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Consultazioni: come si fanno i governi

Consultazioni: come si fanno i governi

Spenti i riflettori su Montecitorio e Palazzo Madama, dove lo scorso 24 marzo Roberto Fico ed Elisabetta Casellati sono stati eletti presidenti rispettivamente della Camera e del Senato, l’attenzione si sposta ora su un altro Palazzo romano, il più importante: il Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica e teatro delle consultazioni propedeutiche alla nascita del futuro governo. È qui infatti che le più alte cariche dello Stato e i rappresentanti dei gruppi parlamentari saranno ricevuti dal Presidente Sergio Mattarella nel tentativo di formare un esecutivo che possa guidare l’Italia.

Convenzione costituzionale

La Costituzione, in realtà, non prevede espressamente questo passaggio. Nel corso degli anni, però, i colloqui istituzionali sono diventati una “convenzione costituzionale”. Lo scopo è quello di facilitare il Presidente della Repubblica a nominare un Presidente del Consiglio e i ministri (articolo 92). Si tratta quindi di una prassi non scritta, ma da sempre accettata e praticata dalle parti coinvolte, al punto da diventare un passaggio obbligato.

Se nel Regno Unito, patria delle convenzioni costituzionali, le consultazioni a Buckingham Palace per la nascita del governo sono una pura formalità (dato che è quasi sempre evidente chi abbia vinto le elezioni), in Italia questo passaggio si rivela invece altamente cruciale. E i numeri ci spiegano il perché: in 72 anni di Repubblica, l’Italia ha visto succedersi ben 63 governi, nonostante si siano celebrate “solo” 18 elezioni politiche (senza contare le innumerevoli crisi aperte e poi rientrate senza che si arrivasse alle dimissioni effettive dell’esecutivo).

Considerata dunque la breve durata dei governi (mediamente poco più di uno all’anno) e l’instabilità delle maggioranze, le consultazioni rappresentano un momento chiave nel quale il Presidente della Repubblica è chiamato ad esercitare un delicato ruolo interlocutorio, fatto di ascolto, diplomazia e capacità di sintesi tra le parti.

La procedura

Nel corso delle consultazioni il Capo dello Stato riceve, nell’ordine: i Presidenti delle due Camere (prima quello del Senato, poi quello della Camera), i Presidenti emeriti della Repubblica e le delegazioni di tutti i gruppi parlamentari (in ordine crescente di numerosità) composte solitamente dai capigruppo di Camera e Senato a cui si aggiunge eventualmente il leader politico. Al termine di ciascun colloquio, della durata massima di un’ora, le delegazioni rilasciano brevi dichiarazioni nel punto stampa allestito nel corridoio fuori lo Studio della Vetrata. Di norma è l’occasione per le forze politiche di ribadire pubblicamente la loro posizione ufficiale espressa poco prima al Capo dello Stato.

Esauriti gli incontri e passato il tempo necessario per le dovute riflessioni, il Capo dello Stato procede tenendo conto della situazione politica emersa nel giro di colloqui. Situazione non sempre nitida.

Come mostra il grafico, la durata delle consultazioni (sia a seguito di elezioni sia nel caso di una crisi di governo) è variabile e dipende in larga misura dalla complessità del quadro politico. Se nella Prima Repubblica i tempi erano notoriamente più lunghi, nel corso della Seconda Repubblica si restringono, variando dal minimo di due giorni per la nascita del Governo Prodi II (16-17 maggio 2006) ai quaranta intercorsi tra il primo giro di consultazioni e il giuramento del Governo Letta all’indomani delle Politiche del 2013 (20 marzo-28 aprile 2013).

Che tipo di incarichi può conferire il Presidente della Repubblica? Vediamoli.

Le opzioni

  • Mandato Pieno

L’incarico viene conferito alla personalità che ha più chance di formare un governo che ottenga la fiducia del Parlamento. La personalità è nella maggior parte dei casi il capo del partito di maggioranza relativa o il leader della coalizione uscita vincitrice dalle elezioni.

Di solito si giunge ad un mandato pieno dopo delle consultazioni svolte in modo puramente formale, essendo già evidente la maggioranza a supporto del nuovo governo. Il Presidente del Consiglio in pectore accetta l’incarico “con riserva“, effettua un breve giro di incontri con le altre forze politiche di maggioranza e opposizione e, in caso di esito positivo, torna al Colle per “sciogliere la riserva” comunicando al Capo dello Stato la lista dei ministri del nuovo Governo. Segue quindi il giuramento nel Salone delle Feste del Quirinale, a partire dal quale il Governo si considera a tutti gli effetti in carica.

I governi della XVII legislatura (Letta, Renzi e Gentiloni), così come la maggior parte degli esecutivi della Prima e della Seconda Repubblica, si sono tutti insediati a seguito di un mandato pieno.

  • Pre-incarico

La procedura del pre-incarico è la stessa del mandato pieno, ma la differenza è nelle probabilità di riuscita. L’obiettivo del premier in pectore in questo caso è quello di avviare delle trattative con le altre forze politiche per trovare un accordo e formare così una maggioranza di governo. In caso di esito negativo una comunicazione ufficiale al Colle sancisce la rinuncia all’incarico.

A seguito delle elezioni del 24 e 25 febbraio 2013, a cui seguì uno stallo prodotto dall’assenza di una maggioranza in uno dei due rami del Parlamento, l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affidò un pre-incarico a Pier Luigi Bersani, leader della coalizione di centrosinistra che aveva la maggioranza alla Camera ma non al Senato. Dopo un giro di colloqui serrati, tra cui quello, trasmesso in streaming, con i capigruppo del Movimento 5 Stelle Roberta Lombardi e Vito Crimi, Bersani salì al Quirinale comunicando l’esito negativo delle trattative.

  • Mandato Esplorativo

In caso di crisi di governo prolungata, il Capo dello Stato ha la facoltà di affidare un mandato esplorativo ad una personalità di alto profilo istituzionale nel tentativo di coagulare intorno a questa figura una maggioranza parlamentare.

Dopo la caduta del Governo Prodi II il 24 gennaio 2008, Napolitano affidò all’allora Presidente del Senato Franco Marini un mandato esplorativo con l’obiettivo di scongiurare la fine anticipata della legislatura. L’esito fu negativo: di fronte al rifiuto da parte dell’opposizione di centro-destra di partecipare ad un “governo di scopo” guidato da Marini, con l’obiettivo di riformare la legge elettorale, fu indetto il voto anticipato.

  • Reincarico

In caso di dimissioni anticipate del governo, il Presidente della Repubblica può decidere di conferire nuovamente l’incarico al Presidente del Consiglio uscente. In questo caso la crisi della maggioranza viene ricomposta di solito per mezzo di un rimpasto di governo, ovvero di cambiamenti, più o meno significativi, nella squadra di ministri e sottosegretari.

Il 20 aprile 2005 il Governo Berlusconi II si dimise a seguito della netta sconfitta della Casa delle Libertà alle elezioni regionali. Nel ricomporre l’unità della coalizione, Silvio Berlusconi procedette ad un rimpasto di governo ottenendo da Carlo Azeglio Ciampi un reincarico per portare la legislatura alla sua scadenza naturale.

  • Situazione di stallo

In una situazione di incertezza politica prolungata è prerogativa del Capo dello Stato prendere ulteriore tempo convocando i partiti per un secondo giro di consultazioni.

Sempre nel 2013, dopo il tentativo fallito di far nascere un governo a guida Bersani, Napolitano prese atto dello stallo. Favorì il confronto tra gli schieramenti nominando un comitato bipartisan di dieci saggi, incaricati di elaborare un programma di riforme istituzionali ed economiche attorno al quale riunire una maggioranza in Parlamento. Si tratto di un’operazione di regia nella direzione delle “larghe intese” tra centro-destra e centro-sinistra in una fase politica delicata, caratterizzata tra l’altro dalle imminenti elezioni per il Presidente della Repubblica stesso e dal muro contro muro tra i partiti.

  • Scioglimento anticipato delle Camere

Nel caso in cui, dopo vari tentativi a vuoto, il Capo dello Stato prendesse atto della impossibilità oggettiva della formazione di un governo, sentiti nuovamente i Presidenti delle Camere, la scelta obbligata sarebbe l’interruzione anticipata della legislatura con lo scioglimento delle Camere e l’indizione di nuove elezioni. 

Oltre al già citato caso del 2008, la legislatura si interruppe in anticipo in altre sette occasioni (1972, 1976, 1979, 1983, 1987, 1994 e 2006) anche qui confermando l’instabilità cronica delle maggioranze nel sistema parlamentare italiano.

Così, il rito delle consultazioni al Quirinale si conferma come un passaggio sempre più centrale per la nascita dei governi in Italia: un momento di confronto, spesso di chiarimento e sintesi tra tutte le forze politiche sotto la supervisione del Presidente della Repubblica, vero e proprio arbitro tra le parti in campo più che un semplice spettatore del gioco politico.


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Claudio Agrelli

Laureato in Mass Media e Politica all'Università di Bologna, campus di Forlì. Giornalista professionista, dal 2018 collabora con il team di Youtrend dove si occupa di storia politica e comunicazione istituzionale. Appassionato di biografie dei grandi leader del passato, crede nel valore della memoria. Maratoneta elettorale. Allergico al pelo di gatto e alle fake news.

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