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Ecco come il consenso verso i sindaci è crollato negli ultimi decenni

Ecco come il consenso verso i sindaci è crollato negli ultimi decenni

C’era una volta l’effetto-sindaco uscente. Quando i primi cittadini venivano rieletti quasi sempre per altri cinque anni, quando la fiducia dei cittadini verso le istituzioni cittadine era altissima, quando addirittura nel centrosinistra si parlava del “Partito dei sindaci” per rilanciare la coalizione. Erano rimasti l’ultimo baluardo del rapporto tra politica e elettori, invece il consenso verso i sindaci, nell’ultimo decennio, è crollato.

Dagli anni novanta fino alla metà degli anni 2000, la ricandidatura dopo il primo mandato appariva spesso come una formalità, che coincideva con campagne elettorali non troppo intense e vittorie nette.

I tempi, però, sono cambiati, e nell’Italia della sfiducia radicale il sindaco uscente si ricandida sempre meno di frequente, perché, sempre più spesso, perde le elezioni.

Ce lo mostrano i dati raccolti per YouTrend da Giovanni Forti e Giovanni Pigatto: una decina di anni fa, si ricandidavano mediamente tre sindaci su quattro, e di questi più del 70% veniva rieletto. La percentuale di ricandidatura e di vittoria dei primi cittadini, nel frattempo è crollata. Quest’anno, su 15 sindaci rieleggibili nei comuni capoluogo, solo sette si sono ripresentati. E alla fine, solamente due di loro indosseranno nuovamente la fascia tricolore.

È la grande richiesta di cambiamento degli italiani che si riversa in ogni voto, colpendo anche i primi cittadini e le loro amministrazioni, ultimo bastione del legame tra politica e territorio.

Impotenti davanti al paradigma del cambiamento, frame che ha travolto ogni istituzione nell’Italia contemporanea, ormai vittime della nuova fase economica che non permette le spese e gli investimenti di un tempo (utili a rafforzare il consenso), e di un’opinione pubblica oggi fluida e volatile. È cambiata anche la comunicazione dei sindaci uscenti in campagna elettorale, i quali ormai tentano frequentemente di evidenziare il “cambiamento” portato dalla propria amministrazione, concentrandosi su pochi risultati simbolici e dando spazio a liste civiche che oscurino il più possibile i vecchi partiti.

Queste sconfitte sempre più frequenti spingono a ripensare il ruolo stesso di “primo cittadino”: non più un amministratore di visione che guida la città per un decennio, ma un “gestore” che deve guardare al breve, brevissimo termine per rafforzare il proprio consenso. E che, spesso, si ferma dopo i primi cinque anni di mandato senza nemmeno tentare la sfida elettorale per la conferma, frenato il più delle volte da sondaggi negativi o da coalizioni instabili.

Si sta dunque delineando un ruolo nuovo per i sindaci, meno decisivi e rilevanti, e probabilmente meno proiettati verso la politica nazionale rispetto a prima, quando lo sbocco di tanti amministratori, dopo due mandati, era passare dal governo della città a quello del Paese.

Certo, ci sono anche pochissimi casi in cui la tendenza è invertita: Brescia, Ancona. Ultime roccaforti della “buona amministrazione” da decenni rivendicata dal centrosinistra. Ma sono, appunto, poco più di un’eccezione che conferma il nuovo paradigma emerso negli ultimi anni e confermato in modo netto da questo voto: i sindaci, oramai, governano le città per un solo mandato.

 

(Articolo pubblicato su La Stampa del 27 giugno 2018)

Giovanni Diamanti

Classe 1989, consulente e stratega politico. Co-fondatore e amministratore di Quorum, ha lavorato ad alcune tra le più importanti campagne italiane, tra cui quelle di Debora Serracchiani, Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Vincenzo De Luca, Pierfrancesco Majorino, Beppe Sala. In realtà è un ragazzo timido che ama guardarsi la punta delle scarpe. Uomo dalla testa veloce, ha idee (confuse) in ordine sparso - così come i capelli.

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