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Tra vecchi e nuovi princìpi: il pareggio di bilancio costituzionale

Tra vecchi e nuovi princìpi: il pareggio di bilancio costituzionale

Il pareggio di bilancio è costituzionale: con 235 voti favorevoli, 11 contrari e 34 astensioni, lo scorso martedì l’Assemblea di Palazzo Madama ha approvato in seconda deliberazione e in via definitiva il ddl costituzionale n. 3047-B [1], recante l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale. Il provvedimento, dopo la quarta e ultima lettura, è legge, poiché avendo raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti del Senato, la modifica costituzionale non potrà essere sottoposta a referendum popolare.

All’articolo 1 del provvedimento si legge: “L’articolo 81 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 81. – Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali»”. Sono stati inoltre riformati gli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione, dotando gli enti locali di autonomia di spesa e imposizione di nuovi tributi, ma sempre nel rispetto del vincolo di pareggio di bilancio, col divieto di ricorso al debito per finanziare la gestione ordinaria.

La proposta prende spunto dalla necessità di rafforzare l’impegno italiano a risanare le finanze pubbliche, in attuazione dei vincoli posti dal “Patto Europlus” nel marzo 2011 e nel “Six Pack” nell’ottobre 2011 dal Consiglio ECOFIN (successivamente ribaditi nel “Fiscal Compact” nel gennaio 2012). Con il fine precipuo di conseguire l’obiettivo di annullare il disavanzo annuale di bilancio e ridurre, nel tempo, l’ingente stock di debito pubblico accumulato nei decenni precedenti, anche Spagna e Francia hanno dato corso ad analoghe procedure di revisione costituzionale per rafforzare le disposizioni in materia finanziaria, mentre la Germania già nel 2009 ha operato un’analoga modifica al Grundgesetz. Contingenze economiche a parte, però, il principio del “pareggio”, già teorizzato da James Buchanan nella seconda metà del XX secolo per frenare le tendenze esplosive della spesa pubblica e, più in generale, la crescente ingerenza dello Stato nell’attività economica, non è affatto estraneo al testo della Carta costituzionale: nel 1948, infatti, la nostra Costituzione, vietando leggi prive di copertura, definiva con molta lungimiranza i principi dell’equilibrio di bilancio, descritto da Luigi Einaudi come “baluardo rigoroso ed efficace voluto dal legislatore costituente, allo scopo d’impedire che si facciano maggiori spese alla leggera, senza prima aver provveduto alle relative entrate”.

Oggi, però, è stato necessario prendere atto di quanto sia costata la latitanza della politica rispetto al dettato costituzionale: i circa 2.000 miliardi del nostro debito pubblico, che ci pongono in coda nelle classifiche mondiali, segnalano vistosamente con quanta ampiezza i vincoli dell’articolo 81 Cost. siano stati disattesi nei decenni passati. In parte, il riferimento va alla sentenza n. 1 della Corte Costituzionale che, nel 1966, sancì l’ammissibilità del ricorso, “nei confronti della copertura di spese future, oltre che ai mezzi consueti, quali nuovi tributi o l’inasprimento di tributi esistenti, la riduzione di spese già autorizzate, l’accertamento formale di nuove entrate, l’emissione di prestiti e via enumerando, anche alla previsione di maggiori entrate, tutte le volte che […] si dimostri sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con la spesa che s’intende effettuare negli esercizi futuri” (punto 8 del considerato in diritto). Ancora, la voragine del debito pubblico in Italia, si può spiegare proprio alla luce del mancato rispetto dello spirito dell’originario articolo 81 Cost.: in tal senso, il Parlamento non ha ascoltato le ragioni con le quali Ezio Vanoni e Luigi Einaudi illustrarono la relazione tra l’articolo 81 e il controllo del disavanzo e, in un passato più recente, non ha tenuto conto dei richiami di Nino Andreatta e Tommaso Padoa-Schioppa.

In qualche modo, dunque, la riforma costituzionale appena approvata appare l’approdo del lavoro del passato e la premessa di quello che si dovrà in futuro. Seppure molti tra i contrari al nuovo articolo 81 Cost. osservano che così facendo l’Italia perderebbe la sua autonomia fiscale per soggiacere alle imposizioni europee, tuttavia l’introduzione del principio che bisogna spendere non oltre quanto s’incassa, (la cosiddetta Golden Rule) non solo è parte della Carta costituzionale sin dalle sue origini ma forse, se applicata correttamente, non avrebbe condotto il Paese sull’orlo del fallimento economico odierno. Dunque, valutato il “fiasco” del sistema di regolazione imperniato attorno al terzo e al quarto comma dell’articolo 81 Cost., il cuore delle nuove regole sembra oggi racchiuso nell’aggettivo “strutturale”: pareggio strutturale; indebitamento strutturale; equilibrio di bilancio che tenga conto dell’andamento del ciclo economico. In poche parole, se l’economia va male, si dovrà poter far ricorso all’indebitamento, a partire dagli stabilizzatori automatici, per sostenere l’economia e per mitigare i negativi effetti sociali della crisi: si prevede così solo un “tendenziale” equilibrio finanziario, ossia un pareggio tra entrate e spese, ma subordinato al ciclo economico e ad eventi eccezionali. Di conseguenza, a seconda delle prospettiva da cui si guarda la riforma, la preoccupazione e la garanzia del nuovo sistema consiste nella possibilità, qualora ci fosse una congiuntura sfavorevole dell’economia o si verificasse un evento drammatico – come un’alluvione o un terremoto – di aggirare la previsione del pareggio e continuare a spendere. A riguardo, ci sembra positiva la declinazione della Golden Rule come introdotta nella Costituzione tedesca nel 2009: in Germania, infatti, temporanei sforamenti del pareggio di bilancio in caso di ciclo avverso sono consentiti, ma limitatamente ad una misura pari allo 0,35% del Pil.

Inoltre, la riforma costituzionale mira al superamento del monopolio in capo all’Esecutivo della conoscenza e delle informazioni sui dati di finanza pubblica, attraverso la costruzione di un fiscal council, organizzato e composto in modo tale da garantirne l’assoluta autonomia, indipendenza e autorevolezza. Si tratta di una sorta di Congressional Budget Office nel Parlamento della Repubblica che, con la necessaria obiettività e competenza e gli strumenti tecnici adeguati, è deputato a risolvere il problema della esatta valutazione dei costi di ogni proposta di legge e di ogni emendamento, alla stregua di come fu proposto dal professor Augusto Barbera, deputato del PCI, nella relazione di minoranza alla Commissione bicamerale Bozzi per le riforme nel 1984. Ora vedremo se il Parlamento riuscirà ad approvare la suddetta legge istitutiva del CBO prima dell’estate, così da consentire che, in via di fatto, le disposizioni di questa legge si applichino già prima del 2014.

Infine, due considerazioni. Da una parte, poichè il debito è un costo che si trasferisce alle generazioni future, la speranza è che ciò costituisca la ratio prima di future eventuali spese in eccesso, di modo che il debito, in rapporto al Pil, sia quantomeno limitato ad un livello non superiore a quello del valore degli investimenti, beneficio di medio lungo termine per tutta la società. Dall’altra, la consapevolezza del fatto che le intese raggiunte sull’equilibrio dei bilanci nazionali e sul fiscal compact non sono sufficienti. Per uscire dalla crisi serve raccogliere i frutti di un dibattito che Altiero Spinelli ha aperto più di 70 anni fa: l’unificazione politica dell’Europa. Per usare l’espressione di Dossetti, per noi europei è arrivato il momento di rispondere al fondamentale “quesito orientativo” se vogliamo o no l’unione “politica”: qui la speranza per cui, affinché “non tutto sia cambiato, perché nulla cambi”, nell’approvazione della modifica dell’art. 81 Cost., sia implicita, la richiesta al Governo italiano di fare del progetto di unificazione politica dell’Europa la sua prima battaglia.

 

Link:

[1] http://www.senato.it/loc/link.asp?leg=16&id=38076&tipodoc=sddliter

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