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Governo Conte: tutta una questione di fiducia

Governo Conte: tutta una questione di fiducia

Fari spenti sul Colle. Quattro giorni dopo il giuramento al Quirinale, il nuovo esecutivo guidato da Giuseppe Conte fa già il suo esordio nelle Aule parlamentari per chiedere il voto di fiducia: ieri al Senato, oggi alla Camera. Nella serata di ieri l’Assemblea di Palazzo Madama ha dato il via libera al governo con 171 voti favorevoli, 117 contrari e 25 astenuti.

A dispetto della lunga – e travagliata – fase di gestazione post elettorale, sul passaggio parlamentare della fiducia iniziale l’articolo 94 della Costituzione prescrive tempi piuttosto ristretti. Come recita il comma 3

entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

Solo a quel punto il nuovo esecutivo assume pieni poteri e può considerarsi a tutti gli effetti operativo.

La seduta del Parlamento in occasione del voto di fiducia al governo si apre con il discorso programmatico del Presidente del Consiglio: è in questa sede che il Premier, affiancato dai suoi ministri, illustra le linee guida dell’azione dell’esecutivo, tanto per le questioni più urgenti quanto per quelle di lungo periodo.

Sulla base di questo intervento si sviluppa poi il dibattito in Aula, che si conclude con le dichiarazioni di voto da parte dei gruppi parlamentari. Al termine del dibattito iniziano le votazioni tramite la cosiddetta chiama nominale. Ciascun parlamentare è chiamato sotto il banco della Presidenza ed è tenuto a comunicare a voce il proprio voto che verrà riferito all’Aula dal funzionario preposto. Il voto è quindi palese. Infine è il Presidente dell’Assemblea a comunicare pubblicamente l’esito finale delle votazioni.

Confrontando i voti di fiducia ai governi dall’avvio della II Repubblica ad oggi, come riportato nella nostra tabella, il record di maggioranza numerica alla Camera dei Deputati spetta al Governo Monti che il 18 novembre 2011 incassò ben 556 voti favorevoli e solo 61 contrari. In un contesto di pesante crisi finanziaria, con l’impennata dello spread e dei tassi di interesse sui titoli di stato,  i principali partiti dello spettro parlamentare di allora – Popolo della Libertà, Partito Democratico e Unione di Centro – diedero compatti il via libera al governo tecnico di “larghe intese” con l’opposizione della sola Lega Nord.

Al contrario la maggioranza numerica più risicata per l’avvio del governo spetta all’esecutivo di Lamberto Dini, che il 25 gennaio 1995 ottenne il via libera a Montecitorio con “appena” 302 voti favorevoli. In quell’occasione il governo – il primo composto esclusivamente da tecnici non eletti in Parlamento – ricevette il sostegno di una maggioranza trasversale, che andava dal Partito Democratico della Sinistra al Partito Popolare Italiano fino alla Lega, uscita poche settimane prima dall’alleanza con Forza Italia. Il partito di Berlusconi, insieme ad altri, si astenne nel voto di fiducia, consentendo in tal modo al governo di nascere.

Per quanto riguarda il Senato è sempre il Governo Monti a detenere il record numerico nel voto di fiducia con 281 sì e 25 no, mentre la maggioranza numerica più bassa si registra in occasione del varo del primo Governo Berlusconi, che il 18 maggio 1994 ottenne il disco verde con 159 voti favorevoli e 153 contrari. In quell’occasione, rispetto alla Camera, spicca l’assenza degli astenuti: una differenza dovuta ad aspetti meramente procedurali, dal momento che – fino alla scorsa legislatura – al Senato l’astensione equivaleva al voto contrario; per astenersi a tutti gli effetti, a Palazzo Madama, era necessario uscire dall’Aula e non partecipare alla votazione.

È bene ricordare che per l’ottenimento della fiducia non è obbligatorio superare la soglia del 51% dei membri totali dell’Assemblea (rispettivamente 161 al Senato e 315 alla Camera) bensì la maggioranza dei votanti.

Lo scarto numerico tra i voti della maggioranza e quelli in mano all’opposizione è centrale per comprendere i rapporti di forza tra i partiti, nonché dello stesso governo all’inizio dell’incarico: il 19 maggio 2006, ad esempio, il Governo Prodi II ottenne la fiducia del Senato con i 165 voti favorevoli di tutti i gruppi che componevano l’allora coalizione di centrosinistra (l’Unione) contro i 155 contrari della Casa delle Libertà, la coalizione di centro-destra. In quel caso lo scarto di voti assai ridotto tra la maggioranza e l’opposizione lasciava presagire una navigazione tutt’altro che facile per il governo, che infatti proprio nell’Assemblea di Palazzo Madama incontrò le maggiori difficoltà, fino alla caduta, avvenuta nel gennaio 2008.

Sempre a Palazzo Madama, gli ultimi due governi della scorsa legislatura (quelli di Renzi e Gentiloni) ottennero il via libera in entrambi i casi con 169 voti favorevoli. Emersero però poi difficoltà nell’approvare singoli provvedimenti “sensibili”, come nel caso del biotestamento o dello ius soli: il primo giunto in porto, il secondo no.

In conclusione, il voto di fiducia in Parlamento al governo Conte è il primo banco di prova della maggioranza M5S-Lega: una preziosa cartina tornasole sul posizionamento dei partiti di maggioranza e di opposizione in attesa del varo dei primi provvedimenti previsti nel “contratto“, alle porte di un’estate che si preannuncia politicamente calda.

Claudio Agrelli

Laureato in Mass Media e Politica all'Università di Bologna, campus di Forlì. Giornalista professionista, dal 2018 collabora con il team di Youtrend dove si occupa di storia politica e comunicazione istituzionale. Appassionato di biografie dei grandi leader del passato, crede nel valore della memoria. Maratoneta elettorale. Allergico al pelo di gatto e alle fake news.

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