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Perché ha vinto Donald Trump

Perché ha vinto Donald Trump

Alcune considerazioni a caldo, per provare a rispondere alla domanda che tutti ci facciamo (e che ci faremo ancora per molti anni, verosimilmente): come ha fatto Donald Trump a vincere le elezioni?

Trump era indietro praticamente in tutti i sondaggi. I principali modelli previsionali lo vedevano sconfitto da Hillary Clinton con una probabilità che andava dal 71% al 99% (come abbiamo scritto qui, pochi giorni prima del voto). Nessuno, almeno nel mondo dei media (soprattutto americani) si aspettava veramente che Trump potesse vincere.

Per avere una risposta dettagliata di come ciò sia potuto succedere, ci vorranno settimane di analisi dei dati. Per ora, pensiamo sia il caso di sottolineare quattro elementi.

1) LO SPOSTAMENTO DI VOTI NEL MIDWEST

Trump ha vinto perché ha saputo fare benissimo l’unica cosa che era obbligato a fare per vincere: sfondare nel Midwest, (rompendo così il “firewall” di Hillary) e al tempo stesso conservare gli stati già vinti da Romney nel 2012.

La cartina qui sotto mostra in maniera molto evidente il successo di questa strategia: gli spostamenti di voto più grossi rispetto al 2012 sono stati proprio nel Midwest, e tutti a favore di Trump. Ci sono stati anche alcuni spostamenti pro-Clinton, ma molto più rari e comunque mai decisivi per aggiudicarsi gli stati in bilico.

2) VOTO POPOLARE E VOTI ELETTORALI

L’incredibile efficacia della distribuzione del voto a Trump emerge anche da un’altra considerazione: nonostante nel voto popolare Hillary sia davanti  a livello nazionale (seppur di poco, le ultime stime parlano di circa mezzo punto percentuale sui dati finali), Trump è riuscito a vincere oltre 300 Grandi Elettori. Questo è stato possibile perché negli stati decisivi è riuscito a vincere di pochissimo: intorno al punto percentuale, talvolta meno, in Florida (29 EV), Pennsylvania (20), Wisconsin (10) e forse anche Michigan (16).

Non è la prima volta che questo avviene, nella storia elettorale statunitense: molti ricorderanno il precedente del 2000, quando Bush jr prevalse su Al Gore pur prendendo circa mezzo milione di voti in meno. Ma quella volta finì testa a testa anche nel conteggio dei Grandi Elettori, per la precisione 271 EV a 266. Questa volta Trump ha vinto oltre 300 voti elettorali pur senza primeggiare nel voto popolare. Una cosa in effetti alquanto imprevedibile.

3) LE PREVISIONI (CHE NON LO ERANO) DEI SONDAGGI

A proposito di prevedibilità. Cosa è successo esattamente ai sondaggi? Anche stavolta l’impressione è che i sondaggi della vigilia fossero totalmente sballati. Gran parte dei media (certamente in USA, ma anche in Italia) non facevano mistero di dare per scontata la vittoria di Hillary Clinton. E in effetti tutti i sondaggi davano la Clinton davanti, non solo nel voto popolare (mediamente di circa 3 punti) ma anche negli stati decisivi.

Cosa è successo allora? È successo che per quanto riguarda il voto popolare i sondaggi non erano poi così sballati: prevedevano un margine di 3 punti per Hillary, margine che alla fine sarà intorno al punto percentuale. Un errore simile si presentò anche nel 2012: solo che allora Obama era dato in vantaggio di pochissimo, e alla fine il suo margine di vittoria su Romney fu più ampio, più o meno in questa stessa misura. Ci può stare, se si considera qual è il margine di errore della gran parte dei sondaggi effettuati su cui sono state calcolate le medie (+/- 2,5-3%).

Quello che ha pesato, alla fine, è il risultato in quegli stati che alla fine si sono rivelati decisivi (v. sopra) e che effettivamente i sondaggi non sono riusciti a prevedere: è paradossale che proprio negli stati in cui le analisi avrebbero dovuto essere più accurate – perché si sapeva che fossero stati in bilico, potenzialmente decisivi – si sia verificato lo scarto maggiore tra sondaggi e risultato reale. Su questo i pollster statunitensi dovranno interrogarsi non poco.

4) I MODELLI DI PREVISIONE

Qui c’è poco da dire, hanno “sbagliato” tutti. Nel senso che nessun modello previsionale elaborato dagli statistici e dai pollster dava come esito più probabile la vittoria di Trump. Va però spezzata una lancia in favore di Nate Silver, il “mago dei numeri” di FiveThirtyEight. Il suo modello previsionale della vigilia era il più cauto di tutti, assegnando a Hillary Clinton “solo” il 71% di chance contro il 29% di Trump.

Col senno di poi, e considerando il margine così ristretto della sfida (non fatevi ingannare dagli oltre 300 EV per Trump: non solo nel voto popolare a livello nazionale, ma anche negli stati decisivi vinti tutti da Trump il margine tra i due candidati è stato davvero molto esiguo) il modello di Silver dava comunque a Trump una possibilità su tre di vincere, pur con tutti i sondaggi a sfavore. Per fare un paragone che tutti possiamo capire: quando si tira un rigore si ha il 70% di probabilità di fare goal. Di solito si segna, ma molte altre volte il il tiro viene parato, o finisce fuori. Ecco, è come se Hillary Clinton avesse sbagliato un rigore: era improbabile, ma non impossibile.

Salvatore Borghese

Laureato in Scienze di Governo e della comunicazione pubblica alla LUISS, diplomato alla London Summer School of Journalism e collaboratore di varie testate, tra cui «il Mattino» di Napoli e «il Fatto Quotidiano».
Cofondatore e caporedattore (fino al 2018) di YouTrend. È stato tra i soci fondatori della società di ricerca e consulenza Quorum e ha collaborato con il Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE).
Nel tempo libero (quando ce l'ha) pratica arti marziali e corre sui go-kart. Un giorno imparerà anche a cucinare come si deve.

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