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La crisi del bipartitismo spagnolo, fra cambiamento e continuità

La crisi del bipartitismo spagnolo, fra cambiamento e continuità

Le elezioni del 25 maggio in Spagna hanno segnato una tappa fondamentale nell’evoluzione del sistema politico spagnolo: per la prima volta i due partiti maggiori, il Partito Popolare (PP) e il Partito Socialista (PSOE), non sono riusciti a raccogliere più del 50% dei voti. Grandi vincitori quindi sono stati quei partiti minori che hanno sempre contato poco nello schema bipartitico spagnolo, dal 1977 ad oggi. A questo dato si aggiunge la successione di re Felipe VI e le pressanti richieste di indipendenza della Catalogna. Vediamo come.

Mai, in una elezione legislativa o europea, la somma dei consensi raccolti dai due principali partiti di centrodestra e centrosinistra era stata inferiore alla maggioranza assoluta dei voti. Nel 2014 invece PP e PSOE si sono fermati al 49,1%, lasciando sul campo rispettivamente 24 e 33 punti rispetto alle precedenti elezioni legislative (2011) ed europee (2009). Il paragone con gli anni 2000, dove i partiti maggiori godevano entrambi di un consenso vicino (o superiore) al 40%, ne evidenzia il vero e proprio crollo. Per questo molti hanno decretato la crisi del bipartitismo spagnolo.

Chi può cantare vittoria sono invece i partiti minori come Izquierda Unida (coalizione della sinistra radicale e repubblicana) e Unione, Progresso e Democrazia (UPyD, partito centrista e contrario alle autonomie regionali). Notevole anche il successo di liste di recente formazione, come la lista di sinistra Podemos, guidata dal professore di Scienze Politiche di Madrid Pablo Iglesias Turrión, e i Cittadini – Partiti della Cittadinanza (C’S), partito socioliberale catalano. Izquierda Unida e Podemos hanno aderito alla Sinistra Europea di Alexis Tsipras, mentre l’UPyD e C’S si sono apparentati ai liberaldemocratici dell’ALDE. Infine, mantengono un consenso importante i partiti regionalisti, principalmente catalani e baschi, anche se alle elezioni europee sono leggermente puniti dalla presenza di liste uniche nazionali (mentre alle legislative le liste sono provinciali).

Questi risultati avranno pesato anche sulla decisione del 76enne re Juan Carlos, che ha abdicato in favore del figlio Felipe il 18 giugno. Infatti, nell’attuale parlamento il Partito Popolare e il PSOE, entrambi a favore della forma di stato monarchica, controllano 295 seggi su 350. Una maggioranza così ampia non è detto che si abbia nel prossimo parlamento, che sarà eletto nel 2015, e nel quale liste di sinistra o regionaliste si sarebbero potute opporre con maggiore vigore alla successione al trono.

La diminuzione della popolarità della monarchia si riflette non solo negli approcci dei partiti, ma anche nella visione dei cittadini. Dopo un lungo periodo di altissimo consenso nei confronti della famiglia reale, e soprattutto di re Juan Carlos, traghettatore della Spagna dal franchismo alla democrazia, una serie di scandali legati a gaffe e casi di corruzione (non da ultimo il rinvio a giudizio della infanta Cristina)  hanno indebolito la figura del re. Secondo i dati Parametria, se si tenesse un referendum istituzionale solo il 49% degli spagnoli sarebbe in favore della monarchia, mentre un 36% si dice repubblicano. Da notare che circa uno spagnolo su dieci si dice non sicuro su quale sistema sia migliore. Riuscirà Felipe a migliorare questa percezione?

Un cambiamento importante si è avuto negli ultimi anni anche nel sistema partitico catalano: nella regione di Barcellona i partiti tradizionali sono sempre più in difficoltà nel raccogliere consensi, e sono stati progressivamente marginalizzati dai partiti indipendentisti Convergenza e Unione (CiU, più conservatore) e la Sinistra Repubblicana di Catalogna (ERC), a cui si aggiungono i Verdi Catalani e la Sinistra Unita catalana (CV-EUiA). Se esploriamo i tre emicicli con le percentuali dei partiti, vedremo ristringersi il consenso dei contrari all’indipendenza (sulla destra), mentre cresce quello per i partiti indipendentisi (sulla sinistra). Podemos non ha ancora una posizione ufficiale a riguardo, anche se suoi esponenti (fra cui il fondatore Iglesias) si sono espressi in favore di un referendum sull’indipendenza della Catalogna, pur rimanendo personalmente contrari.

Non stupisce quindi che la maggioranza dei catalani sia a favore della indipendenza della propria regione dalla Spagna. Messi di fronte a tre alternative (stato indipendente, stato catalano in federazione con la spagna, status quo), quasi tutti gli istituti demoscopici registrano come gli elettori scelgano l’indipendenza. Attorno al 40% troviamo lo status quo, mentre circa il 10% sostiene la causa di una maggiore autonomia (una volta posizione maggioritaria nella regione).

Molte sfide aspettano quindi la Spagna nei prossimi anni, e le prossime tornate elettorali mostreranno se si è all’inizio di una transizione verso un sistema partitico meno stabile e più affollato, con diverse possibili risposte ai temi dell’assetto istituzionale e della questione catalana.

 

Andrea Piazza

Laureato in Politica, Amministrazione e Organizzazione all'Università di Bologna, lavora al servizio Affari Istituzionali dell'Unione della Romagna Faentina. Si interessa di sistemi partitici e riordino territoriale. Ha una grave dipendenza da cappelletti al ragù.

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