, rendendola più stringente, la possibilità di risoluzione solo per giusta causa. Si prevede l’elevazione progressiva dell’aliquota contributiva di 1 punto l’anno, a partire dal 2013, fino all’equiparazione nel 2018 con l’aliquota del contratto di lavoro dipendente, al fine di ridurre la competizione di costo tra lavoro dipendente e lavoro non standard, oltre che di fornire una base previdenziale adeguata. Sembrano permanere, però, due ordini di problemi:

– in assenza dell’introduzione di un salario minimo per legge, l’aumento della pressione contributiva rischia di scaricarsi sul salario reale dei collaboratori, con una diminuzione ulteriore del loro reddito netto e una parità di fatto di costo per il committente;

– l’aliquota a regime dovrebbe coprire non solo le prestazioni previdenziali, ma anche quelle assistenziali, del cui miglioramento però non viene data indicazione. Rispetto all’assicurazione contro la disoccupazione, vi è solo la generica previsione di portare a regime l’indennità una tantum oggi già prevista e risultata inadeguata per parametri di accesso ed entità.

Partite IVA: Si presume (salvo prova contraria) il carattere coordinato e continuativo della prestazione nei casi in cui ricorra anche uno soltanto dei seguenti “indici”:

a) la collaborazione duri complessivamente più di 6 mesi nell’arco di un anno;

b) il collaboratore ne ricavi più del 75% dei corrispettivi complessivi, anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla medesima attività imprenditoriale;

c) il collaboratore abbia una postazione di lavoro presso una delle sedi del committente.

Nel caso di un utilizzo improprio della collaborazione, il titolare di partita IVA viene considerato un collaboratore coordinato e continuativo ma, data la mancanza di un progetto, il suo rapporto verrà poi considerato quale rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla sua data di costituzione. Questa misura, seppure appaia molto importante per smascherare l’utilizzo surrettizio del lavoro autonomo in luogo del lavoro dipendente, lascia aperti due problemi:

– nelle condizioni di maggiore precarietà, il reddito delle partite IVA più deboli è spesso composto da pluricommittenze, necessarie a raggiungere un reddito a volte appena sufficiente alla sopravvivenza: in questa condizione, nessuna commessa costituirà il 75% del reddito. Occorrerà pertanto che i controlli siano sistematici e severi;

– in relazione alla necessità di garantire un welfare adeguato alle partite IVA “vere”, che riguardino attività professionali genuinamente autonome ma non particolarmente redditizie, occorre introdurre strumenti a copertura del rischio di malattia, disoccupazione o contrazione del reddito e conciliazione per la maternità anche nel lavoro autonomo.

Associazione in partecipazione: Si prevede che qualora il conferimento dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non possa essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l’unica eccezione in cui gli associati siano legati da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. Si riducono fortemente le possibilità di abuso, oggi assai diffuse in edilizia o nel commercio.

Lavoro accessorio (voucher): Per prestazioni di lavoro accessorio, ossia quelle attività lavorative di natura occasionale che non danno luogo a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno, si delimitano gli ambiti di utilizzo e, in particolare, si escludono dal ricorso al lavoro accessorio le prestazioni rese nei confronti di committenti imprenditori commerciali o professionisti. Critica appare la possibilità di utilizzare i voucher nell’agricoltura da parte di committenti industriali, cioè imprese agricole, con il conseguente rischio di sostituire così le forme regolate di lavoro in un settore già caratterizzato da forte precarietà ed irregolarità.

Molto positivo appare il computo dei compensi percepiti dal lavoratore ai fini del reddito utile per il rilascio del permesso di soggiorno agli immigrati.

Tirocini formativi (stage): Si prevede una delega al Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della riforma, uno o più decreti legislativi finalizzati ad individuare principi fondamentali e requisiti minimi dei tirocini formativi e di orientamento, volti alla prevenzione ed al contrasto del loro uso distorto, alla previsione di sanzioni amministrative in caso di abusi ed al riconoscimento di una indennità.

CAPITOLO 2: DISCIPLINA DEL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

Nel merito, si prevede che la comunicazione del licenziamento debba contenere la specificazione dei motivi che l’hanno determinato e che il termine entro il quale deve essere depositato il ricorso o deve essere comunicata alla controparte la richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato sia ridotto da 270 giorni a 180 giorni.

Importanti modifiche sono introdotte in tema di conciliazione: s’istituisce, infatti, l’obbligo per il datore di lavoro, prima di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, di esperire un tentativo di conciliazione davanti alla Commissione provinciale di conciliazione.

Come è ben noto poi, viene modificato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e così le conseguenze dei licenziamenti individuali illegittimi:

• Licenziamenti discriminatori: non cambia nulla. Sono nulli per definizione, tutelati oltre che dallo Statuto dei lavoratori dalla Costituzione, e determinano necessariamente il reintegro nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno retributivo patito. La normativa antidiscriminatoria prevede l’“inversione dell’onere della prova”: spetta cioè al datore dimostrare che non c’è stato intento discriminatorio;

• Licenziamenti soggettivi o disciplinari: il regime sanzionatorio presenta un’ulteriore suddivisione interna. Il giudice, infatti, nell’ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente ed al risarcimento dei danni subiti, stabilendo a tal fine un’indennità, entro un massimo di 12 mensilità di retribuzione. Il lavoratore mantiene la facoltà di scegliere al posto del reintegro un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità. Nelle ipotesi, meno gravi, in cui venga accertata l’illegittimità del licenziamento disciplinare, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro non alla reintegrazione, bensì al pagamento di un’indennità risarcitoria che può essere modulata dal giudice tra 12 e 24 mensilità.

• Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, c.d. licenziamento economico, è data facoltà al giudice di decidere sull’opportunità del reintegro o, in alternativa, dell’indennizzo. Il giudice, infatti, condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore – con le medesime conseguenze sopra descritte con riferimento ai casi più gravi di illegittimità del licenziamento disciplinare – nell’ipotesi in cui accerti l’infondatezza delle ragioni alla base del licenziamento e può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Nelle altre ipotesi, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento, disponendo il pagamento, in favore del lavoratore, di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva, che può essere modulata tra 12 e 24 mensilità.

CAPITOLO 3: AMMORTIZZATORI

Pare si possa dare un giudizio complessivamente positivo. L’unificazione d’indennità di disoccupazione e mobilità (ASPI) risponde a criteri di efficienza e di omogeneità nell’uso dello strumento; l’ASPI è diffusa a tutti i settori e comparti, con riferimento al rapporto di lavoro dipendente (tempo indeterminato e determinato), compresi apprendisti e artisti. Uno degli aspetti certamente da migliorare è la parte riguardante i contratti di collaborazione, per cui si prevedono solo la stabilizzazione e il rafforzamento dell’una tantum già in essere.

La durata delle tutele è abbreviata, ma aumenta la copertura economica.

Per un giudizio definitivo occorrerà valutare come i nuovi strumenti correleranno con quelli di politiche attive, destinati alla riqualificazione e al reinserimento lavorativo, che dovranno essere oggetto di uno specifico accordo con le Regioni.

La CIGO rimane sostanzialmente inalterata.

La CIGS rimane in essere fino al 2017, portando a regime l’estensione agli ambiti introdotti durante la crisi. Dal 2014 è eliminata solo quella per chiusura.

I settori e le dimensioni d’impresa oggi non coperti dagli interventi d’integrazione salariale e sostenuti in questi anni di crisi dalla Cassa in deroga saranno assistiti da Fondi di Solidarietà Bilaterali, la cui costituzione diviene obbligatoria in relazione alle imprese che occupano mediamente più di 15 dipendenti e regolata da norme che ne garantiscano la piena funzionalità. Rimane da chiarire quale disciplina è applicabile per le imprese con dimensioni occupazionali minori.

Richiede valutazione attenta e maggiore puntualizzazione, la definizione della fase transitoria (2013-2017) che risulta particolarmente delicata in considerazione della crisi economica e occupazionale che stiamo attraversando.

È costituito un Fondo di solidarietà (presso l’INPS) per la protezione dei lavoratori anziani: tale previsione è finalizzata a coprire, in caso di crisi, gli “esodi” verso la pensione, resi complessi dalle nuove norme in materia di accesso alla pensione stessa. I Fondi sono costituiti con onere a carico delle aziende e garantiscono una prestazione d’importo pari alla pensione ai lavoratori che raggiungano i requisiti per la pensione nei 4 anni successivi l’interruzione del rapporto di lavoro.

Per gli esodi fino al 2016, il primo periodo (in carenza della provvista) può essere coperto con l’indennità di mobilità.

CAPITOLO 4: INTERVENTI PER LA MAGGIORE INCLUSIONE DELLE DONNE NELLA VITA ECONOMICA

Si tratta misure di piccola entità, certamente limitate dalla mancanza di risorse, che segnano un orientamento cui sarà necessario dare seguito concreto e rafforzamento.

Per quanto concerne il c.d. fenomeno delle dimissioni in bianco, viene esteso il periodo durante il quale, in caso di nascita di un bambino, le dimissioni della lavoratrice o del lavoratore devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro (da uno a tre anni di vita del bambino). Sono poi previste due modalità di convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (oltre a quelle ancora da individuarsi):

1) convalida effettuata presso il servizio ispettivo del Ministero del lavoro;

2) sottoscrizione di un’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta telematica di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro che il datore è già tenuto ad inviare al Centro per l’impiego.

Concettualmente positivo il congedo di paternità obbligatorio, senza oneri aggiuntivi per l’impresa, anche se l’entità della misura (3 giorni entro 5 mesi dalla nascita del figlio) appare per ora puramente simbolica (in Parlamento ci sono proposte che vanno da un minimo di 4 fino a 15 giorni) e deve essere chiarito che la misura non intervenga in diminuzione del diritto delle madri.

Sono anche introdotti dei voucher per i servizi di cura dei bambini, erogati dall’Inps, come possibilità alternativa alla fruizione del congedo facoltativo.

CAPITOLO 5: LAVORO IMMIGRATI

È esplicitato positivamente il principio secondo cui la perdita del lavoro non può comportare la revoca del permesso di soggiorno, che va esteso per tutto il periodo di iscrizione alle liste di collocamento e di percezione della disoccupazione, per il lavoratore ed i suoi familiari: finalmente si reintroduce un principio di civiltà.

CAPITOLO 6: LAVORO DISABILI

Le proposte sembrano aumentare l’area di occupabilità, restringendo le deroghe agli obblighi del collocamento obbligatorio. Poiché però la semplice previsione dell’obbligo al collocamento in questo ambito complesso non comporta automatismi positivi, occorrerà valutare le norme nel dettaglio.

CAPITOLO 7: POLITICHE ATTIVE

Il testo contiene solo intendimenti e principi, difficile valutarne le ricadute.

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