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USA: l’importanza del redistricting in vista delle midterm

Le mappe dei nuovi distretti congressuali assicurano un maggiore equilibrio tra Dem e GOP rispetto al passato.

Da mesi negli Stati Uniti si stanno ridisegnando i collegi uninominali (o distretti) attraverso cui si eleggono i 435 deputati che siedono alla Camera dei Rappresentanti.

Negli USA, infatti, il Census Bureau ogni dieci anni porta avanti un censimento completo degli abitanti di ogni Stato e in base a esso si modificano i confini dei distretti della Camera, adattando anche il numero che spetta a ogni Stato in base al peso della sua popolazione sul totale degli Stati Uniti. Dopo quest’ultimo censimento, nello specifico, hanno perso un seggio California, Illinois, Michigan, New York, Ohio, Pennsylvania e West Virginia, mentre ne hanno guadagnato uno Colorado, Florida, North Carolina, Oregon e Montana e ne ha guadagnati due il Texas. 

Negli Stati Uniti quando si ridisegnano i distretti si torna sempre a parlare di gerrymandering, cioè di quella pratica che consiste nell’alterazione dei collegi in modo da favorire un partito a discapito di un altro. Un classico esempio consiste nel “diluire” una città che voterebbe Dem in distretti più rurali che votano massicciamente per il GOP, sottraendo così un seggio ai Dem (o viceversa). 

Per anni i Repubblicani sono stati favoriti alla Camera proprio grazie al gerrymandering (che i Democratici usavano in misura minore), mentre a novembre di quest’anno, quando si rinnoveranno tutti e 435 i deputati per le elezioni di metà mandato (o midterm), ci sarà lo stesso numero di distretti tendenti ai Democratici e ai Repubblicani. Un’analisi condotta dal New York Times ha infatti evidenziato come tra i 216 e i 219 distretti siano orientati verso i Democratici e lo stesso vale per i Repubblicani. Per avere la maggioranza servono 218 seggi e nella Camera uscente i Dem ne hanno 222. 

Questa maggiore equità a livello nazionale della mappa dei distretti è dovuta sia al fatto che anche i Democratici hanno fatto ricorso al gerrymandering in Stati come New York e New Mexico, sia ai limiti giudiziari che sono stati imposti al gerrymandering pro-Repubblicani in Stati come l’Ohio e la North Carolina. Inoltre, a differenza del passato, in diversi Stati sono state commissioni indipendenti o tribunali a ridisegnare le mappe. 

A livello statale, in ogni caso, si osservano grandi iniquità. Un modo per misurarle è il cosiddetto “efficiency gap”, che misura la differenza nel numero di voti Democratici e Repubblicani “sprecati” in uno Stato. I voti “sprecati” sono dati dalla differenza tra l’eccesso di voti ottenuti nei seggi vinti e l’insufficienza di voti nei seggi dove si è perso. Se le mappe fossero completamente eque, questo indicatore sarebbe a 0%, mentre a livello nazionale l’efficiency gap è del 3% verso i Repubblicani. Ma negli Stati vinti da Joe Biden nel 2020 l’efficiency gap è del 6% (in aumento di 4 punti rispetto al 2020), mentre in quelli vinti da Donald Trump è di ben 15 punti. L’equità è quindi stata raggiunta solo grazie al fatto che le iniquità statali si annullano nel momento in cui si aggrega tutto a livello federale.

Non tutti gli Stati hanno ancora finito di disegnare i nuovi distretti e in diversi casi sono in corso azioni legali, ma è difficile che l’attuale scenario cambi in modo drastico. Complessivamente, secondo il New York Times, “la Camera dei Rappresentanti sarà di nuovo l’organo più rappresentativo e democratico del governo federale: il luogo in cui è più probabile che il partito che ottiene il maggior numero di voti ottenga il potere”. 

Lorenzo Ruffino

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