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Obama-Romney: via ai dibattiti tv

Obama-Romney: via ai dibattiti tv

Raramente i dibattiti tra i candidati alla Presidenza degli Stati Uniti sono stati decisivi per l’esito delle elezioni, ma quasi sempre hanno portato cambiamenti nelle intenzioni di voto, anche significativi. Potrebbe riassumersi così la ricerca pubblicata da Gallup, che raccoglie dati e risultati di oltre quarant’anni di sondaggi. Sarebbe tuttavia riduttivo limitarsi ad un riassunto senza analizzare i dati in profondità.

I dibattiti televisivi debuttano negli Stati Uniti nel 1960. La prima sfida vide confrontarsi il vicepresidente uscente Richard Nixon e il giovane senatore dello stato del Massachusetts, John Fitzgerald Kennedy. Posato e composto, curato e di bell’aspetto, Kennedy fece un figurone contrapposto al pallido e burbero Nixon, che pure non sfigurò dal punto di vista dei contenuti (dai sondaggi infatti emerse che i radioascoltatori avevano individuato nel vicepresidente il vincitore del dibattito, mentre le ricerche tra i telespettatori premiarono nettamente JFK). Alla vigilia del primo dibattito tra i due, Nixon era in testa nelle intenzioni di voto di un punto percentuale, mentre due giorni dopo il faccia a faccia si ritrovò a dover inseguire Kennedy di tre punti. I successivi dibattiti servirono a confermare il trend.

L’avvento del faccia a faccia in tv, quindi, mostrò fin da subito le potenzialità e l’influenza del mezzo televisivo sulla pubblica opinione.

I dati di Gallup sottolineano come i dibattiti televisivi siano stati decisivi in un altro confronto elettorale, lo scontro tra George W. Bush e il vicepresidente uscente Al Gore nel 2000.

Gore conduceva, prima dei dibattiti, su Bush jr, con ben otto punti di margine. Ma il primo scontro fu fatale per lui: spocchioso ed arrogante, finì per rendersi antipatico a buona parte del pubblico americano. George W. invece, pur non brillante, venne premiato soprattutto per i demeriti di Gore e perché riuscì a non sfigurare contro un avversario ritenuto da tutti più competente di lui. I sondaggi dopo il primo faccia a faccia fotografarono una situazione di pareggio. Sempre secondo i dati Gallup, nei giorni seguenti Gore recuperò una parte dei consensi perduti, ma i successivi dibattiti portarono il candidato texano a passare in vantaggio.

Ci sono state tornate elettorali, invece, nelle quali i dibattiti non hanno minimamente influenzato l’esito del voto.

Nel 1984, Reagan sfidò Walter Mondale in televisione per due volte. Gli analisti e i sondaggi lo dichiararono vincitore, ma il margine tra i due era già così ampio che quegli scontri contribuirono solo a stabilizzarlo.

Anche nel 1988, i dibattiti tra Bush padre e Michael Dukakis non spostarono molti voti, e vennero considerati principalmente un’occasione perduta da parte di Dukakis per avvicinarsi al vicepresidente di Ronald Reagan; così come le sfide del 1992 e del 1996 furono un’occasione persa rispettivamente dallo stesso Bush sr e da Bob Dole per riavvicinarsi a Bill Clinton.

Nel 1976 lo scontro tra Gerald Ford e Jimmy Carter divenne più serrato grazie ai faccia a faccia: il vantaggio di Carter dopo il primo confronto diminuì di 13 punti: da 15 a 2. Ma una gaffe di Ford nella seconda performance (una dichiarazione nella quale il Presidente giurò che non vi era “alcuna dominazione sovietica nell’Est europeo”) favorì l’allungo di Carter.

Nel 2004, 28 anni dopo, il copione fu lo stesso: John Kerry sfidò il Presidente uscente Bush per tre volte, vincendo tutti i confronti televisivi. Dopo i primi due dibattiti, il suo svantaggio iniziale di 11 punti si tramutò in pareggio. Nell’ultimo dibattito, però, non riuscì a sferrare il colpo del ko ed alla fine George W. Bush vinse con il 51% contro il 48% alle elezioni generali: una vittoria netta, che tuttavia non può offuscare una rimonta notevole del senatore del Massachusetts, grazie ai faccia a faccia.

Di grande interesse furono anche i dibattiti del 1980, che però si inseriscono in una situazione politica differente: la presenza di una candidato indipendente, e il rifiuto da parte del candidato democratico, e Presidente uscente Jimmy Carter, di confrontarsi con il rappresentante del “terzo polo”. Reagan, indietro nei sondaggi e consapevole delle proprie doti di grande comunicatore, accettò prima la sfida con Anderson, il candidato ex repubblicano divenuto indipendente, battendolo e recuperando consensi a destra, avvicinandosi così a Carter, che tuttavia rimase tre punti avanti. Dopo aver svuotato il bacino elettorale terzista, sconfisse nell’unico dibattito il Presidente, recuperando sei punti e balzando quindi al primo posto nelle preferenze degli elettori.

Infine, quattro anni fa, Barack Obama sconfisse John McCain in tutti e tre i confronti, allungando il già cospicuo margine di vantaggio.

Risulta quindi evidente come i dibattiti presidenziali abbiano una notevole influenza sugli elettori.

I risultati elettorali hanno quasi sempre subito un’influenza, anche se leggera, dagli esiti dei faccia a faccia. Raramente i dibattiti si sono rivelati veri e propri “game changer”, ma molto spesso hanno cambiato, anche significativamente, i rapporti di forza tra i candidati.

Il dibattito di questa notte tra Romney e Obama si caratterizza per il contesto particolare: Obama viene da quattro anni di amministrazione non entusiasmanti, tuttavia è dato per favorito su Romney nei sondaggi. La sua fama di grande oratore in questo caso non lo favorisce: Obama non è anche un grande “debater”, nel 2008 risultò più convincente di McCain più per gli errori e le mancanze di rispetto dell’avversario (che lo definì, indicandolo, “That one”, letteralmente “Quello là”) nei suoi confronti che per meriti propri, e durante le primarie venne messo più volte in difficoltà da Hillary Clinton. Tuttavia, la sua grande abilità oratoria gli porta sulle spalle il peso di “aspettative altissime”: il 51% degli elettori pensa che sarà lui a vincere il dibattito, mentre solo il 29% ha grandi aspettative verso Mitt Romney.

Sicuramente non la migliore cornice per affrontare il primo dibattito, per il Presidente uscente. Ma, lo sottolinea in una esclusiva intervista per YouTrend Ken Feltman, “le aspettative alla fine contano poco, i dibattiti li vince il più bravo”.

Giovanni Diamanti

Classe 1989, consulente e stratega politico. Co-fondatore e amministratore di Quorum, ha lavorato ad alcune tra le più importanti campagne italiane, tra cui quelle di Debora Serracchiani, Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Vincenzo De Luca, Pierfrancesco Majorino, Beppe Sala. In realtà è un ragazzo timido che ama guardarsi la punta delle scarpe. Uomo dalla testa veloce, ha idee (confuse) in ordine sparso - così come i capelli.

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