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La Grecia torna alle urne

La Grecia torna alle urne

Dopo le dimissioni del premier Alexis Tsipras, la Grecia tornerà a votare domenica 20 settembre. La tornata elettorale si colloca a ridosso dell’approvazione dell’ultimo pacchetto di aiuti a favore del paese; rimettendo il mandato, Tsipras ha detto di voler ottenere dagli elettori il sostegno necessario a implementare i piani di riforme concordati con i creditori internazionali. Ma ricapitoliamo la situazione economica del paese, in questo scenario di grande incertezza.

I DATI MACROECONOMICI DELLA GRECIA

La Grecia è sempre stata il fanalino di coda dei paesi dell’Eurozona quanto all’osservanza dei criteri di finanza pubblica stabiliti nel Trattato di Maastricht: in primis il rispetto del disavanzo massimo del 3%, oltre alla riduzione del debito pubblico verso l’obiettivo del 60% di rapporto debito/PIL. Osserviamo infatti come il deficit del paese ellenico nell’ultimo decennio abbia sempre abbondantemente superato la soglia definita in sede europea, fino a toccare il -15.3% nell’annus horribilis del 2009. I dati emessi nella primavera del 2015 dalla Commissione Europea prevedono per l’anno in corso e per il 2016 un deficit di poco superiore al 2%. I dati sono stati aggiornati in serie storica dopo le revisioni effettuate nel 2010, che hanno corretto le statistiche mal riportate dai governi greci del primi anni Duemila (quando il partito di centrodestra Nuova Democrazia era al governo).

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Se ci concentriamo sul debito pubblico, i dati della Commissione mostrano come il suo rapporto rispetto al PIL sia aumentato in modo molto sostenuto con la crisi economica e finanziaria. Complice il sensibile calo del PIL, nell’ultimo quinquennio il debito si è attestato fra il 170 e il 180% del PIL, collocando la Grecia al terzo posto nel mondo dopo Giappone e Zimbabwe per indebitamento pubblico. Lo stock del debito pubblico veleggia quindi verso i 380 miliardi di euro.

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Richiamando invece la ricchezza prodotta nel paese, possiamo vedere come a livello nominale il PIL sia cresciuto a ritmi accelerati fino al 2009 (si è passati dai circa 130 miliardi di dollari del 2000 agli oltre 350 miliardi del 2009), anche se con un tasso di inflazione intorno al 5%. Con la crisi finanziaria la contrazione è stata violenta, e nel 2011 ha registrato un -8,2% su base annua. La Grecia, secondo le previsioni della Commissione Europea, dovrebbe uscire dalla recessione il prossimo anno.

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LA SITUAZIONE POLITICA

Ci focalizziamo ora su quali scenari si possono ipotizzare per la Grecia, nel contesto di grande fragilità economica appena descritto. Quelle di domenica prossima saranno le diciassettesime consultazioni politiche da quando il paese è tornato ad un sistema democratico (nel 1974), e le undicesime elezioni anticipate rispetto alla naturale durata di una legislatura (quattro anni). Il sistema politico greco infatti si è sempre caratterizzato per la propria instabilità elettorale, anche durante il periodo in cui era solido il bipartitismo che vedeva protagonisti i socialisti del PASOK e i conservatori di Nuova Democrazia.

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Prima della crisi i due partiti maggiori raccoglievano quasi sempre almeno l’80% dei voti: dal 2012 gli equilibri sono cambiati e per le elezioni di quest’autunno si prevede un indice di bipartitismo attorno al 60%. Nel grafico i colori blu (Nuova Democrazia), verde (PASOK) e rosa (Syriza) indicano il partito arrivato primo alle elezioni.

Risultare il primo partito alle elezioni è fondamentale in Grecia: grazie alla modifica apportata nel 2012 al sistema elettorale, il primo partito a livello nazionale ottiene un bonus di 50 seggi al Parlamento (prima erano 40), indipendentemente dalla percentuale di voti ricevuta. Gli altri 250 seggi sono ripartiti proporzionalmente, con metodo dei più alti resti e voto di preferenza multiplo. Ciò, insieme alla soglia di sbarramento del 3%, di fatto richiede circa il 37-40% dei voti per ottenere una maggioranza autonoma. Il punto di partenza è il Parlamento eletto nel gennaio di quest’anno:

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Il partito di Alexis Tsipras, forte del 36,3% ricevuto nelle urne a gennaio, ha conseguito a 149 seggi, fermandosi a meno due dalla maggioranza assoluta. Con stupore di molti, il leader della formazione di sinistra ha stretto un’alleanza post-elettorale con i Greci Indipendenti (ANEL), una forza politica della destra conservatrice ed euroscettica, nata nel 2012 da una scissione di Nuova Democrazia e guidata da Panos Kammenos. Alla destra di Nuova Democrazia, che ora è guidata momentaneamente dall’ex Presidente del Parlamento e Ministro della difesa Vangelis Meimarakis, troviamo i neonazisti di Alba Dorata (XA). Al centro dello schieramento nel Parlamento uscente trovavano posto i socialisti del PASOK, ridotti ai loro minimi storici, e i liberalsocialisti europeisti de Il Fiume (To Potami), a cui capo vi è il giornalista Stavros Theodorakis. All’estrema sinistra, da sempre, troviamo i comunisti del KKE.

Ma cosa è successo nell’ultimo mese e cosa ci dicono i sondaggi?

Innanzitutto c’è da dire che si è trattato di una campagna elettorale sottotono, per la quale i partiti avevano poche risorse da spendere, dominata dai temi dell’accordo sul rifinanziamento del debito greco (e la successiva implementazione del piano di riforme presentato da Tsipras) e dei flussi migratori che interessano la Grecia come paese di ingresso diretto in UE. Si prevede una partecipazione al voto inferiore rispetto al 63,6% di affluenza di gennaio, già di per sé oltre 10 punti minore rispetto ai tassi registrati negli anni Novanta e Duemila. Come detto in precedenza, la vera sfida è per il primo posto: Syriza e Nuova Democrazia sono i contendenti al premio di maggioranza di 50 seggi.

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Nel grafico mostriamo l’andamento delle intenzioni di voto registrate da 43 sondaggi, raggruppati in 7 medie locali. Possiamo vedere come la distanza fra i due partiti maggiori, che era pari a oltre 8 punti in gennario, si sia progressivamente ridotta a scapito di Syriza, con un progressivo aumento di Nuova Democrazia. Al momento il partito di Tsipras si attesterebbe al 31,9%, mentre ND sarebbe al 30,2%. Il distacco è quindi minimo, e il risultato elettorale quanto mai incerto (a gennaio i conservatori erano sovrastimati dalla media dei sondaggi di circa due punti, il contrario per la sinistra).

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Guardando ai partiti minori, il terzo posto dovrebbe essere occupato dai neonazisti di Alba Dorata: la loro campagna elettorale basata sul rifiuto dell’accoglienza dei migranti e sulle critiche al governo Tsipras per il degrado urbano convincono al momento il 7,6% degli elettori. Seguono sostanzialmente appaiati i socialisti del Pasok (6%, in lieve crescita rispetto al misero 4,7% di gennaio), i comunisti del KKE (6%, anche loro stabili rispetto al precedente 5,5%) e i liberalsocialisti di To Potami (5,4%, in calo di uno 0,7 rispetto a gennaio). Chiudono poco al di sopra della soglia di sbarramento del 3% i dissidenti anti-Tsipras di Unità Popolare (LAEN, partito nato dalla scissione in seno a Syriza dopo l’accettazione del memorandum e del severo piano di riforme proposto dai creditori internazionali, è data al 3,8%), l’Unione dei Centristi, eredi spirituali del venizelismo greco, una corrente politica essenzialmente liberale, repubblicana eprogressista (EK, accreditati al 3,5%), e gli Indipedenti Greci, che appaiono un po’ provati dalla responsabilità di governo e si fermano al 3,1%.

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Ipotizzando una distribuzione dei 300 seggi del Parlamento greco sulla base dei sondaggi dell’ultima settimana, il primo dato che balza all’occhio è l’aumento del multipartitismo nel paese: se i centristi, i dissidenti di sinistra e gli Indipendenti Greci passeranno la soglia del 3%, saranno 9 i partiti che eleggeranno dei deputati. Per quanto riguarda la costruzione di una maggioranza, Syriza non avrebbe i 151 deputati necessari a governare in autonomia, e dovrebbe trovare uno o più partner di coalizione. Tsipras ha sempre difeso l’attuale alleanza con gli Indipendenti Greci, che stavolta si fermerebbero però a 8 seggi; ne mancherebbero dunque 11 per la maggioranza. Syriza avrebbe bisogno di un’altro partner di coalizione, ma in tale scenario difficilmente i nazionalisti dell’ANEL sarebbero compatibili con una delle formazioni centriste. Per cui, escludendo il KKE e Unità Popolare dai possibili alleati di Syriza, la scelta cadrebbe sul Pasok (Tsipras in un comizio non ha escluso una alleanza, cambiando la sua posizione iniziale) e su To Potami. O anche magari sui centristi. Si prefigura perciò un governo con due alleati minori. Una possibile alternativa sempre sul piatto, specie nel caso in cui entrambi i partiti maggiori fossero sovrastimati dai sondaggi, sarebbe una grande coalizione fra Syriza e Nuova Democrazia: malgrado la disponibilità di questi ultimi, Tsipras ha sempre scartato tale opzione.

Uno scenario molto simile a questo si avrebbe nel caso in cui fosse ND a vincere il premio di maggioranza: anch’essa dovrebbe scegliere se allargare la maggioranza ai centristi o cercare un accordo con Syriza. Oppure, entrambe le cose. Le ultime elezioni, con la scelta a sorpresa della sinistra radicale di allearsi con la destra nazionalista in nome del contrasto alla troika, hanno stupito molti. Resta da vedere se anche questa tornata elettorale porterà a risultati inconsueti, o se il paese si avvia a un bipolarismo di fatto.

Andrea Piazza

Laureato in Politica, Amministrazione e Organizzazione all'Università di Bologna, lavora al servizio Affari Istituzionali dell'Unione della Romagna Faentina. Si interessa di sistemi partitici e riordino territoriale. Ha una grave dipendenza da cappelletti al ragù.

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