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Referendum: la geografia politica del voto

Referendum: la geografia politica del voto

Con il voto del 4 Dicembre gli italiani hanno rifiutato la riforma costituzionale promossa dal governo Renzi e, di fatto, messo fine alla prima esperienza di governo del giovane segretario democratico. Il successo del No è stato netto, con il 59,1% dei voti validi. L’importanza del risultato è certificata un’affluenza molto alta (65,5% considerando l’estero), la più elevata da 20 anni ad una consultazione referendaria. In questo articolo, ci proponiamo di fare una radiografia di questo voto a partire dalla distribuzione territoriale dei risultati. In questa prima parte confrontiamo il voto referendario con i risultati delle precedenti tornate elettorali. Nella seconda parte, invece, cercheremo di capire, al di là delle preferenze ideologiche, quali sono le caratteristiche socio-economiche dei territori che hanno dato la vittoria al No.

Utilizzeremo un largo ventaglio di strumenti per analizzare il voto (dalle mappe all’analisi fattoriale). Ci affidiamo al database del Ministero dell’Interno per quanto riguarda i dati di scrutinio, che fornisce il dettaglio comunale dei risultati nelle varie elezioni. Ci siamo concentrati sulle Europee 2014 e (in misura minore) sulle Politiche 2013.

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In rosso i comuni dove ha vinto il No, in verde quelli dove ha vinto il Sì

La mappa riporta il vincitore per comune tra Sì e No. La riforma costituzionale è stata approvata in particolare nelle famose “zone rosse” tra Emilia-Romagna e Toscana, venendo altresì bocciata in altre zone storicamente di sinistra come le Marche e, meno nettamente, l’Umbria. Questa zona rappresenta la “ridotta” del Partito Democratico, la stessa che nel 2001 e nel 2013 rappresentò il fortino, la zona che resistette sia alla straordinaria avanzata berlusconiana che a quella grillina. Certo, questa parte del paese si riduce: il Nord della Toscana, il grossetano, il ferrarese ed una parte importante della costiera romagnola hanno votato No. La Liguria, un tempo quasi una quinta regione rossa grazie a Genova e alla riviera del Levante, è quasi interamente rossa ed il Si vince solo in 5 micro-comuni con meno di 500 abitanti.

In tutto, il Sì ha vinto in 833 comuni su 7998. Di questi, solo 452 sono fuori da Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche. Se togliessimo anche il Trentino, dove molto del successo è dipeso dall’appoggio dell’SVP allariforma, il numero di comuni scenderebbe a 292. Tra questi, il più importante è sicuramente Milano. Il cuore finanziario del paese, benché in una sfida relativamente serrata, ha dato il suo supporto alla riforma. La città sembra essere in contro-tendenza rispetto al resto del Paese e già alle amministrative, mentre il PD cadeva a Roma e Torino e De Magistris si confermava a Napoli, eleggeva un sindaco di centrosinistra. Questa è una situazione nuova per l’Italia: Milano fu la culla del craxismo e del berlusconismo, la vittoria di Formentini nel 1993 certificò la rilevanza nazionale della Lega, quella di Pisapia l’inizio di una (breve) stagione di vittorie del centrosinistra alle amministrative. Ora però la città meneghina sembra politicamente disallineata e quasi refrattaria alle tendenze politiche che scuotono il resto del paese.

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Più i comuni sono verdi, più i Sì hanno ottenuto percentuali migliori dei partiti di governo alle Europee 2014; più sono rossi, peggiori sono tali percentuali

Al di là della conta dei comuni vinti, la performance dell’area di governo rispetto alle Europee del 2014 non è uniforme. Il fronte del Sì può consolarsi con l’aumento ottenuto in una parte del Nord Italia. Nel caso di Valle D’Aosta e Trentino Alto-Adige, molto è dovuto all’aumento dell’affluenza che è stato sensibilmente maggiore che nel resto del paese. Al di fuori di queste regioni, l’area di governo ha migliorato il suo score assoluto in Lombardia (in particolare nel milanese), nel cuneese e nel veronese (grazie probabilmente all’endorsement di Tosi). È in particolare la penetrazione in Lombardia, dove l’area di governo ottiene un +12% di voti, che permette di ripetere il 40,8% del Pd alle Europee: in questa regione, il Sì aumenta di 270.000 voti rispetto alle forze di due anni prima. Certo, anche i voti validi aumentano (+624.000) ed il bacino del Sì si allarga meno di quello dei votanti. Rispetto al resto del paese, tuttavia, è il trend più forte. Nelle zone rosse, la parte di paese dove l’area di governo resta maggioritaria, il dato è invece deludente. Il caso più emblematico è Firenze: nel capoluogo toscano le schede valide in più sul 2014 sono quasi 20.000, mentre l’area governativa aumenta di 1780 voti. Il Sì ottiene il 56,3%, mentre il Pd da solo ottenne il 57,5% alle Europee (61% insieme a Ncd e Scelta Europea). La vittoria del Sì in queste zone non deve dunque illudere i dirigenti democratici: la scollatura tra l’elettorato progressista storico ed il principale partito di centrosinistra esiste e mostra segni preoccupanti persino nella “capitale” renziana.

 

Infine, il Meridione. Qui l’area di governo perde 365.000 voti rispetto a due anni fa, mentre l’affluenza aumenta di quasi due milioni. In Calabria il dato peggiore: -24%. Un quarto dell’elettorato di PD e NCD/UDC si è volatilizzato mentre 86.000 calabresi in più si recavano alle urne. Il dato è particolarmente negativo a Cosenza (-29%) e Crotone (-26%). Tra le province peggiori, spicca quella di Agrigento (-25%), terra del ministro Alfano, dove le forze governative perdono 18.000 voti. Un risultato negativo che potrebbe avere conseguenze anche sulla tenuta del governo regionale guidato da Rosario Crocetta. Come fatto notare da Demos, in un’elezione in cui il numero di voti assoluti è cresciuto, l’area di governo ha preso meno voti che nel 2014 in larga parte del Sud. In circa metà dei comuni italiani, nonostante il forte aumento dell’affluenza, l’area governativa perde voti rispetto a due anni fa. Questo dato, che passa un po’ in sordina in una sconfitta così larga come proporzioni, è quello su cui le dirigenze dei partiti dovranno riflettere maggiormente.

Divisi alla vittoria: cosa dice la geografia elettorale sul futuro della “accozzaglia” per il No.

L’affermazione del No è lungi dall’essere uniforme e, come rilevato dai sondaggi pre-voto, la dinamica al Sud è stata nettamente più negativa per il governo Renzi. Il divario politico tra Nord e Sud riflette quello economico e, come quest’ultimo, si allarga. E si esplicita in un No che, più che sui contenuti della riforma, pare essere una condanna rivolta al sistema politico nel suo insieme. Già nell’analisi del voto 2013 sottolineammo come fosse sbagliato considerare l’elettorato a 5 stelle solo come voto di protesta, e i dati di ieri suonano come un’ulteriore conferma.

 

La radiografia del No è ovviamente speculare a quella del Sì. Ed è difficile districarsi e distinguere tra il No di centrodestra, quello a 5 stelle e quello di sinistra (fuori e dentro il PD). Certamente, in Emilia ha pesato l’opposizione di Bersani e della minoranza del partito, ma non si può sapere quanto. I sondaggi (tra cui il nostro) e le analisi sui flussi indicano una relativa tenuta dell’elettorato PD. Così come nella vittoria del No in (ex) roccaforti della sinistra radicale come Livorno e Terni ha probabilmente giocato il richiamo alla Costituzione antifascista di una parte del Fronte del No. Una serie di correlazioni ci indica che il No è più fortemente legato al Movimento 5 stelle che al centrodestra (altra conferma dei dati emersi dai sondaggi). Più difficile analizzare il dato della sinistra radicale, che risulta positivamente correlata. Questo è chiaramente un caso di fallacia ecologica: la nostra analisi si concentra sul livello comunale ed i comuni dove la sinistra radicale è più forte sono, tradizionalmente, quelli in cui il PD (e quindi il Sì) sono più forti. È possibile rappresentare graficamente tutto ciò con una semplice analisi in componenti principali a cui ho aggiunto il dato del 2013 per le principali coalizioni. Il grafico mostra su due assi (o componenti principali) come e quanto sono correlate tra di loro le variabili politiche a livello comunale. Il primo asse oppone le zone di centrosinistra e di forza della coalizione di governo, a quelle che non lo sono (o non lo sono più dal 2013) e, come prevedibile, troviamo il Sì a “sinistra” ed il No al polo opposto. Il secondo asse invece oppone il centrodestra al voto 5 stelle, ci dice che tipo di voto d’opposizione è meglio correlato al voto per il Sì/No. Il No è in alto a destra, è ovvero più forte nelle zone di minore insediamento del PD e di preferenza nelle zone 5 stelle rispetto a quelle di centrodestra (per quanto di poco). Abbiamo anche un altro dato interessante a conferma di questo: su 38 comuni amministrati dal Movimento 5 Stelle, il No ha vinto in 36. Gli unici due comuni in cui si è imposto il Sì sono Parma e Vimercate. Il risultato nella città ducale, il primo capoluogo di provincia conquistato dai 5 stelle nel 2012, certifica ulteriormente lo scollamento tra l’amministrazione Pizzarotti ed i vertici nazionali del Movimento di Grillo in vista della amministrative del prossimo anno. Nel caso di Vimercate, molto è dovuto ad una tendenza pro-Sì riscontrabile nella Brianza e più in generale nel milanese.

Il discorso sul centrodestra è un po’ più complesso, considerando le divisioni interne. Cosa possiamo vedere invece se scorporiamo il centrodestra, dividendo il polo berlusconiano e quello leghista guidato da Salvini? Come naturale, data la natura della Lega, il dato varia tra le zone del paese. Il voto passato leghista è fortemente correlato a quello per il No nel triveneto, mentre nel Nord-Ovest i due voti sono abbastanza indipendenti. In zone storicamente leghiste del Piemonte, come il verbano o il novarese, il No vince, ma meno di quanto ci si potrebbe aspettare data la forza del partito di Salvini. Stesso dicasi per la Lombardia profonda. In Veneto e Friuli, invece, la mappa del No e quella della Lega di Salvini sono quasi sovrapponibili. I grafici x e x confrontano i la relazione tra voto per la Lega e voto per il “No”, distinguendo tra Nord-Est e Nord-Ovest. Appare evidente come, nella parte Est del paese, le terre leghiste abbiano risposto alla campagna di Salvini rendendo il Veneto la regione del Nord maggiormente contraria alla riforma e facendo vincere il “No” anche nel Nord dell’Emilia Romagna.

 

 

Anche nel caso di Forza Italia abbiamo visto i dati cambiare rapidamente a seconda della zona di paese considerata. Nel Nord, Forza Italia si comporta in maniera simile alla Lega Nord: nel Nord-Ovest le zone berlusconiane che alle Europee diedero il loro voto a Forza Italia paiono spostarsi verso il Sì (come del resto si nota dalla mappa 2). Nel Nord-Est e nel Centro, invece, la correlazione tra voto FI e voto per il No si alza decisamente, per poi calare drasticamente al Sud. Il calo nel Meridione è probabilmente dovuto alle dimensioni della vittoria del No: è difficile trovare una correlazione tra una forza politica ed il rifiuto della riforma costituzionale, perché questo è stato generalizzato e ha attraversato il voto meridionale in maniera che sembra relativamente trasversale alle forze politiche. Certo, le zone di forza del PD mostrano risultati migliori per il Sì, ma sempre in un contesto di forte arretramento della coalizione di governo al Sud.

 

Conclusioni

In questa prima parte abbiamo analizzato la distribuzione territoriale del voto referendario e l’abbiamo paragonata ai risultati delle Europee 2014. Nel caso del Sì, la sconfitta è il prodotto di almeno tre dinamiche differenti:

  1. Un’avanzata insufficiente nel Nord-Ovest dove l’area di governo si espande sia come voti assoluti (grazie all’aumento dell’affluenza), sia come peso relativo. La parte di pianura padana che va da Verona al confine con la Francia, pur rifiutando la riforma Boschi, ha visto il fronte del Sì allargare i propri consensi.
  2. Un leggero arretramento nel Centro e Nord-Est (a parte Verona) del paese, concentrato nelle zone rosse in particolar modo. Anche nelle regioni storicamente di sinistra in cui il Sì ha prevalso, l’area di governo registra una contrazione del proprio peso relativo (e in alcuni casi anche in termini di voti assoluti). In queste zone ha sicuramente pesato la divisione interna al PD, ma resta ugualmente un campanello d’allarme per la tenuta ‘a sinistra’ della coalizione di governo.
  3. Un crollo al Sud, dove l’area di governo perde voti nonostante un fortissimo aumento dell’affluenza. In particolare in Calabria e Sicilia l’arretramento è di dimensioni importanti, visto che l’area a favore della riforma registra un calo di voti assoluti tra il 20% ed il 25%.

La vittoria del ‘No’, dal canto suo, non deve ingannare le forze contrarie alla riforma. In particolare le zone di centrodestra del Nord-Ovest (cuneese, novarese, tutta la Lombardia con l’eccezione del cremonese) sono state recettivi al messaggio di cambiamento rappresentato dal Sì. Questa frattura del Nord tra Nord-Ovest e Nord-Est pare riguardare sia i territori di centrodestra che quelli a 5 stelle. Può sembrare poca cosa in una vittoria di 20 punti. Bisogna tuttavia considerare l’importanza economica del Nord-Ovest e l’alta mobilità elettorale del Sud (confermata una volta di più nel referendum del 4 dicembre). Di fronte ad un paese apparentemente unito nel rifiuto della riforma, è possibile trovare opportunità e criticità tanto tra i vincitori che tra gli sconfitti.

Nella seconda parte quali caratteristiche sociali possono aiutarci a comprendere le importanti differenze tra Nord-Ovest e Sud.

Matteo Cavallaro

Collezionista di titoli di studio, emigrato oltralpe, gran tifoso della Juventus. Mi occupo di tutto ciò che collega elezioni ed economia, cercando di capire come e se queste si possano influenzare a vicenda.

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