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Italicum o consultum?

Italicum o consultum?

Se non sarà approvata una nuova legge elettorale (che si tratti dell’italicum scaturito dall’accordo Renzi-Berlusconi o di un’altra), le prossime elezioni si svolgeranno con il sistema generato dalla sentenza della Consulta (potremmo chiamarlo il “consultum”, con grande sprezzo del pericolo). Non solo: è molto probabile che, una volta fallita la riforma, si vada alle urne molto presto, certamente prima del 2015 indicato come proprio orizzonte dal governo di Enrico Letta.

È sulla base di questa semplice considerazione che vanno lette le vicende politiche e parlamentari dei prossimi giorni: ciascun partito ha un interesse tutto suo, e sarà più facile leggere i motivi delle loro mosse (in tema di riforma elettorale, ma non solo) se si hanno ben presente quali sono questi interessi e queste convenienze.

Come funziona – e a chi conviene – l’Italicum lo abbiamo già visto, e anche le modifiche più recenti su cui si è trovato un accordo non modificano sostanzialmente il suo impianto. Ma a questo punto dobbiamo capire su cosa accadrebbe se andassimo a votare con il “consultum”.

Che cos’è il consultum e come funziona? Ne abbiamo parlato in questo articolo, all’indomani della sentenza della Corte. Per farla breve, è un sistema proporzionale, con soglie di sbarramento diverse per i partiti coalizzati (2% alla Camera, 3% regionale al Senato) e per quelli non coalizzati (4% alla Camera, 8% regionale al Senato). Non essendoci più il premio di maggioranza, viene meno la necessità di costruire coalizioni più vaste possibile per arrivare primi; ma non viene meno quella di ottenere per sé (il proprio partito, o la propria area politica) il maggior numero possibile di seggi.

Per capire i probabili effetti del “consultum” sul nostro sistema politico attuale abbiamo effettuato due simulazioni, così come abbiamo fatto con l’italicum (nella sua prima versione e in quella modificata). La prima simulazione si basa sui risultati reali delle elezioni Politiche 2013; la seconda, sulle attuali intenzioni di voto.

 

Politiche 2013

Guardando ai due grafici, rispettivamente di Camera e Senato, notiamo un’estrema somiglianza, che sembra riportarci alle dinamiche elettorali della Prima repubblica: quando cioè, anche a fronte di risultati leggermente diversi (dovuti essenzialmente alla diversa composizione dell’elettorato e a lievi differenze del sistema elettorale, esattamente come in questo caso), la composizione delle due Camere sarebbe straordinariamente simile. Al Senato avremmo avuto meno partiti, a causa delle soglie di sbarramento più elevate – che impediscono ad esempio il recupero di Fratelli d’Italia, UDC e Centro Democratico – e una migliore performance della coalizione guidata da Bersani. Ma il risultato sarebbe stato lo stesso del 2013, dove l’assenza di una maggioranza si era determinata nel solo Senato: la necessità di un accordo tra almeno due delle tre forze politiche principali (PD, M5S e PDL) per poter formare un qualsiasi governo.

Politiche 2014 (ipotesi)

Al netto dei tanti eventi che hanno caratterizzato l’ultimo anno di politica italiana (l’ascesa di Matteo Renzi nel PD, la scissione nel PDL e quella in Scelta Civica solo per citarne alcuni), i sondaggi dicono che se andassimo a votare oggi il “consultum” ci restituirebbe un Parlamento in tutto e per tutto simile a quello che avremmo avuto, con lo stesso sistema, dopo le elezioni del febbraio 2013. La maggiore competitività del PD da un lato, e l’allargamento dell’alleanza di centrodestra dall’altro si compenserebbero a vicenda; la scomparsa della coalizione centrista (con l’UDC che potrebbe ottenere seggi se, in coalizione con il centrodestra, ottenesse il 2% o fosse il più votato dei partiti sotto quella soglia; e SC che potrebbe ottenerne ugualmente alleandosi con il PD) sarebbe inutile, perché rimarrebbe quasi inalterato il peso parlamentare (e politico) del Movimento 5 Stelle. Se l’isolazionismo politico del partito di Beppe Grillo continuasse, anche dopo un’elezione che desse questi risultati, il risultato sarebbe – ancora una volta – un governo di larghe intese tra PD e Forza Italia, eventualmente allargato ad altri partiti delle due aree. Esattamente lo scenario che i promotori dell’italicum (in primis Matteo Renzi) sostengono di voler evitare.

A chi conviene dunque “sabotare” l’italicum? Certamente non al PD, che non potrebbe reggere un’altra vittoria “mutilata”. Matteo Renzi non è Pierluigi Bersani, e non ha investito le sue energie politiche per poter “arrivare primi ma senza vincere”. Non conviene – probabilmente – al NCD di Alfano, che si ritroverebbe privo di qualsiasi potere contrattuale (che invece oggi ha ed utilizza ampiamente per condizionare l’azione del governo Letta), schiacciato dai numeri di PD da un lato e Forza Italia dall’altro; mentre una vittoria del centrodestra, con l’italicum, consegnerebbe ad Alfano e soci il potere di vita o di morte sul governo neo-berlusconiano che ne seguirebbe.

Certamente il sabotaggio converrebbe ai piccoli partiti: SEL e Lega Nord, ad esempio (nonostante l’emendamento “salva Lega” su cui si è trovato l’accordo nei prossimi giorni, le nostre stime ci dicono che allo stato attuale il Carroccio non avrebbe i consensi necessari a superare il 9% in tre regioni). Per loro una soglia del 2% sarebbe molto più “abbordabile”; e una volta entrati in Parlamento come membri delle due coalizioni, avrebbero tutto da guadagnare – elettoralmente – a porsi all’opposizione di un governo di larghe intese Renzi-Berlusconi. Senza parlare di ciò che rimane dell’alleanza di centro: né Scelta civica né l’UDC possono sperare ad oggi di ottenere l’8% che l’italicum impone di superare ai partiti non coalizzati; molto meglio sarebbe, per loro, trovare rifugio a destra (come ha scelto di fare Casini) o da Renzi.

Più interessante il caso del Movimento 5 stelle: al netto delle tante (troppe) posizioni, spesso contradditorie, che il M5S ha espresso negli anni in tema di sistema elettorale preferito, un proporzionale puro (e un conseguente governo di larghe intese) sarebbe ottimale per i grillini, che continuerebbero ad avere il monopolio dell’opposizione parlamentare; mentre con l’italicum e la sua formula “majority assuring” sarebbero posti di fronte ad una sfida duplice: cercare di aumentare i propri consensi per accedere al ballottaggio e giocarsi così la sfida per il governo del Paese, soli e senza alleati; oppure, in caso di sconfitta, condividere l’opposizione con uno dei due poli sconfitti. In entrambi i casi, per loro non sarebbe una situazione “comoda” come quella attuale, o come quella che le nostre stime ci dicono potersi verificare andando a votare con il “consultum” – come infatti chiedono a gran voce, sostenendo erroneamente che l’attuale Parlamento sarebbe incostituzionale, dunque non legittimato a riformare alcunché.

Resta il “nodo” di Forza Italia – cioè di Berlusconi. Il Cavaliere ha posto dei paletti ben precisi alla riforma elettorale: dalla soglia per ottenere il premio di maggioranza al primo turno (il 35%, poi alzata al 37%) alle liste bloccate, fino alla possibilità che i partiti sotto la soglia contribuiscano al risultato della coalizione pur senza ottenere seggi; tutte queste cose sono state accettate dal PD, in cambio della sola possibilità di riformare la legge, e di farlo includendo un ballottaggio (che Renzi è convinto di poter vincere contro chiunque, si chiami Grillo o Berlusconi). Rimane un dato di fatto: il consenso di Forza Italia – e del centrodestra – ha dimostrato di non essere “comprimibile” al di sotto di una certa soglia. Berlusconi sa, cioè, che anche se il suo consenso non tornerà mai ai livelli del 2008 (o di qualunque elezione della Seconda repubblica), potrà comunque contare su uno “zoccolo duro” di elettori decisivo: decisivo per vincere, se riuscisse a portarlo, con l’aiuto di una vasta coalizione, a superare sia la coalizione di centrosinistra che la soglia del 37%; ma anche per essere determinante, in Parlamento, per qualunque governo si volesse insediare dopo un’elezione proporzionale, in uno scenario tripolare come quello odierno. Da questo punto di vista quella attuale è, per Forza Italia, una win-win situation: se la riforma elettorale dovesse continuare a dare a Berlusconi delle chances concrete di poter vincere nuovamente, da solo, la riforma si farà; se, viceversa, non ci saranno sufficienti garanzie di poter ottenere ciò, meglio tornare al voto ed essere – ancora una volta – decisivi per il governo del Paese.

Salvatore Borghese

Laureato in Scienze di Governo e della comunicazione pubblica alla LUISS, diplomato alla London Summer School of Journalism e collaboratore di varie testate, tra cui «il Mattino» di Napoli e «il Fatto Quotidiano».
Cofondatore e caporedattore (fino al 2018) di YouTrend. È stato tra i soci fondatori della società di ricerca e consulenza Quorum e ha collaborato con il Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE).
Nel tempo libero (quando ce l'ha) pratica arti marziali e corre sui go-kart. Un giorno imparerà anche a cucinare come si deve.

2 commenti

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  • La proiezione ipotizzata è interessante ma assume un dato di partenza che non è del tutto esatto.
    Se sia andasse a votare con il c.d. “Consultum” non essendoci più il premio di maggioranza non ci sarebbe nessun incentivo a costituire delle alleanza poiché non ci sarebbero premi da raggiungere. Diventa un sistema proporzionale con sbarramento e anzi, i 3 partiti maggiori, ampiamente sopra le soglie, avrebbero tutto l’interesse a non coalizzarsi con nessuno per aumentare il loro peso attrattivo e per spingere i partiti minori fuori dal parlamento.
    Stante i sondaggi, se si votasse con il “Consultum” alla Camera entrerebbero PD, Fi, M5S mentre li Ncd sarebbe in bilico (in quel caso avrebbe senso per Casini, Alfano e altri fare una lista unica per superare la soglia), mentre al Senato entrerebbero solo i primi 3 non essendoci altri partiti sopra la soglia dell’8%.
    É chiaro che in caso di elezioni, anche la campagna elettorale giocherebbe un ruolo importante e, probabilmente, le soglie di sbarramento (4% alla camera e 8% al senato) potrebbero fungere da spinta verso un voto utile verso PD e Fi a scapito del M5S….
    Se così è, probabilmente chi n’è trae un vantaggio maggiore sono Berlusconi (che diventa determinante per un nuovo governo) e Grillo che diventa opposizione permanente!