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Calcio europeo: non c’è solo la pay tv

C’era una volta la Serie A. Quello che negli anni ’80 e ’90 era definito dagli appassionati di calcio il campionato più bello del mondo per la sua imprevedibilità e capacità di attrarre grandi campioni. Il campionato della Juventus di Zidane, del Milan di Silvio Berlusconi capace di calcare la scena europea con l’attacco stellare di Gullit, Van Basten, Rijkaard. Ma anche dell’Inter di Massimo Moratti che, quando metteva mano al portafogli, era in grado di portare alla sua corte campioni del calibro di Ronaldo o di Christian Vieri, firmando assegni che all’epoca non avevano eguali.

Ad oggi però lo scenario sembra essere cambiato. Le difficoltà che da qualche anno a questa parte incontrano le società italiane in campo europeo sembrano essere la cartina di tornasole di un campionato che perde terreno (sia in termini di risultati che in termini di introiti) rispetto non soltanto agli storici rivali spagnoli e inglesi, ma anche nei confronti della Bundesliga tedesca, storicamente considerata meno attrattiva rispetto alla Serie A italiana. La perdita del quarto accesso alla fase finale della Champions League (privilegio riconosciuto soltanto ai primi tre campionati d’Europa), sembra essere la controprova di quanto detto fin qui.

Ma non è soltanto nelle competizioni europee che l’Italia perde terreno. Secondo lo studio “Football Money League ” pubblicato da Deloitte, che mira a classificare i club calcistici europei in base ai loro ricavi (escludendo quelli derivanti da cessioni di giocatori) si evince che, mentre i club europei nella stagione 2010/2011, in barba alla crisi finanziaria, crescono in media del 3% rispetto al 2009/2010, i primi tre club italiani perdono in media l’11% dei ricavi.

Per i primi tre club italiani si intende, in ordine di ricavi, il Milan con 235,1 milioni di Euro di ricavi (-3,7 rispetto al 2009/2010), l’Inter con 211,4 milioni di Euro (-6,2%), e la Juventus che, alla luce delle scarse performance in campo europeo e nazionale, ha fatto registrare un preoccupante -24,9% ottenendo ricavi per 153,9 milioni di Euro.

Milan, Inter e Juventus non sono le uniche squadre italiane presenti nella prestigiosa classifica della top 20. Ad accompagnarle infatti ci sono Roma e Napoli, con quest’ultima che con i risultati positivi in Europa League della scorsa stagione entra per la prima volta nella graduatoria (e viste le ottime performance in champions è prevedibile una scalata alla classifica per il prossimo anno). Per la Roma i ricavi ammontano a 143,5 milioni di Euro (+17%), per il Napoli invece si parla di 114,9 milioni (+25%).

Per quanto riguarda la classifica generale, dominano ormai incontrastate da tre stagioni Real Madrid, Barcellona e Manchester United con 479,5 milioni per le Merengues, 450,7 per i Blaugrana e 367 i Red Devils. La quarta, quinta e sesta postazione vede il trio Bayern Monaco, Arsenal e Chelsea stabile da ormai quattro anni, praticamente da quando è iniziata la débacle delle squadre italiane, che fino ad allora insidiavano le prime posizioni con Juventus e Milan. Per incontrare la prima italiana infatti bisogna arrivare al 7° posto conquistato dal Milan, seguito all’8° dall’Inter e all’inglorioso 13° posto dalla Juventus, che nemmeno nell’anno della serie B aveva toccato un gradino così basso. Al 15° posto poi troviamo la Roma, mentre in 20° posizione si affaccia per la prima volta il Napoli, segno che i partenopei stanno entrando a pieno titolo tra le big d’Europa.

Top 20 club europei: variazioni 2009/2010 – 2010/2011

Da che cosa dipende il calo di ricavi dei maggiori club italiani? Ovviamente da vari fattori, che vanno dalla crisi economica di aziende che prima sponsorizzavano i club al sistema impositivo italiano che grava sugli stipendi dei calciatori, passando per i vari scandali di “calciopoli” che, inchieste giudiziarie a parte, hanno sicuramente ridotto la competitività interna del campionato. Ma emerge anche una dipendenza troppo elevata dei club alle entrate derivanti da pay tv. Per tutti i club europei la televisione ha un ruolo determinante nella formazione dei bilanci, ma in Inghilterra, Spagna e Germania si stanno adoperando per reperire fonti alternative di reddito. Da una parte infatti ci sono i ricavi derivanti dal merchandising e altre forme di commercio di prodotti e marchio, da un’altra gli incassi da biglietti e abbonamenti. Non è un caso che molte società europee, da qualche anno a questa parte, abbiano investito più sulla costruzione di un nuovo stadio di proprietà piuttosto che sull’acquisto di calciatori. Già nella stagione 2006/2007 l’Arsenal otteneva più del 50% dei ricavi attraverso la vendita dei biglietti per l’Emirates Stadium, finito di costruire proprio nel luglio 2006. Il tutto accompagnato da una serie di servizi collaterali alla partita, come ristoranti, negozi e musei del club, che incentivano, oltre al tifo, anche una sorta di “turismo calcistico”. In Italia invece, come lamentano molti gruppi ultrà, non si fa sicuramente il massimo per incoraggiare i supporters a seguire la propria squadra dal vivo. Basta pensare alle strutture spesso fatiscenti gestite dai Comuni o gli orari improbabili di alcuni posticipi o anticipi.

Composizione dei ricavi, stagione 2010/2011

In questo settore emergente di mercato calcistico, il ruolo di pioniere per il caso italiano è senza dubbio rivestito dalla Juventus. Con la costruzione dello Juventus Stadium infatti, la Juventus è l’unico club calcistico italiano a possedere uno stadio di proprietà, e nella stagione in corso fa registrare, in quasi tutte le partite, il sold out. Il “Football Money League 2012” ci dirà l’eventuale remunerazione di questo importante investimento.

 

Roberto Mincigrucci

Nasce il 22/09/1988 ad Assisi, vive a Torgiano (PG). Consegue nel 2010 la laurea triennale in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Perugia. Attualmente frequenta un corso di laurea magistrale in Scienze della Politica e del Governo all'Università degli Studi di Perugia. Collabora con il Corriere dell'Umbria e con Youtrend.

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