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Marine Le Pen come Trump e la Brexit?

Marine Le Pen come Trump e la Brexit?

Emmanuel Macron è di gran lunga il favorito al ballottaggio del 7 maggio, secondo tutti i sondaggi. Ma molti osservatori invitano alla cautela: attenzione, dicono, i sondaggi possono sbagliare come hanno già fatto con Trump e con la Brexit.

Contro questa lettura “attendista” si è scagliato Nate Silver, in un articolo sul suo sito FiveThirtyEight (intitolato significativamente “Marine Le Pen è in un buco più profondo di quanto sia mai stato Trump“) in cui analizza come e perché, a suo avviso, il caso di Marine Le Pen non è affatto paragonabile ai due casi citati relativi a votazioni chiave avvenute negli USA e in Gran Bretagna nell’ultimo anno.

Primo punto: l’attendibilità dei sondaggi francesi

I risultati finali del primo turno sono stati buoni per i sondaggisti francesi: i 4 principali candidati, pur molto vicini tra loro, sono arrivati esattamente nell’ordine previsto, e ciascuno di loro ha ottenuto un risultato molto vicino a quello indicato dai sondaggi usciti nei giorni prima del voto. Quegli stessi sondaggi, argomenta Silver, «mostrano un Macron in posizione di forza al ballottaggio: è davanti di 26 punti nella media elaborata da G. Elliott Morris per The Crosstab». Eppure, gli osservatori sono cauti su Macron. Gli scommettitori quotano una vittoria di Marine Le Pen 1 a 7 (13% di chance). Il politologo Ian Bremmer dà a Le Pen una chance del 40% (ma si tratta di una stima non basata su alcun modello statistico: Bremmer sostiene che i sondaggi non riflettono alcuni importanti fattori della politica francese). E autorevoli quotidiani come il Guardian si chiedono se ci si può fidare dei sondaggi, nonostante la precisione dimostrata domenica scorsa.

Per contro, i modelli che si basano sui sondaggi danno pochissime chance a Marine Le Pen. Il modello di Elliott Morris le dà il 3% di probabilità di vincere al ballottaggio. E un modello dell’Economist le assegna addirittura meno dell’1% di possibilità.

Nelle recenti elezioni americane, i modelli variavano molto nello stimare le possibilità di Trump, dal 29% del modello basato solo sui sondaggi di FiveThirtyEight a meno dell’1% secondo il Princeton Electoral Consortium. Molte di queste differenze hanno a che fare col modo in cui questi modelli analizzavano il sistema del collegio elettorale, una complicazione che nelle elezioni francesi è assente. Ecco perché – a giudizio di Silver – in questo caso c’è meno spazio per l’interpretazione, e quindi per l’errore.

Secondo punto: le probabilità di Trump e della Brexit

Il punto di vista di analisti come Bremmer sarebbe “sballato” anche per un’altra ragione: «Prima delle elezioni americane, Trump era dietro la Clinton mediamente di due soli punti negli swing states. Nel referendum sulla Brexit, il vantaggio del “Remain” era almeno altrettanto sottile: circa due punti secondo la media “grezza” dei sondaggi, solo lo 0,5% secondo un metodo di pesatura più complesso. Quindi, per quanto Trump e la Brexit siano stati eventi storici, erano un’eventualità completamente contemplabile secondo i sondaggi. Errori di 2 o 3 punti nei sondaggi sono estremamente comuni».

Ma, appunto, un conto sono errori di pochi punti percentuali, altra cosa è un errore di ben 26 punti percentuali, che è quanto servirebbe a Marine Le Pen. Spesso, accusa Silver, gli osservatori politici più distratti mostrano poco acume quando si tratta di tradurre i sondaggi in probabilità, portandoli a considerare margini di vantaggio ridotti allo stesso modo di quelli a due cifre:

Ironia della sorte, lo stesso tipo di pigrizia mentale che ha portato le persone a sottostimare le chance di vittoria di Trump o del Leave potrebbe portarli a sovrastimare quelle della Le Pen.

Certo, mancano ancora due settimane al ballottaggio, ed è possibile che Le Pen riduca lo svantaggio. Ma allo stesso modo è anche possibile che Macron aumenti il suo vantaggio. Fillon, i cui elettori concordano con Marine Le Pen su alcuni punti, ha già dato il suo appoggio a Macron, e lo stesso ha fatto il socialista Hamon. E la Le Pen è andata calando negli ultimi giorni della campagna per il primo turno: a febbraio e marzo secondo i sondaggi i suoi consensi andavano dal 25% in su, poi è scesa intorno al 22% negli ultimi sondaggi e nel voto reale.

Alcune cautele sulle chance di Marine Le Pen riflettono la convinzione che esista per lei un grande consenso “nascosto”, magari tra gli elettori che si dichiarano indecisi. È una versione europea della teoria dello “shy voter” di Trump, secondo cui gli elettori hanno timore a riferire ai sondaggisti la loro preferenza per i candidati “politicamente scorretti”. In astratto, questa teoria ha senso: da tempo i sondaggisti si occupano di come minimizzare gli effetti della cosiddetta “desiderabilità sociale”.

Terzo punto: sondaggi e partiti/candidati di destra in Europa

Ma ad ogni modo, non ci sono prove che candidati come la Le Pen facciano meglio di quanto dicano i sondaggi. In occasione di decine di elezioni dal 2012 ad oggi, i partiti nazionalisti e di estrema destra hanno sia fatto meglio sia fatto peggio di quanto dicessero i sondaggi, in egual misura. Silver ha personalmente costruito un database contenente i dati di 47 elezioni tenutesi in paesi europei, e relativi a un totale di 66 risultati ottenuti da partiti di destra o estrema destra in queste elezioni. Questo database ci mostra che gli ultimi sondaggi prima del voto stimavano questi partiti mediamente intorno al 13,5%, mentre il loro risultato finale effettivo è stato il…13,5%! In altre parole, i sondaggi li hanno tanto sovrastimati quanto sottostimati.

Lo stesso è avvenuto in Francia, dove il Front National ha fatto sia meglio sia peggio rispetto ai sondaggi. In cinque elezioni dal 2012 ad oggi, il FN ha ottenuto in media il 21% nei sondaggi e il 21% nelle urne. Una coincidenza piuttosto incredibile.

E poi c’è da considerare il recente trend che si registra in Europa da qualche mese: di fatto, nelle elezioni che ci sono state dopo la vittoria di Trump, i candidati nazionalisti hanno avuto performance deludenti. Il PVV di Geert Wilders si è sgonfiato male negli ultimi giorni prima del voto in Olanda. Nel frattempo, l’austriaco Norbert Hofer (FPÖ), è andato considerevolmente peggio rispetto ai sondaggi nel voto presidenziale (ripetuto) lo scorso dicembre. Trump non è popolare in Europa, e con la sua vittoria potrebbe non aver fatto un favore ai suoi emuli europei.

Quarto punto: il margine d’errore

Tutto già scritto, quindi? No, ovviamente. Il risultato presenta ancora un margine d’incertezza, anche secondo Silver. Di qui al ballottaggio le cose possono ancora cambiare. Inoltre, nonostante i sondaggi non abbiano sottostimato regolarmente i partiti nazionalisti e di estrema destra, non sono comunque stati precisi nello stimare il loro consenso. Nei casi in cui questi partiti abbiano ottenuto almeno il 25% (sempre considerando il periodo dal 2012 in poi), i sondaggi hanno sbagliato le stime mediamente del 3,6%. Ciò si traduce (con un intervallo fiduciario del 95%) in un margine d’errore effettivo del 9%. E poiché ogni voto in più a Le Pen è un voto in meno a Macron (trattandosi di una corsa a due), il margine d’errore del gap tra questi due è doppio, e pari a 18 punti percentuali. Poco? Molto? Abbastanza?

Un margine d’errore del 18% è enorme! Ma non è comunque abbastanza quando hai uno svantaggio di 26 punti, come ce l’ha Le Pen su Macron. Se Marine riuscirà a ridurre significativamente il divario nelle prossime due settimane, i tifosi di Macron avranno ragione di preoccuparsi. Se invece sarà ancora sotto di 26 punti il giorno dell’elezione, una sua vittoria sarebbe semplicemente senza precedenti. Potrebbe far meglio dei sondaggi tanto quanto fecero Trump e il Leave messi insieme, ed essere comunque battuta da Macron di oltre 20 punti.

Insomma, secondo Nate Silver, ad oggi i giochi sarebbero fatti. Ma occhio all’andamento dei sondaggi nei prossimi giorni. Le cose potrebbero ancora cambiare, anche se non ci sono molte probabilità.

 

Salvatore Borghese

Laureato in Scienze di Governo e della comunicazione pubblica alla LUISS, diplomato alla London Summer School of Journalism e collaboratore di varie testate, tra cui «il Mattino» di Napoli e «il Fatto Quotidiano».
Cofondatore e caporedattore (fino al 2018) di YouTrend. È stato tra i soci fondatori della società di ricerca e consulenza Quorum e ha collaborato con il Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE).
Nel tempo libero (quando ce l'ha) pratica arti marziali e corre sui go-kart. Un giorno imparerà anche a cucinare come si deve.

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