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Riserve auree, i gioielli di famiglia dell’Italia

Sono ormai diversi mesi che il governo dei “tecnici”, presieduto dal prof.Monti, è salito in cattedra. La riduzione del debito pubblico è stato il primo tema affrontato in agenda dal nostro Premier e Ministro dell’Economia. Attraverso dolorosi tagli, aumenti di imposte e manovre correttive siamo riusciti forse a trovare la quadratura del cerchio per la difficile situazione nella quale ci trovavamo. La domanda che parecchi cittadini si sono posti, però, circola da un po’ di tempo, dopo aver conosciuto la quantità dilingotti di cui BANKITALIA dispone: è possibile estinguere il nostro debito pubblico pagandolo con le enormi riserve auree di cui disponiamo? Persino il Presidente della Commissione Affari Economici del Bundenstag, Gunther Krichbaum, si è esposto in maniera favorevole a una vendita di oro da parte del Belpaese per risanare il nostro debito pubblico. Come stanno realmente le cose?

La questione, per essere compresa, ha bisogno di un breve excursus storico, che spieghi il trend delle riserve di Palazzo Koch negli ultimi cinquanta anni.

(Fonte: elaborazione su dati World Gold Council e FMI)

Come si può evincere dal grafico, è possibile notare come le riserve auree italiane siano rimaste tendenzialmente costanti nelle ultime cinque decadi. Attualmente, nei forzieri della Banca d’Italia giacciono (virtualmente, poiché fisicamente i nostri lingotti sono depositati in larga parte presso la Federal Reserve Bank a New York, la Banca d’Inghilterra e la Banca dei Regolamenti internazionali a Basilea) circa 2450 tonnellate di oro. Dopo Stati Uniti (più di 8000 t) e Germania (circa 3400 t), siamo il terzo Paese nel mondo. Quanto varrebbero le nostre tonnellate, in Euro, nel 2012? Stando agli ultimi calcoli, circa 95 miliardi, milione più milione meno.

Ora diamo un’occhiata al nostro debito pubblico: il Dipartimento del Tesoro afferma che, nel 2010, l’Italia aveva circa 1850 miliardi di Euro di debito pubblico, composto per la stra-grande maggioranza da titoli di Stato.

Il trend del risanamento del debito è riassumibile nella figura, dove viene illustrato il profilo del nostro debito pubblico in miliardi di € per i prossimi dieci anni. Non tenendo conto di vincoli legislativi e teorie macroeconomiche, supposto che l’Italia li possa collocare interamente sul mercato al prezzo attuale (1800 US $/oncia), quei 95 miliardi di € possono servire al massimo a ripagare gli interessi dei nostri creditori per 2 o forse 3 anni (in rosso nel grafico). Vendendo le nostre tonnellate, però, è irragionevole pensare che si possano ottenere 95 miliardi di €: immettere oro sul mercato, in questi quantitativi, causerebbe una probabile diminuzione del prezzo del metallo nobile. C’è poi da non sottovalutare la questione legislativa: i regolamenti internazionali ci impongono dei limiti sui quantitativi di oro che si possono immettere nel mercato in un anno. Infine, la legge italiana prevede che le riserve auree non possono essere vendute senza consenso della Banca d’Italia, che ne è la proprietaria, e della BCE.

Alla luce di queste informazioni, sarebbe deleterio quindi vendere i nostri “gioielli di famiglia”: per risanare i nostri conti pubblici disastrati appare, infatti, molto più ragionevole la via della riduzione della spesa pubblica e dell’aumento delle entrate derivanti, per esempio, dalla lotta all’evasione.

 

Dario Romano

Classe 1986, laurea magistrale in International Economics and Business conseguita all'UNIVPM. Consigliere comunale a Senigallia dal 2010, è stato Presidente del Consiglio Comunale dal 2015 al 2020, uno dei più giovani in tutta Italia. Prima e durante ha lavorato a Bruxelles presso le istituzioni europee. Nel 2016-2017 è stato selezionato tra i migliori amministratori under 35 d'Italia. Nel tempo libero ama giocare (male) a calcio nel torneo UISP.

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